Society | Festa della Donna

Un 8 Marzo da NobElle

La Cgil-Agb celebra la ricorrenza con un video-spettacolo di Barbara Fingerle. Pavanello: "In questa pandemia le donne stanno facendo sacrifici straordinari".
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NobElle
Foto: ©Cgil

Un omaggio alle donne, ma anche uno sguardo alle tante lavoratrici dello spettacolo, settore che a causa delle restrizioni dovute all’emergenza Covid ha pagato un prezzo altissimo. E un monito a non tralasciare la data dell’8 marzo, specie in un periodo di grandi difficoltà, sanitarie ma anche sociali ed economiche. Per l'8 marzo, dunque, la Cgil-Agb ha in programma di trasmettere sul proprio canale YouTube un video-spettacolo dell’autrice e attrice altoatesina Barbara Fingerle, dal titolo “NobElle” - Storie di Donne e di Nobel. Ne parliamo con Doriana Pavanello, del Coordinamento Donne del sindacato.
 
Pavanello, come nasce l’idea di questo omaggio particolare in occasione dell’8 marzo?
Il progetto ci era stato presentato da Fingerle, si parla di donne che sono state protagoniste del conferimento di premi Nobel, in vari ambiti della conoscenza. Come Coordinamento abbiamo pensato fosse interessante perché si dà un messaggio positivo, parlando di figure che non si sono fatte sopraffare dalle convenzioni sociali e dagli stereotipi e sono andate avanti nelle loro convinzioni. Ci sembrava interessante veicolare questa immagine di donne alle quali sono state riconosciuti i meriti che avevano, uno stimolo a perseverare in ciò che si crede, a coltivare i propri talenti.
 
Negli ultimi anni questa ricorrenza è stata anche vista come un po’ troppo carica di retorica, si chiede in qualche modo di portare in evidenza il tema della parità di genere, con azioni concrete, tutto l’anno e non solo l’8 marzo.
Noi crediamo invece che la data abbia ancora una sua importanza a livello internazionale e per tutte le donne, non dobbiamo dimenticarcela specie in questo periodo di grande difficoltà e dolore soprattutto per le donne. Siamo in un momento in cui ci troviamo a fronteggiare situazioni nuove in cui le donne si sono fatte carico di tante manchevolezze sociali, sul fronte sanitario, dell’assistenza, della cura familiare, del lavoro. Hanno dovuto imparare a gestirsi tra smart-working, dad, e in tutto questo panorama secondo noi non si poteva tralasciare l’8 marzo e bisognava ugualmente celebrarlo, anche se non si può stare insieme in presenza a discutere.  
 
Economicamente la pandemia sembra aver danneggiato soprattutto le donne: posti di lavoro persi, difficoltà nella conciliazione, casi di violenza domestica in costante aumento. Quale è la situazione, dati alla mano?
I dati relativi alla disoccupazione ci dicono che in Italia, su 444 mila posti di lavoro persi, almeno 300 mila erano occupati da donne. Questo ci dice che, pur con il divieto di licenziamento, tanti posti erano a tempo determinato o precari: parliamo di servizi nella ristorazione e nell’alberghiero ma io penso anche che se c’è un settore che è molto in sofferenza è proprio quello culturale e dello spettacolo. Anche per questo abbiamo voluto dare un sostegno simbolico scegliendo il progetto di video-teatro.
 
Il problema della bassa occupazione femminile c’era però anche ben prima della pandemia.
Certo, e infatti rilevo che discutiamo puntualmente sempre delle stesse questioni: come far entrare le donne a lavoro, come farglielo mantenere. Perché assistiamo anche a un fenomeno abbastanza singolare: c’è una grossa percentuale di donne, anche con contratti a tempo indeterminato, che poi con la maternità sceglie di licenziarsi. In Alto Adige ci sono oltre 600 donne occupate che si sono licenziate in questo periodo, il trend è in aumento.
 
Quali possono essere le azioni da mettere in campo?
Ovviamente strutture per bambini da 0 a 6 anni, nidi. La mia opinione è però anche che bisogna insistere su politiche di condivisione dei lavori di cura, non basta più la conciliazione solo come affare di donne. Anche sull’assistenza alle persone anziane, bisogna fare un passo in più ed è di tipo culturale. Sia per le donne che una volta che diventano madri non possono più essere le uniche responsabili dell’educazione dei figli ma anche per i padri, che devono prendere consapevolezza di avercela questa responsabilità. È un impegno che purtroppo non vedo e non vedo neanche a livello politico. Noi abbiamo fatto tanti accordi, protocolli di intesa dove si sarebbero dovute favorire anche da un punto di vista fiscale le imprese che avessero sottoscritto degli accordi sulla conciliazione però siamo ancora qui a parlarne difronte a un’organizzazione del lavoro che da una parte si è aperta con la flessibilità del lavoro a distanza ma dall’altra è ancora molto rigida: non viene favorita la flessibilità oraria, il lavoro su obiettivi, non c’é stato sviluppo su questo.  
 
Ci sono stati anche dei settori che non hanno nemmeno potuto digitalizzare il lavoro, peraltro.
Esattamente. E lì le donne si sono arrangiate e hanno comunque continuato ad andare a lavoro, con la preoccupazione di potersi contagiare in ogni momento. Parliamo delle donne che sono state sul fronte diretto, personale medico-infermieristico, ma anche di tante altre figure, ad esempio lavoratori e lavoratrici delle pulizie, dei supermercati, che hanno parimenti garantito la sopravvivenza di una società in questo lungo anno.
 
In Alto Adige c’é stata qualche misura particolarmente azzeccata su questo?
Trovo che la riapertura degli asili e dei nidi, per garantire almeno chi assolutamente non avrebbe potuto trovare forme alternative di continuità, sia stata molto giusta e utile. Adesso dobbiamo pensare a un progetto un po’ più di lungo respiro, anche a livello nazionale. Devo dire che ascoltando la dichiarazione programmatica delle politiche di genere del presidente Draghi non sono rimasta molto soddisfatta: mi è parsa una mezza pagina di foglio A4 con idee già vecchie.
Ci sarebbero invece capacità organizzative, di approccio da valorizzare e anche studi degli ultimi anni hanno messo in evidenza che la presenza di donne in tutti i contesti ha portato ad aumenti di fatturato per le aziende.
 
Quanto è ancora forte l’appoggio ad un welfare familiare?
Importante, direi. Ma i dati Inps del 2020 ci dicono anche che le cose stanno un po’ cambiando:
In Alto Adige per il bonus asili nido le domande pervenute sono state 4.194, al netto di richieste di premi nascita, bonus statali. Cresce un po’ quindi la fiducia in questo tipo di strutture ed è positivo proprio perché spesso le donne che rinunciano al lavoro dopo la prima gravidanza, nella motivazione delle dimissioni riportano proprio la mancanza di flessibilità oraria, di nidi, di persone di fiducia a cui lasciare i bambini.
 
Notizie particolarmente pesanti riguardano invece i femminicidi. Nelle ultime settimane si sono verificati numerosi episodi, uno anche in regione. Come affrontare questo tema nella ricorrenza dell’8 marzo?
Come sindacaliste siamo impegnate sul fronte del lavoro: averne uno buono, stabile, con diritti e tutele è il primo passo per un progetto di vita proprio, disgiunto dalla coppia, ed è quindi una garanzia di potersi ripensare e ricostruire in un altro modo in ogni momento. Agiscono contro questo una serie di condizioni sociali che abbiamo analizzato tante volte, però naturalmente il lavoro ci deve essere e quindi dobbiamo ripensare a come sarà e a come dovrà essere con queste enormi trasformazioni in atto. Ad esempio si discute tanto di queste professioni Stem, sulle quali ci sarà un grosso investimento sfruttando il Recovery Fund, però è anche vero che sono ambiti in cui le donne sono sempre rimaste un po’ ai margini. Dal canto nostro, non dobbiamo perdere il treno per fare in modo che anche le donne vi salgano a bordo: per questo nuovo ambito di lavoro su ambiente, tecnologia, digitalizzazione si deve fare un intervento all’inizio del percorso educativo, dobbiamo prima agire lì e non basta sollecitare le ragazze a scegliere facoltà di tipo scientifico-tecnico, bisogna accompagnare il tutto con un’educazione che sia alla pari. Un’educazione al rispetto, e aggiungo non solo tra uomo e donna ma in generale verso tutti coloro che non sono rispondenti ai cosiddetti “modelli codificati”, dall’orientamento sessuale all’etnia.