Cinema | salto weekend

The Whale

Ovvero: il compitino di Darren Aronofsky che nemmeno la notevole prova di Brendan Fraser riesce a salvare.
The Whale
Foto: Screenshot

Premessa doverosa: in questo articolo non ci sono fan di Darren Aronofsky, campione dei pesi massimi quanto a pretenziosità cinéphile. Come quel Black Swan (Il cigno nero), un film sul tema del doppio - traboccante di simboli e sottotesti schiaffati in faccia - che voleva essere Cat people (Il bacio della pantera, 1942), il pivello.
The Whale è un altro film insopportabilmente pieno di sé alla disperata ricerca di un Oscar che probabilmente vincerà.

Cos’è

The Whale è un dramma da camera basato sull’omonima opera teatrale di Samuel D. Hunter, prodotto dalla A24 (stavolta non ci siamo, ragazzi) e osannato a Venezia. Racconta la storia di Charlie - interpretato da Brendan Fraser, attore a lungo sottovalutato, ora tornato meritatamente alla ribalta -, un professore con gravi problemi di salute causati dalla sua obesità, che vive recluso in uno squallido appartamento alla periferia di Mormon Country, nell’Idaho e per cui la sconfitta sembra essere un destino. L’uomo tiene corsi universitari di scrittura creativa online, con la webcam sempre rigorosamente spenta per non farsi vedere dai suoi studenti, e ha perso ogni contatto con il mondo esterno fatta eccezione per l’amica infermiera Liz (Hong Chau, che offre l’interpretazione migliore e meno forzata del film). Quando scopre che non gli resta molto da vivere, Charlie cerca di riconciliarsi con la figlia adolescente Ellie (Sadie Sink), che non vede da nove anni, per trovare una sorta di redenzione.

The Whale | Official Trailer

 

Com’è

Brendan Fraser è bravo, se si intende la bravura in quel senso virtuosistico. Tutti gli sforzi drammatici, enfatizzati da una prepotente colonna sonora, sono calcolati al millimetro per suscitare empatia quando non repulsione, grazie anche a una serie di trucchi digitali e protesici. Il tutto è racchiuso con indolenza registica in un 4:3 per amplificare l’imponente performance del protagonista, intrappolato in un appartamento male illuminato - metafora fin troppo letterale della sua oscurità interiore -, in una vita ormai votata all’autodistruzione e soprattutto nel suo corpo.

Poco è lasciato all’immaginazione. Il film è meccanico, ricattatorio, crudelmente voyeuristico, sterilmente grottesco, semplicistico nelle sue lezioni (compresa quella sulla fede) e la sceneggiatura artificiosa e sottotono. I suoi personaggi secondari sono stereotipati, tagliati con l’accetta, e le loro implicazioni vengono rivelate maldestramente. La scena finale, con tanto di trascendenza catartica, è imbarazzante e quasi parodistica per come è stata girata. Nel suo bisogno di abbagliare The Whale è un esercizio emotivo al limite della banalità e dell’ostentazione. Per quanto mi riguarda, prontissimo al dimenticatoio.

Voto: **