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“Il femminismo? Riguarda anche noi”

Anche gli uomini pagano a caro prezzo le conseguenze di una società fondata sul patriarcato. Christine Clignon in dialogo con il filosofo femminista Lorenzo Gasparrini.
Lorenzo Gasparini
Foto: Lorenzo Gasparini

Non mi ricordo quando ho sentito parlare di Lorenzo Gasparrini per la prima volta. Mi ricordo però di aver preso subito in mano il suo libro "Diventare uomini" e di averlo letto, per poi comprarne e regalarne molti. Mi piace il linguaggio che usa e il fatto che sia un uomo a parlare ad altri uomini del perché e del come i femminismi possano funzionare anche per loro. Faccio spesso riferimento ai suoi scritti quando mi trovo a parlare davanti a un pubblico e noto lo sguardo un po’ spaesato degli uomini presenti. Ecco perché ho deciso di intervistarlo.

Kalašnikov & Valeriana: Lorenzo, tu ti definisci filosofo femminista. Perchè?

Lorenzo Gasparrini: Vengo da studi di filosofia e quindi amo e voglio occuparmi di problemi sociali e di convivenza dal punto di vista sistemico. Ho incontrato i femminismi durante il percorso di studi e mi sono accorto di quanto erano osteggiati e di quanta lotta politica ci fosse contro di loro. Mi è parso molto grave in un ambito che immaginavo come il luogo più libero possibile, come appunto la filosofia. Mi sono così messo a lavorare su questo tema, iniziando da riflessioni su me stesso, sul mio linguaggio, progetto di vita e cercando poi di parlarne ai mie congeneri. Questo mi ha fatto capire quanto bisogno ci fosse di parlare delle prospettive offerte dai femminismi e quanto pochissimo invece si facesse. Questo contrasto mi ha convinto a proseguire in questo percorso e a parlare di questi argomenti nei luoghi più disparati, dalle scuole ai centri sociali, dalle aziende alle università. 

Mi rivolgo prevalentemente ad un pubblico maschile e scrivo di come i femminismi riguardino anche loro

Oltre alle iniziative di formazione sei autore di diversi libri. Di che cosa trattano?

Mi rivolgo prevalentemente ad un pubblico maschile e scrivo di come i femminismi riguardino anche loro. I miei libri vogliono fornire una prospettiva diversa per capire l’origine di tantissimi problemi che si trova a vivere il genere maschile in quanto tale.

Ad esempio?

Viviamo in una struttura sociale basata sull’oppressione: anche l'uomo paga a caro prezzo le conseguenze di uno sfruttamento causato da egli stesso, ritrovandosi spesso a soffrire di una serie di problematiche spesso imputate alle donne ma che invece nascono da un’idea sbagliata del genere di appartenenza. Molti uomini si lamentano del fatto che vivono di meno, hanno un’aspettativa di vita più bassa, muoiono di morti più violente e sono quelli che vengono curati di meno. È un fenomeno sociale diffusissimo e arriva da un concetto del maschile dove l’uomo non bada al suo corpo, non lo cura e si vota al sacrificio estremo sempre in totale abnegazione di sé, accettando lavori e pratiche disumane perché deve toccare a lui. Ma questa storia è stata inventata da altri uomini. Un altro esempio è che molti uomini riconducono la propria realizzazione al successo sul lavoro, identificandosi con il lavoro stesso. L’idea di perdere il lavoro, di non essere più quella persona che fa quel mestiere, causa loro una sorta di perdita di identità. Di conseguenza si trovano ad accettare situazioni di oppressione, sfruttamento, perché non vedono alternative, perché immaginano che senza lavoro sarebbero delle non-persone, dei non-esseri. È un racconto sociale che va cambiato. Quando sento tanti uomini che dicono “le donne vogliono la parità ma non ci vengono con me in miniera, all’altoforno, a zappare la terra” rispondo: ma se questi lavori sono disumani e sfruttanti, la parità non sta nel farli fare anche alle donne. La parità sta nel liberarsi tutte e tutti dei lavori disumani e sfruttanti.

L’esercizio della parità è da distinguere dal diritto alla parità

Il concetto di parità che esprimi va ben oltre il cosiddetto “diritto alla parità”.

L’esercizio della parità è da distinguere dal diritto alla parità.  Nelle nostre vite questa parità non c’è, malgrado sia prevista dalla legge. Evidentemente esiste un insegnamento culturale più forte: molti uomini hanno dentro di sé una legge superiore a quella che si è data la società, pensano sia più giusta e agiscono in base a quella. I femminismi hanno identificato questa forza culturale da un pezzo: si chiama patriarcato ed è molto più forte delle leggi che gli uomini della nostra società, almeno sulla carta, si danno tra loro.

I femminismi possono dunque diventare uno strumento per liberare dalle oppressioni tuttə?

Il conflitto non è tra i generi, ma tra chi ha deciso di avere più potere a discapito di chi ne ha meno. Riconoscere questa gerarchia verticale è ciò che hanno fatto e stanno facendo tanti femminismi. Raccontare che c’è qualcuno, pochissimi uomini, che hanno un enorme potere su tantissimi e tantissime altre, spacciando questa situazione per naturale, per normale, come se l’uomo per sua natura non avesse alcuna alternativa al vivere così. Questo è un racconto falso, di potere che non c’entra nulla con la realtà dei generi. Se ne sono rese conto prime le donne, perché sono quelle che stanno sul gradino più basso della gerarchia, assieme a qualunque altro genere non etero maschile. Dobbiamo uscire da questi schemi, perché sono oppressivi per tutte e tutti. Molte delle cose che non ti piacciono della tua vita dipendono proprio da questo. E finché non lo riconosci, non lo chiami per nome, continuerai a soffrire delle conseguenze di un fenomeno che non sai governare.

È necessario dunque un cambiamento culturale. Come lo possiamo attuare?

Il cambiamento di cui abbiamo bisogno come uomini, passa attraverso il graduale stravolgimento delle nostre abitudini quotidiane. Innanzitutto, posso cambiare atteggiamento nei confronti delle relazioni più immediate che ho intorno a me. In breve tempo, saremo in gradi di renderci conto di quanto le cose vadano molto meglio una volta che ci si è lasciati alle spalle ruoli e schemi che pensavi essere tuoi per forza. Altre azioni sono un ripensamento dell'ambiente domestico e dei linguaggi che si usano. Che cos’è, se non un sopruso, il fatto che un genere si arroghi per esempio il diritto di parlare del corpo altrui quando e come gli pare, spacciandolo addirittura per complimento? Eppure questa rimane un’abitudine culturale diffusa, perché il genere maschile è educato ad esercitare il proprio potere potere a discapito di corpi altrui.

Mettere in discussione questo non significa togliere potere agli uomini, significa scoprire quanto sono più belli i rapporti con l'altro

Cosa succede quando mettiamo in discussione questo paradigma?

A differenza di quanto si è portati a pensare, mettere in discussione alcuni atteggiamenti non significa togliere potere agli uomini, significa scoprire quanto sono più belli i rapporti interpersonali. Se permetti alle persone di esprimere liberamente per esempio i propri desideri diventa possibile scoprire anche nuove forme di sessualità, di relazioni non più basate sulla conquista, sul collezionare più sesso possibile, sulle prestazioni, sempre a tutta forza. Una volta scardinati alcune schemi diventa possibile scoprire quanto sia bello fare le cose più liberamente, lasciarle esprimere, lasciar uscire il proprio desiderio e farlo incontrare con quelli altrui. Ma gli uomini tra loro non parlano di questo, perché è una delle cose che ci insegna il patriarcato: “tu, maschio, non devi parlare di questi problemi”.

Ritieni che il dialogo sia una pratica da adottare per avvicinarci al cambiamento di cui facevi menzione?

Parlare tra uomini di determinati argomenti è già di fatto un cambiamento. È bellissimo scoprire quante cosa abbiamo da dirci tra generazioni diverse di uomini: il giovane che spiega al meno giovane del perché certi schemi non funzionano è un’esperienza meravigliosa, perché avviene senza violenza e senza alcuna costrizione. Questo è rivoluzionario, perché scopri che il tuo simile ha gli stessi problemi, che non sei tu quello strano, che non sei tenuto a tenerteli dentro o superarli nell’unico modo che ti è stato insegnato. Si può fare altrimenti e no, non significa che sei meno uomo. 

L’abitudine è un potentissimo mezzo di convincimento e ti sembra impossibile fare in una maniera diversa

Che messaggio vuoi lasciare ai lettori di salto.bz?

Im primis cercare di uscire da un’educazione maschile che non avete scelto. Chiedetevi se c’è un’alternativa alla maschera dietro la quale vi state nascondendo. L’abitudine è un potentissimo mezzo di convincimento e sembra impossibile fare in una maniera diversa. In realtà è facilissimo e innesca subito un cambiamento nelle persone che avete intorno. L’importante è avere voglia di farlo, avere voglia di capire che con le cose che già sai, con gli schemi che già segui, con le pratiche che già metti in atto, certe cose non funzionano, non sono soddisfacenti. E allora parliamone, cominciando a chiederci: come si può fare in altro modo?