Trenta e non sentirli
La Juve ha appena aggiornato il proprio palmares.
Sul numero di scudetti c'è il solito balletto delle cifre che contraddistingue i grandi eventi: gli organizzatori sostengono siano trentadue, la questura (coadiuvata da un discreto numero di procure) ne conta trenta.
Fino a non molto tempo fa, un pomeriggio come quello di oggi lo avrei passato attaccato a TV, radio, siti internet o qualunque altra tecnologia mi avesse permesso di seguire Catania-Roma.
Avrei compiuto riti scaramantici ritenuti eccessivi anche dal Maestro Do Nascimento e millantato origini catanesi, così da poter gufare la Roma senza eccessivi scrupoli di coscienza.
Avrei devoluto in beneficenza mezza corda vocale ad ogni gol del Catania e, a fine partita, afono ma felice, avrei partecipato alla classica sfilata senza meta e senza senso che tanto bene fa ad ogni italiano medio.
Da quel "non molto tempo fa" sembra in realtà essere passata un'eternità.
Gli eroi della mia infanzia hanno abbandonato l'immagine dei "senza macchia", collezionandone un numero, di macchie, tale da far sembrare a tinta unita dalmata e giaguari; e poco importa che gli altri abbiano commesso illeciti simili o peggiori, o che abbiano beneficiato di prescrizioni o di provvedimenti ridicolmente mirati ad ottenere vantaggi.
Poco importa, dicevo, ma mi correggo subito: è drammaticamente importante. Tutto ha contribuito ad avvelenare ogni discussione e ad esasperare animi che peraltro spesso partono con l'indubbio vantaggio di una stupidità sesquipedale.
Oggi ho cercato di fare mente locale, e di ricordare una discussione del lunedì basata sulla bellezza del gestito tecnico/atletico e non sulla malafede arbitrale, sul numero di stelle da attaccare alla maglia, su quanto cartone ci fosse nello scudetto di chi o su quale fosse il bilancio (o la causa) della guerriglia.
Non ce l'ho fatta.
Il giocattolo s'è rotto, ed è un peccato.
È un peccato per il bambino che correva sul cemento di un paesino del crotonese, cercando di fare gol in una porta fatta con due pietre (sull'esatta collocazione della traversa sono ancora pendenti due processi in cassazione), credendo di essere Baggio.
È un peccato per il ragazzino che procurò un esaurimento al videoregistratore continuando a mandare avanti e indietro la videocassetta con il gol di Del Piero alla Fiorentina (e che compromise buona parte delle proprie articolazioni cercando di imitarlo).
È un peccato per il giovane che il 05.05.2002 festeggiava lo scudetto in un inter club (in compagnia di un caro amico, che lo aveva improvvidamente invitato ad assistere al trionfo della beneamata).
Complimenti, dunque, ai ragazzi di Conte e biasimo, forte biasimo, a tutti quelli che mi fanno pensare:
"Trenta, e non sentirli..."