Society | Commento

Sacro cuore e mare salato

Stasera brilleranno i fuochi sulle montagne del Tirolo. Una tradizione che emana bagliori paradossali, specialmente in un'epoca che confonde ancora politica e sacro.

Il Tirolo è una terra in cui le tradizioni vengono molto apprezzate. Tra queste, una delle più scenografiche è sicuramente rappresentata dall'accensione, sulle cime delle montagne, di grandi falò a forma di cuore per ricordare un evento storico che ha nel tempo assunto un notevole valore identitario, piegandosi dunque a molteplici interpretazioni.

Ecco come lo storico bolzanino Carlo Romeo ne ha riassunto i tratti peculiari: “Per il Tirolo il patto col Sacro cuore ha una data ben precisa. Il 1° giugno 1796 il comitato ristretto della dieta tirolese delibera formalmente di celebrare ogni anno la festa del Sacro cuore, auspicandone l'aiuto e il soccorso nella grave situazione di pericolo in cui si trova la patria. L'armata del generale francese Bonaparte, infatti, sta avanzando da sud, sbaragliando le resistenze asburgiche. I diavoli francesi, come vengono chiamati nelle prediche dell'epoca, non sono soltanto nemici nazionali ma anche portatori di idee rivoluzionarie che mettono a soqquadro l'ordine antico, basato sull'alleanza tra trono ed altare”.

Ora, se guardiamo solo alla ricorrenza storica, il richiamo al trono, all'altare e anche ai diavoli può assumere una connotazione innocua, o per così dire semplicemente folcloristica. Può però anche caricarsi di una simbologia assai ingombrante lungo la linea che, dal famigerato “Gott mit uns” di stampo nazista, oggi si allarga fino a suggerire la rinascita dell'ideale teocratico, tristemente in auge in alcune società completamente assoggettate ad una variante assolutistica dell'Islam.

Il nesso è stato opportunamente fatto notare al margine della polemica che, nei giorni scorsi, ha coinvolto l'Heimatbund e la Caritas. A fronte della richiesta, avanzata dall'associazione patriottica, di divulgare tra gli immigrati il significato dell'usanza locale, i responsabili della Caritas hanno ribattuto in modo opportuno: “Serve prudenza nel collegare Dio e politica, religione e guerra, soprattutto di fronte a persone che sono state perseguitate accampando motivi religiosi in un mondo dove molti fanno ancora guerre in nome di Dio”.

Da quest'ultimo punto di vista non sarebbe male se, per una volta, gli addetti alla difesa delle nostre tradizioni imparassero a non scherzare col fuoco (è il caso di dirlo) e diventassero consapevoli di quali tragici paradossi può macchiarsi la predica dell'integrazione se viene utilizzata la porta sbagliata. Con una parabola: dare da bere agli assetati vuol dire porgere loro un bicchiere d'acqua potabile, non risospingerli nel mare salato dal quale sono stati appena tratti in salvo.