Culture | Salto Afternoon

Ivan, Linda & Bobby

Merano Jazz 2019 con tre concerti straordinari di Ivan Lins, Linda May Han Oh e Bobby Previte, numeri primi della scena internazionale.
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Foto: Merano jazz

Ascoltare musica jazz è come nuotare nell’universo dei suoni, di volta in volta ci si tuffa, ex novo, ma è sempre diverso: può essere lo stesso percorso, le stesse acque, lo stesso punto di partenza, ci saranno sempre tante varianti. Nasce, infatti, il jazz come stile musicale a cavallo tra il XIX e il XX secolo negli Usa, nei club di New Orléans, quando canti di lavoro derivanti dal continente africano grazie all’importazione di schiavi iniziarono a mescolarsi a melodie più o meno classiche di musiche dei coloni bianchi. Si evolve rapidamente in varie tipologie tanto ché si parla di Jazz Age dei Golden Twenties da cui poi scaturiscono tanti sottogeneri e molteplici fusioni dando vita all’ampio spettro contemporaneo di cui si può avere un assaggio a Merano nei giorni tra il 10 e 14 luglio in occasione di Merano Jazz. Per il 23esimo anno consecutivo tornano grandi personalità nella cittadina sulle rive del Passirio per esibirsi sul palco e anche insegnare nonché formare nuove leve. Apre la rassegna Ivan Lins, musicista compositore di origini brasiliane cresciuto a Boston e destinato dagli studi a fare il chimico: nei primi tempi si dilettava a suonare il piano e comporre brani, poi via via le sue canzoni sono state interpretate nell’arco della sua cinquantennale carriera dalle voci femminili più famose del calibro di Sarah Vaughan, Barbara Streisand e Ella Fitzgerald. I suoi brani sono segnati dal ritmo brasiliano che spesso va a sposarsi con tonalità della musica afro-nera, infatti nell’ambito della sua stessa carriera di cantante la sua strada si è spesso incrociata con altri grandi jazzisti americani (Quincey Jones) e anche italiani (Giovanni Ceccarelli e Ferruccio Spinetti). Nell’estate 2019 a Merano, nella sala del KiMM (dove hanno luogo tutti e tre i concerti serali) il pubblico può apprezzare non solo la voce di Ivan Lins ma anche l’agilità delle sue dita sulle tastiere, assieme a quelle sul piano di Antonio Faraò, alle percussioni di Alfredo Golino e il basso di Aldo Mella, nonché ancora la voce di Nanni Zedda e la chitarra di Giorgio Sarci, nel corso di una serata intitolata – non a caso – Chemical Tale


Seconda sera, secondo ospite, già noto al pubblico meranese avendola sentita l’anno scorso nel gruppo di Pat Metheny: Linda May Han Oh. Nata in Malaysia e cresciuta a Perth in Australia, ha studiato dapprima pianoforte e basso finché cambiò al basso elettrico esercitandosi molto con i song dei Red Hot Chili Peppers. Ne segue una rapida ascesa all’orizzonte dell’universo jazz vincendo parecchi premi tra il 2008 e il 2010 in varie realtà formative tra gli Usa e Berlino, tra cui presso la Manhattan School of Music studiando tra gli altri con Jay Anderson, John Riley e Dave Liebmann. Ha suonato con Steve Wilson, Geri Allen e Vijay Iyer, e dal 2009 ha creato alcuni Solo-album e si è già profilata nello scrivere musiche per il cinema, frequentando i laboratori del Sundance Festival. Di sicuro a Merano trascinerà il pubblico esibendosi in quartetto con sassofono (Greg Ward), chitarra (Matthew Stevens) e batteria (Allan Mednard), già partenza ottima sul piano degli strumenti per far vivere in pieno i ritmi afro-americani tanto amati all’insegna del titolo del concerto Oh! Oh! Oh!


Terzo ospite, terzo concerto e grande clou finale: la Bobby Previte’s Classic Bump Band nel suo Twenty Year Reunion Tour direttamente dagli Usa. La “Bump” è la band dove il batterista Previte, che ha sempre guardato con un occhio e ascoltato con un orecchio (e forse con tutt’e due) il grande maestro nero della batteria jazz Max Roach, aveva riunito Jay Anderson al trombone, Marty Ehrlich al sassofono, Wayne Horvitz al piano e Steve Swallow al basso elettrico. Tra strumentazione e personalità che li suonano questa formazione dava ampia prova di sé nell’interazione tra composizione e esecuzione, tra note scritte e note libere, tra seguire una traccia scritta e la libera improvvisazione. Vent’anni dopo – si dice nella denominazione del Tour, per cui sarà da non perdere questo appuntamento che chiude Merano Jazz 2019 curato da Vincenzo Costa il 12 luglio con l’augurio di Heart Skip a Beat. Nato nel 1951 a Niagara Falls (chissà se il rumore delle cascate ha determinato la sua indole musicale?) aveva studiato economia e percussioni, binomio interessante che lo ha condotto a collaborare con John Zorn, di cui registra nel 1985 Sonny Clark Memorial (già con Horvitz al pianoforte). I suoi interessi spaziano nel mondo delle arti, e appena visto i dipinti di Joan Mirò ne rimase talmente colpito da voler creare lui qualcosa per celebrare quell’infinito universo immaginario e ne nascono The 23 Constellations of Joan Mirò del 2008, omaggio più unico che raro al pittore barcellonese dai segni giocosi e colorati che incantano grandi e piccoli.


Come da ormai diciotto anni parallelamente alle tre serate si svolgono i seminari della Mitteleuropean Jazz Academy che chiama giovani musicisti da tutto il mondo per partecipare alle masterclass tenute da docenti provenienti altrettanto da Europa, Africa e America. Le tante lezioni sonoaperte però a tutti, professionisti e non, basta saper leggere le note musicali e aver destrezza sul proprio strumento. Il focus scelto per l’edizione 2019 dai due direttori dell’accademia, Franco D’Andrea e Ewald Kontschieder, è la musica africana dell’ovest: Artist in Residence è il già citato Jay Anderson, grande trombonista, assieme ai due Special Guests Mamadou Diabaté & Hamidou Koita, percussioni e voce. Accanto al “maestro” in residence da sempre, lo stesso Franco D’Andrea, tra i jazzisti italiani più noti anche all’estero, una lunga lista di altri docenti nelle discipline di basso, sax, clarinetto, pianoforte e voce, provenienti dall’Italia e la Germania per favorire la connessione tra il jazz del Nord- e Sudeuropa.


Due parole su Mamadou Diabatè, figlio di una dinastia di griot del Burkina Faso, i cosiddetti narratori a “suon di tamburo” dell’Africa: sin dall’infanzia era immerso nel mondo musicale e nel Duemila si trasferisce poi in Austria, dove vive e lavora col suo gruppo Percussion Mania con cui ha vinto anche l’Austria World Music Award nel 2011. Collabora con Cheik Tidiane Seck, altro griot dalle origini burkinabè che già era al fianco del più noto Selif Keita del Mali. Regolarmente Diabatè torna nella sua Africa per esercitarsi nella musica poliritmica che tanto ha contribuito al jazz e tuttora ne influenza l’evoluzione con i molteplici strumenti a percussione, che padroneggia bene come ad esempio il balafon, lo xilofono tradizionale con casse di risonanza formate dalle zucche svuotate, tanto diffuso nella realtà musicale africana da esistere un Grand Prix du Triangle de Balafon nel Mali che lo stesso Diabatè aveva vinto nel 2012.

I concerti dei corsi dell’accademia avranno luogo il 13 luglio sera all’Hotel Aurora sulle Passeggiate e il 14 luglio in tarda mattinata presso la Musikschule in via XXX Aprile.