È facile farsi eleggere sindaco di Bolzano...
La domanda preliminare, ovvia, è la seguente: conviene farsi eleggere sindaco di Bolzano?
La risposta, altrettanto ovvia, è: beh, dipende.
Dal punto di vista economico ci sono pochi dubbi. Il sindaco di Bolzano è forse quello medio pagato fra tutti i primi cittadini italiani. Guadagna circa € 13.000 lordi al mese pari a un totale annuo, sempre lordo, di oltre € 150.000. Anche al netto di contributi e prelievo fiscale, si tratta di una bella sommetta, ben superiore ad esempio, a quella percepita dal sindaco di una metropoli come Milano che deve accontentarsi di meno di € 10.000 lordi al mese.
Il lavoro è indubbiamente impegnativo. Occorre mettere nel conto di dover passare qualche serata fuori di casa e sul bilancio gravano le spese per la camomilla da ingurgitare a litri per far fronte alle intemperanze di qualche consigliere (della maggioranza sia chiaro, non dall'opposizione).
Un tempo però i sindaci di Bolzano guadagnavano molto ma molto meno e lavoravano forse più di adesso. Non avevano ad esempio un presidente del consiglio comunale incaricato di gestire le sedute al posto loro.
L'attuale normativa che regola i compiti ed emolumenti del nostro primo cittadino è, infatti, abbastanza recente e risale alla metà degli anni 90 quando si è cercato di introdurre anche nel sistema elettorale altoatesino il principio dell'elezione diretta del sindaco. In precedenza, dal 1948, anno delle prime libere elezioni comunali dopo la guerra, i sindaci erano nominati dal consiglio comunale eletto con il cosiddetto sistema proporzionale, quello in cui, tanto per capirci, ogni partito che si presenta ottiene un numero di consiglieri proporzionale appunto ai voti ottenuti.
A Bolzano, da questo punto di vista, la questione si presentava abbastanza semplice. Il sindaco era inevitabilmente di madrelingua italiana e a esprimerlo era senz'altro il partito di maggioranza relativa tra gli italiani, ovverossia la Democrazia Cristiana. Quando la Dc presentava la sua lista per le comunali, si poteva esser ragionevolmente certi che al capolista, all'indomani delle elezioni, sarebbe toccato il compito di mettere insieme una coalizione di partiti alleati, scrivere un programma, presentarsi in consiglio ed essere eletto.
Chi in quei tempi avesse voluto diventare sindaco doveva dunque superare due ostacoli. Il primo, il più difficile forse era quello di farsi candidare, destreggiandosi tra le varie correnti della Dc altoatesina, evitando tranelli e d'imboscate. Fu allora che un politico in vena di facezie elencò, in ordine di pericolosità crescente, gli avversari di un aspirante candidato: nemico, arcinemico, compagno di partito, compagno di corrente. Superata vittoriosamente questa prima fase il nostro candidato doveva affrontare la campagna elettorale vera e propria e, dopo di essa, la fase, non meno perigliosa, delle trattative per la formazione di una maggioranza. In quegli anni a Bolzano le coalizioni avevano uno schema abbastanza prevedibile. C'era la SVP, alleato d'obbligo, cui spettava ovviamente l'onere di indicare il vicesindaco, e poi, immancabili, i partiti della cosiddetta area laico- socialista, fedeli compagni di strada dello scudocrociato, con qualche assenza o qualche momentaneo dissapore a rendere più vivaci le cronache politiche del tempo.
Bolzano, in quei decenni, è stata governata da un numero tutto sommato assai ridotto di primi cittadini. Mettendo in fila i nomi di Lino Ziller, Giorgio Pasquali e Giancarlo Bolognini si copre un periodo che va addirittura dal luglio del 1948 all'agosto del 1983. Sono stati forse gli anni più difficili per il capoluogo altoatesino, passato dal tumultuoso sviluppo dell'immediato dopoguerra al congelamento politico e urbanistico determinato dalla grande crisi della prima autonomia del passaggio progressivo di competenze alla Provincia. Sono stati gli anni della grande carenza di alloggi e infrastrutture, quando l'ufficio del sindaco era meta obbligata, non di rado, per i cortei di protesta degli sfrattati, dei senza lavoro, delle madri indignate per lo stato delle aule in cui venivano stipati i loro figli.
Erano anche gli anni nei quali il Comune veniva governato in buona parte da dei semiprofessionisti. Solo il sindaco, e non sempre, lavorava a tempo pieno. Gli assessori invece ne godevano solo se potevano fruire del distacco da un impiego pubblico. In caso contrario cercavano di conciliare lavoro e impegno politico. Anche gli stipendi, rispetto a quelli odierni erano ben poca cosa.
Dal punto di vista politico, come abbiamo visto la designazione del candidato sindaco, era questione squisitamente interna alla Democrazia Cristiana. Per decenni, con i mandati ricoperti da Giorgio Pasquali e Giancarlo Bolognini, la carica fu appannaggio esclusivo di quella corrente del partito indicata spregiativamente con il nome di "sinistra", facente riferimento, a livello nazionale, alla figura di Aldo Moro e caratterizzata, in campo locale, dagli stretti rapporti con alcune realtà del mondo cattolico come le Acli e soprattutto dall'impegno per una soluzione concordata in chiave autonomista del durissimo contrasto etnico di quegli anni. Una lunga fase di continuità che si interrompe, verso la metà degli anni 80 quando, Giancarlo Bolognini, eletto in consiglio provinciale, passa il testimone sino alla successiva scadenza elettorale a un altro esponente della sinistra Dc, l'avvocato Luigi De Guelmi. Questa volta però le altre correnti del partito, dominate dagli assessori provinciali Remo Ferretti e Valentino Pasqualin fanno valere il loro peso e per la prima volta il sindaco uscente non viene ricandidato come capolista. Ad essere eletto e nominato primo cittadino è Marcello Ferrari che però, dopo tre anni appena deve dimettersi con tutta la giunta per una sentenza dei giudici amministrativi. Gli subentra, come commissario straordinario, l'avvocato Giovanni Salghetti Drioli, alto funzionario della Provincia in cui lavoro, in una realtà non facile, raccoglie un consenso abbastanza vasto.
Con il resto della nostra storia ci avviciniamo tempi più recenti. Dopo la parentesi del commissariamento si torna a votare nel 1985 e candidato sindaco espresso dalla Dc è uno dei big del partito, l'ex assessore ed ex parlamentare Valentino Pasqualin. Viene eletto ma muore pochi mesi dopo al suo tavolo di lavoro. Gli subentra di nuovo Marcello Ferrari che resta in carica sino al 1995. E l'ultimo sindaco eletto con il vecchio sistema. Quando lascia l'incarico il mondo politico, terremotato dalle inchieste giudiziarie, dalla dissoluzione di molti tra i vecchi partiti e dall'ingresso sulla scena di nuovi personaggi, è totalmente cambiato.