La felicità dentro di noi
Lei si sentiva sola. Anzi, era sola. Straniera e anziana. Veniva dalla Moldavia. Stava passando un periodo difficile, una malattia dietro l'altra. Lavorava saltuariamente, qualche pulizia qua e là di tanto in tanto. E ovviamente si sentiva spesso depressa e demotivata. Quando le chiesi se aveva degli amici, delle anime dove appoggiare il cuore, mi rispose:
"Non ho nessuno, ma vorrei lo stesso essere felice stando da sola."
So cosa intendeva: La felicità deve essere trovata dentro di noi. Ho sentito parlare il Dalai Lama una volta, e ci ho provato anch'io. Lo faccio tuttora ma senza risultati consistenti. Ho cercato la felicità dentro di me tutte le volte in cui mi sentivo estranea come una goccia d'olio nell'acqua. Soprattutto quando la mia nuova realtà è diventata un altro paese, per principio più estraneo del nativo. Essere assorbita dall'acqua, essere corrente marina, calda o fredda, di superficie o profonda in un paese nuovo è una impresa travagliata. Ho insistito finché un'ombra di dubbio si è materializzata come il piccolo genio della lampada e mi ha ricordato che la realtà fuori di noi non è una cometa che ci sfiora in un millesimo di secondo per tornare dopo cento o mille anni. Mi sono accorta di aver bisogno di altro e degli altri. La realtà siamo io e te, il Tutto e l’Infinito, rifiniamo man mano quello che dentro di noi è una materia vergine da elaborare cambiando l'esterno e viceversa.
Ma non è forse la realtà, che deve o può (se non salvarla almeno) conservare la nostra anima? Oppure devitalizzarla come un dente marcio? Ho continuato a innaffiare scrupolosamente il seme della felicità dentro di me ad ogni sorgere del sole ma è la quotidianità che mi impone di sminuzzare il piccolo germoglio. Basta poco, banalmente poco. Un’impiegata dell’anagrafe, che appena sfoglia i documenti e rileva che sei “una da fuori” immediatamente ti dà del tu, anche se le regole dell’etica richiederebbero un accordo gentile tra entrambi per definire le confidenze. E per definire queste ultime serve più tempo di quello racchiuso in un'attesa snervante, in fila per un semplice timbro. Scoprire di credere ingenuamente che tutte le associazioni in nome degli immigrati lavorino per gli immigrati, tutti i sindacati per i lavoratori, lo stato per l’operaio, il deputato per l’elettore. Ancora illudersi che la maggiornanza degli esseri umani aiutino i loro simili, un padre i figli degli altri padri come se fossero i suoi.
Tutto sommato è facile pensare alla felicità come a un cantiere dentro di noi, ma praticamente si rivela irraggiungibile poiché il Sé non è un elemento staccato e tutelato dall’esterno decisamente e progressivamente malvagio. Perciò come in un circolo vizioso il sottomesso, il diverso, lo straniero, il diversamente abile, le minoranze morali (gli onesti), i clochard, i violentati nel corpo e nell’anima perderanno le battaglie con la realtà che divora le loro piccole felicità dalla nascita. In un universo dove tutto si relaziona con tutto, eternamente e continuamente, come è possibile che un'anima sola, come la mia signora straniera e anziana, ricrei la sua felicità, mentre un mega-sistema distruttivo la dissolve? Non è che cercando di farcela da soli evitiamo di usare i bisturi laddove si nasconde il male più profondo, il meccanismo che nutre una società maledettamente fallita?
Comunque, la signora ha riportato a galla le mie battaglie perse, e cosi da sola ho ripreso a plasmare la mia felicità ogni giorno. Mentre ogni giorno migliaia di persone moriranno di fame, e altri annegheranno scappando dalle guerre e dalle disgrazie, accenderò lo stesso nell'anima perpetuamente la mia speranza auspicando che diventi una speranza resistente all'esterno e pronta a relazionarsi con altre speranze. Spero che funzioni anche per chi è lontano o si sente lontano, per chi è solo o si sente solo, per chi è straniero o si sente straniero.... Ricreare tutto da capo esattamente come con la tela di Penelope, sperando che un giorno, un giorno preciso, Ulisse tornerà.