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La corsa a ostacoli dei diritti

In Italia la Legge sulla procreazione medicalmente assistita è stata, e continua a essere, fonte di discriminazione e inutile sofferenza inflitta al corpo delle donne.
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Foto: dal web

Quando nel 2004 venne approvata la Legge n. 40 sulla procreazione medicalmente assistita (PMA), fu immediatamente chiaro che non avrebbe apportato quei cambiamenti necessari per migliorare la condizione delle coppie che si rivolgevano ai vari centri di fertilità in Italia. Fortemente restrittiva, colma di obblighi e divieti inadatti e spesso dannosi, la norma fu subito oggetto di un referendum che ne chiedeva la parziale abrogazione, naufragato a causa dell'ostruzionismo cattolico. La Corte Costituzionale, nell’arco di circa 10 anni, ha fatto tuttavia cadere diversi divieti, a partire da quelli più controversi e discriminatori per la donna e per le coppie portatrici di malattie ereditarie, fino ad arrivare all’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa, una tecnica che ricorre all’utilizzo di un gamete esterno alla coppia, permettendo così ai futuri genitori di rimanere nel territorio nazionale e non affrontare costosi viaggi oltre confine. Resta comunque in piedi una legge che ad oggi richiederebbe un nuovo intervento parlamentare, alla luce non solo delle pronunce della Consulta, ma anche delle condanne che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha inflitto all’Italia
La legge n.40 si è sempre caratterizzata, e per alcuni aspetti si caratterizza ancora, per un impianto altamente limitativo, permettendo solamente alle coppie affette da infertilità di accedere alla PMA e lasciando fuori tutte coloro che, pur soffrendo di altre patologie, avrebbero comunque potuto ricorrervi per ottenere un trattamento più adeguato. La norma non ammetteva la selezione degli embrioni, ma l’obbligo d’impianto di tutti, anche degli embrioni non sani, portatori di patologie che i genitori non avrebbero voluto trasmettere ai propri figli. Inoltre si prevedeva un limite alla loro creazione e un obbligo di trasferimento immediato nell’utero della donna, soggetto destinatario delle maggiori discriminazioni di questa legge. 

In caso di fallimento del primo ciclo le donne si sarebbero dovute sottoporre di nuovo all’intero trattamento, con conseguenze non indifferenti sulla loro salute fisica e mentale.

Le donne che sceglievano di sottoporsi alla PMA avrebbero dovuto completare una pesante stimolazione ormonale per produrre più ovuli che sarebbero stati utilizzati solo in un numero massimo di tre e, una volta fecondati, sarebbero dovuti essere impiantati, sani o malati, il prima possibile e in un'unica soluzione. In caso di fallimento del primo ciclo le donne si sarebbero dovute sottoporre di nuovo all’intero trattamento, con conseguenze non indifferenti sulla loro salute fisica e mentale.  Queste pesanti restrizioni, assieme al divieto di fecondazione eterologa, hanno fatto sì che molte coppie preferissero recarsi all’estero, in paesi più aperti, come la Spagna, altre invece hanno deciso d’iniziare sin da subito il faticoso percorso dei ricorsi costituzionali. 

La ricerca guarda avanti, nonostante tutto

Nonostante le difficoltà derivanti dalla legge in questione, in Italia sono nati diversi centri d’eccellenza per trattare l’infertilità. In Alto Adige, per esempio si trova il Centro di Sterilità dell'ospedale di Brunico che accoglie numerose coppie provenienti anche fuori provincia. Secondo la responsabile, la Dottoressa Maria Theresia Kammerer, i centri hanno saputo rispondere bene ai vari tagli che la legge 40 ha subito nel tempo. Nella fattispecie si sono dotati di contenitori di azoto liquido per la crioconservazione e formato personale capace e flessibile, in grado di sviluppare un alto livello di professionalità nonostante le difficoltà dei limiti imposti. Sebbene infatti persista tuttora il divieto di ricerca sugli embrioni non impiantati, in Italia si è sviluppata la sperimentazione sulla crioconservazione degli ovociti, la quale ha permesso ai ricercatori italiani di condividere le proprie scoperte con altri centri di ricerca europei.  


Per Kammerer l’atteggiamento verso i problemi di fertilità è cambiato in positivo nel corso degli anni. La donna non è più stigmatizzata come unica responsabile di un'eventuale impossibilità di procreare grazie a una maggiore consapevolezza dei diversi fattori che influenzano la possibilità di diventare genitori: "Sebbene l'età rimanga la variabile principale - ricorda la responsabile - anche lo stile di vita e le abitudini alimentari contribuiscono ad influenzare il dato della fertilità. Comportamenti valutati pericolosi per la salute della persona, quali il fumo, l’assunzione di sostante stupefacenti o il peso eccessivo, negli anni più recenti vengono considerati pericolosi anche per quanto riguarda il rischio di sterilità".
Se l’atteggiamento verso la fertilità femminile sta lentamente cambiando, il recente affossamento del DdL Zan porta a ricordare anche l’esclusione sistematica delle coppie omogenitoriali e delle donne single dalla procreazione assistita, una discriminazione percepita e registrata anche in Alto Adige: è proprio la Dott.ssa Kammerer a riferire di diverse richieste pervenute al Centro di Brunico alle quali, per ovvi motivi, non è stato possibile dare seguito alcuno.