Society | Immigrazione

Parità come premessa per l'intercultura

Per poter essere effettivamente interculturali gli interventi devono poter incidere anche sulla condizione sociale vissuta dagli immigrati, perché l'intercultura richiede relazioni paritarie. Nuovo intervento per salto del sociologo Adel Jabbar.
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Foto: © unibz

Ngugi Wa Thiong 'o, scrittore keniota nel suo libro ("Spostare il centro del mondo. La lotta per le libertà culturali, Meltemi, Roma, 2000) ci descrive l'incontro tra culture, partendo dalla propria esperienza. In uno dei capitoli presenti nel volume racconta di come ha dovuto sostituire la lingua nativa, il Kikuyu, con l'inglese. Per apprendere questa lingua ha prima imparato la posizione geografica dei diversi luoghi dell’Inghilterra, quando non conosceva nemmeno i luoghi del Kenya. Inoltre ogni mattina, quando andava a scuola, dopo aver passato l’ispezione d’igiene personale davanti alla bandiera del Regno Unito, l’intera scuola entrava in Cappella per cantare, in inglese, “luce benigna guidami, portami fuori dal buio che mi circonda…”.
La propria lingua, la propria cultura, appariva come il buio dal quale dover uscire per poter abbracciare una lingua e una cultura "illuminata". I modelli culturali quando entrano in contatto entrano spesso in una relazione asimmetrica: esistono modelli dominanti e modelli dominati, modelli  centrali e modelli periferici.

Non a caso oggi diversi antropologi sostengono che da un rapporto asimmetrico fra modelli culturali non avvengono ibridazioni, bensì sostituzioni, sottolineando in tal modo che il cambiamento è unidirezionale. E di fatto molti popoli sotto il dominio coloniale hanno dovuto sostituire la lingua, il proprio credo e la visione del mondo. Parlando dell'incontro tra persone provenienti da contesti territoriali diversi, pertanto, è opportuno considerare i rapporti di forza che entrano in gioco.

“Intercultura” e parità
Quando si parla di “intercultura” spesso si trascura un fatto, o meglio, si privilegia il parlare delle differenze culturali e si dimentica un altro aspetto che è molto importante, determinante, ossia che di fronte a noi ci sono delle persone nella condizione di immigrati. Una condizione che ne richiama un'altra, quella della disuguaglianza sociale. La differenza culturale non può sostituire e coprire, come a volte accade, le disuguaglianze sociali che caratterizzano il vissuto degli immigrati. Per cui gli interventi cosidetti interculturali per essere tali devono poter incidere anche sulla condizione sociale vissuta dagli immigrati, perché l'intercultura richiede relazioni paritarie. Gli immigrati ancora oggi, per diversi motivi, non vivono questa situazione di uguaglianza contrattuale  necessaria per poter entrare in una relazione interculturale. 

E' dunque necessario operare per rimuovere gli ostacoli alla parità, quindi promuovere una politica di empowerment agendo sulle disuguaglianze sociali. In questo modo si valorizza anche il bagaglio di saperi così come si valorizzano le soggettività delle persone provenienti da contesti culturali. L'intercultura non può imprigionarsi dentro un'astratta concezione differenzialista, che spesso poi sfocia in una retorica vacua, senza toccare i temi reali, socialmente concreti che stimolano il ragionamento e il rinnovamento nel campo della cultura della cittadinanza e della democrazia.

 

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Brigitte Foppa Sun, 09/08/2013 - 22:45

L'altro giorno alla radio una rappresentante dei "Freiheitlichen" ha raccontato un episodio in cui lei da "indigena" si è sentita discriminata rispetto a una persona immigrata.
Quest'ultima aveva sostenuto, allo sportello del Comune, di non dover pagare una marca da bollo (evidentemente era mal informata).
La signora dei Freiheitlichen era stata in coda dietro alla "straniera" ad ascoltare il diverbio e nella trasmissione raccontava con enfasi e indignazione questo suo sentirsi "discriminata".
La scena è microscopica ma deve preoccupare lo stesso. Perché l'assunto alla base di questo racconto è questo: Se un sudtirolese mette in dubbio una marca da bollo, allora è l'espressione di un sano scetticismo verso la burocrazia. Se lo fa un "immigrato", allora è arroganza.

Sun, 09/08/2013 - 22:45 Permalink