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“Spero di essere alternativo come Gesù”

Don Paolo Zambaldi, sacerdote bolzanino, sulle responsabilità della Chiesa, i giovani e la fede, il mondo digitale e le etichette che vanno strette.
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Foto: Don paolo

Don Paolo Zambaldi, nato a Bolzano nel 1985 e ordinato a Bressanone nel 2016 è un sacerdote che vale la pena di conoscere, sia che si sia cattolici praticanti, che non.

Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia, Don Paolo è un punto di riferimento per la comunità cattolica bolzanina e non solo. Con il suo blog www.donpaolozambaldi.it interagisce con un vasto pubblico e porta avanti tematiche che la Chiesa spesso non è solita affrontare.

 

salto.bz: Don Paolo, chi ti conosce ti definisce un prete moderno e alternativo. Ti rispecchi in questa definizione?

Paolo Zambaldi: Non mi piacciono le definizioni. Mi stanno strette. Cosa vuol dire “moderno”? Che sono più simile a un uomo “normale” o che sono più consapevole di altri di una realtà, di un’antropologia che cambia così velocemente? E alternativo? Chiunque scelga di seguire il Vangelo è alternativo. Gesù era un alternativo: proponeva un mondo altro, liberato dai vincoli del possedere, incentrato sull’amore e l’inclusione di tutti. Dunque, io spero di essere alternativo in questo senso… e di esserlo in modo radicale.

 

 

Un Dio e un mondo per il quale il genere, qualunque esso sia, non costituisce motivo di condanna, di disprezzo, di sofferenza. Io voglio testimoniare questo Gesù.

 

Da un po’ di tempo sei approdato anche online con il tuo blog, donpaolozambaldi.it. Come è nata l’idea di aprire un blog e quale vuole essere il suo obiettivo?

Ecco magari in questo sono moderno. Ho preso atto (come anche altri preti, religiosi e intere comunità) che il web è più frequentato della Chiesa e della libreria, che è un luogo nel quale è più facile incontrare persone, che per svariate ragioni, non frequentano spesso la Chiesa o che, anche non avendola mai frequentata, sono sensibili a certe tematiche (sociali, politiche e religiose) o che pur frequentandola non trovano un modo per approfondire, maturare la loro fede.

Come ti rapporti con il mondo digitale?

Quello digitale è sicuramente un mezzo che permette il mettersi in contatto tra realtà diverse e fisicamente molto lontane tra loro. Io, ad esempio, sono in relazione con persone e comunità in tutta Italia, proprio grazie a Internet. In questo periodo di chiusura direi che questa possibilità di sentirsi e vedersi ugualmente, è stata importante. Certo l’incontro e il vivere insieme, celebrare, parlarsi e abbracciarsi rimane un bene insostituibile.

Sul tuo blog, tra le varie sezioni tematiche, si parla di violenza sulle donne, di politica, di comunità lgbt, e tanti altri temi attuali sui quali la Chiesa raramente si esprime così apertamente. Qual è il contributo che speri di dare alla comunità affrontando tematiche controverse?

Ritengo (e con me ormai tanti altri preti e laici) che la Chiesa debba assumersi finalmente la responsabilità delle sue esclusioni. E non per essere inchinata al mondo, come dicono i fondamentalisti. Ma per essere fedele alla parola del Maestro di Nazareth, che ha testimoniato un Dio e un mondo accogliente, che non separano e non giudicano, attenti agli ultimi, ai marginalizzati, ai crocifissi dalla storia. Un Dio e un mondo che non fanno del patriarcato la cifra interpretativa della Sacra Scrittura, ma che invece liberano la donna da ogni schiavitù, emarginazione, violenza. Un Dio e un mondo per il quale il genere, qualunque esso sia, non costituisce motivo di condanna, di disprezzo, di sofferenza. Io voglio testimoniare questo Gesù. Apertamente, senza paura, con sincerità.

O la Chiesa cambia radicalmente o è destinata a scomparire

Recentemente, la Chiesa sta cominciando ad affrontare maggiormente temi di attualità controversi anche grazie a Papa Francesco, che si esprime spesso sugli accadimenti a livello internazionale. Come vedi questo aspetto del suo pontificato? Pensi che possa aiutare la Chiesa ad avvicinare più fedeli?

La Chiesa sta perdendo nel mondo occidentale il suo ruolo di guida, nonostante il papa cerchi di dare delle visioni socio-politiche ispirate al Vangelo. Lo sta perdendo per la sua incapacità di abbandonare la sua costituzione gerarchica e clericale, per l’insistenza eccessiva sul ruolo dell’unità, per la sua paura di rinnovamento teologico, per la sua tentazione costante di rifugiarsi nel sacro come luogo di insindacabilità. Per questo Francesco, che appare moderno e alternativo, non lo è poi molto perché, nonostante quel che dice, non ha cambiato quello che c’è da cambiare: non ha cambiato la dottrina sui divorziati, sugli omosessuali, sulle donne, sul celibato… non ha accettato nessuna teologia nuova, ha cassato le richieste del sinodo amazzonico, tenta di sabotare quello tedesco accusandolo in modo sibillino di infedeltà. Io penso molto semplicemente che: o la Chiesa cambia radicalmente o è destinata a scomparire.

 

I giovani di oggi faticano ad avvicinarsi alla Chiesa o più genericamente alla religione. Qual è secondo te la strada giusta da percorrere per evitare che tanti ragazzi, finito il catechismo, si allontanino dalla fede?

Non solo i giovani si allontanano ma anche gli adulti. Le ragioni sono molteplici: di ordine sociologico, culturale, valoriale. Di sicuro la parrocchia, il catechismo, i sacramenti così come li abbiamo intesi finora (una specie di “self-service del sacro”) non sono più in grado di suscitare entusiasmo. E non posso che essere d’accordo.
Esiste un problema che ha ben evidenziato un prete tedesco, Don Burkhard Hose, nel libro intitolato “Warum wir aufhören sollten, die Kirche zu retten. Für eine neue Vision von Christsein” (“Perché dobbiamo smettere di salvare la Chiesa. Per una nuova prospettiva dell’essere cristiani”): “[La situazione attuale] alimenta costantemente un’immagine di Chiesa che opera nel mondo con la pretesa ben precisa di dare risposte! Inoltre, in molte prediche e negli scritti dottrinali della Chiesa questo porta addirittura ad avere l’impressione che si diano risposte a domande che in realtà nessuno ha mai posto”.
Detto questo, quello che spererei è un cambiamento per il futuro. Quello che vorrei è che le nostre comunità diventassero un luogo di ricerca, un territorio di libertà in cui approfondire il senso ultimo della vita, un momento di condivisione e di progettazione politica, una spina nel fianco per tutte le istituzioni e ovviamente per la Chiesa. Diciamo un punto di partenza… e solo “forse” di arrivo.

Qual è l’augurio che ti fai per questo Natale? Cosa speri ci possa portare l’anno nuovo?

Il Natale è un tempo che ci ricorda l’attesa. L’attesa del nuovo, del buono, del giusto. È anche la celebrazione di un nuovo inizio, una rigenerazione, una rinascita che dà speranza e opportunità di cambiamento a tutti. Lo sentiamo particolarmente quest’anno, anno funestato dall’epidemia. L’augurio che faccio a tutti/e è che si possa ricominciare, che il dolore ci abbia insegnato quali sono le cose preziose, la vita, le relazioni, la solidarietà, una politica attenta al benessere dei cittadini, il rispetto della natura, la sua incomparabile bellezza. E soprattutto auguro di sperare sempre in qualcosa di nuovo e di migliore e di collaborare perché ciò avvenga.

 

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gorgias Sun, 12/13/2020 - 20:26

In reply to by Christian I

Sie haben Gott getötet, indem Sie daraus eine Idee und eine Lebenseinstellung machen. Wer besitzt noch Gottesfurcht? Wer richtet sich nach dem Willen Gottes? Wer von ihn wohlwollend spricht, stutzt ihn sich Zurecht als ein Form leicht konsumierbaren spirituellen Wellness und unverbindlichen Lebensphilosophie, anstatt um sein Wohlwollen für uns zu bangen.

Gott ist schon längst tot und ist seit das verkündet wurde, auch nicht mehr auferstanden. Gott bleibt tot. Es ist das Zeitalter des letzten Menschen.

Sun, 12/13/2020 - 20:26 Permalink
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Karl Trojer Tue, 12/15/2020 - 11:59

"Glauben" ist , nach meinem Verständnis, weder ein Meinen, noch ein Vermuten, noch ein Hoffen; "glauben" bedeutet für mich, den Sinn meines Lebens zu suchen, mich für den mir wertvollsten Sinn zu entscheiden und täglich das Risiko einzugehen, damit auch auf die Schnautze fallen zu können. Als wertvollsten "Sinn" erscheint mir die (bedingungslose) LIEBE; in Jesus sehe ich den Menschen, der sie authentisch und konsequent verkörpert, lebt. Karl Rahner (SJ) schreibt in seinem Hauptwerk, dass Jesus Christus "die Selbstmitteilung Gottes" ist; durch ihn teilt Gott (DIE LIEBE) sich uns Menschen mit, selbst wenn wir ihn an Kreuz schlagen.... Ob man das nun glaubt oder nicht, für Glaubende ist dem so... für Nicht-Glaubende mag´s anders sein, doch haben diese weder das Recht, noch die Beweiskraft, einen nicht existierenden Gott als Wahrheit zu proklamieren.

Tue, 12/15/2020 - 11:59 Permalink