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Una Casa che crea sinergie

Claudio Andolfo, Direttore dell'Ufficio politiche giovanili, su come sarà la Casa della Cultura agli ex Telefoni di Stato: "Focus sul lavoro di rete e lavoro culturale."
Telefoni di Stato
Foto: USP

salto.bz: Direttore, è notizia di questi giorni l'approvazione del programma planivolumetrico per la ristrutturazione degli ex Telefoni di Stato in Corso Italia a Bolzano. Nel 2027 dovrebbe inaugurare in quegli spazi la nuova Casa della Cultura. Perché è una buona notizia?

Claudio Andolfo: È un passaggio molto importante: si tratta di un edificio abbandonato da vent’anni o forse più, ci sono stati tentativi di utilizzarlo, ma per come è configurato non era possibile destinarlo in altro modo. Il fatto che la cultura conquisti uno spazio di queste dimensioni, parliamo di 4mila metri quadrati, è un risultato storico per la cultura. Ed è il risultato di un lavoro di squadra tra assessorati, dove la cultura esce dalla nicchia e collabora con ripartizioni più “pesanti”: lavori pubblici, edilizia, patrimonio ed edilizia agevolata.

 

 

Com’è nata l’idea?

Tutto è iniziato dal lavoro delle Consulte giovanili, sul tema del co-working, si è evoluto negli anni ed è cresciuto. Le dinamiche culturali e giovanili devono essere aggiornate, ma siamo arrivati a questa sintesi in relativamente poco tempo per l’entità dell’investimento e la portata del progetto. Non tutti si rendono conto dell’impatto che avrà, cambia completamente la geografia culturale.

Si dice spesso della mancanza di spazi in città…

Questo va oltre. Abbiamo visitato varie pratiche italiane ed europee prima di definire il progetto. Non c’è una parola per descriverlo, diciamo che è un co-working culturale. I concetti chiave sono due: lavorare in rete, in un modo nuovo rispetto a come siamo abituati a parlarne, e promuovere il lavoro culturale. Il co-working è pensato per far lavorare insieme le associazioni tradizionali con i giovani che escono dall’università, che hanno studiato per diventare operatori culturali, “creativi”, che difficilmente si intersecano con le associazioni. Le associazioni culturali hanno problemi di ricambio generazionale, i direttivi si stanno svuotando di giovani, dall’altra parte i giovani fanno difficoltà a trovare lavoro in ambito culturale, se non se lo creano da zero o vanno fuori.

Come fare incontrare domanda e offerta?

Si tratta di farle incontrare in un luogo dove c’è, ad esempio, un community manager, dove si plasmano e creano sinergie, dove la tradizione si salva e s’incontra con l’innovazione. Andiamo a creare nuovi mestieri nell’ambito culturale: mancano figure trasversali, “dinamizzatori culturali” che fanno progetti, formazione, politiche giovanili, culturali. Non è dunque una “casa della associazioni” o una “Haus der Kultur” (benché le associazioni avranno i loro spazi) ma un laboratorio per rinnovare l’intero sistema culturale locale e proiettarlo verso l’esterno.

Avrà una rilevanza solo locale?

No, l’ambizione è di essere interconnessi con l’esterno. Negli ultimi piani ci sarà spazio per residenze di artisti e collaborazioni con Bolzano Danza, Teatro Stabile, etc. Il tutto in un quartiere dove non c’è nulla dal punto di vista culturale, e questa è la sfida importante.

Lo spazio di co-working “DRIN” al piano terra è stato un apripista.

Una prova, un laboratorio, un temporary shop. Il rapporto con la cittadinanza è fondamentale: tenere impermeabile una struttura del genere al resto del quartiere sarebbe un errore. Bisogna far comunicare la Casa con i cittadini che lì troveranno non solo la sala polivalente, bensì una cultura che ha l’obiettivo di includere, una cultura non autoreferenziale, che chiede al cittadino di dire la propria, di far parte del processo. Sono le persone che riempiono di contenuti gli spazi.

 

 

Si cercherà di scardinare pure le barriere linguistiche? Esiste il rischio di una casa della cultura italiana contrapposta in qualche modo a quella tedesca?

La progettualità nasce in capo alla cultura italiana, perché siamo in contatto, o forse più permeabili, con realtà ed esperienze del resto d’Italia. Portiamo qui in Alto Adige un modello che è espressione di quel tipo di approccio culturale, ma senza essere impermeabili. Se pensiamo ad esempio agli universitari in città, rappresentano decine di comunità. L’aggancio dell’università e intercettare il suo patrimonio straordinario è assolutamente prioritario. Abbiamo il mondo in casa e il tema della lingua, del “tedeschi e italiani”, è superato completamente. Mi viene in mente un ultimo esempio.

Prego.

DRIN, dal giorno dopo che ha aperto, si è riempito di studenti universitari. Ciò dimostra che questa è la direzione giusta da intraprendere per creare un ponte tra gli universitari e il territorio.