I 5 quesiti referendari sulla giustizia
Domenica 12 giugno si vota per il referendum sulla giustizia. Accanto alle elezioni amministrative di circa mille comuni, i seggi resteranno aperti dalle 7 alle 23 in tutta Italia anche per i quesiti referendari, tutti inerenti al tema giustizia. Presentata dalla Lega e dai Radicali, la proposta abrogativa si compone di 5 domande in ambiti diversi, che spaziano dalle misure per le carriere dei magistrati all’abolizione del decreto Severino.
Il quesito dalla scheda di colore rosso riguarda proprio questo punto: il decreto legislativo 235/2012, meglio conosciuto come decreto Severino, dal nome dell’allora ministra della Giustizia del governo Monti, stabilisce l’incandidabilità o l’ineleggibilità alle elezioni politiche o amministrative, e l’eventuale decadenza dalle cariche, per coloro che sono condannati in via definitiva a più di due anni di reclusione per reati di procurato allarme sociale (per esempio mafia o terrorismo), per reati contro la pubblica amministrazione o per delitti non colposi con pena non inferiore a 4 anni. Il decreto prevede inoltre, in via automatica, la sospensione dalla carica per un periodo massimo di 18 mesi, per coloro che ricoprono incarichi elettivi regionali o negli enti locali e che sono stati condannati in via non definitiva (quando cioè la sentenza non è passata in giudicato ed è ancora possibile fare ricorso). Se dovesse vincere il sì tali disposizioni verrebbero cancellate e si tornerebbe alla situazione antecedente al decreto, durante la quale gli amministratori e i politici potevano candidarsi e rimanere in carica comunque, senza vedere scattare l’automatismo di tali misure dopo la condanna. Saranno, infatti, i giudici a decidere, caso per caso, se applicare la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. I promotori del referendum pensano che tali automatismi siano dannosi ed inefficaci per le persone coinvolte, in particolar modo nel caso della sospensione dopo una condanna non definitiva. I sostenitori del no ritengono, invece, che, nonostante la campagna referendaria si sia concentrata sulle misure di sospensione, l’abrogazione riguarderebbe poi l’intera disposizione, facendo venir meno un importante mezzo di contrasto alla corruzione.
La proposta abrogativa si compone di 5 domande in ambiti diversi, che spaziano dalle misure per le carriere dei magistrati all’abolizione del decreto Severino
La scheda di colore arancione riguarda le limitazioni delle misure cautelari: l’applicazione della custodia cautelare permette di limitare la libertà dell’imputato prima che ci sia una sentenza, per motivi, elencati dall’articolo 274 del codice di procedura penale, che prevedono il pericolo di fuga, l’inquinamento delle prove e il concreto e attuale pericolo di reiterazione del delitto da parte dell’imputato. Se dovesse vincere il sì, verrebbe abrogata l’ultima parte dell’articolo, e cadrebbe la possibilità di stabilire la misura cautelare in caso di recidiva, caso che, secondo i promotori, viene utilizzato troppo spesso nei tribunali. I sostenitori del no, pur riconoscendo che si faccia un forte uso di tale misura, ritengono che potrebbe venire a mancare un importante mezzo di contrasto alla reiterazione dei reati, già, peraltro, soggetto a limitazioni dal codice stesso, e che potrebbe essere cancellato uno strumento di protezione delle presunte vittime.
La scheda di colore giallo si riferisce alla separazione delle funzioni dei magistrati: nel nostro sistema giudiziario è possibile per i pubblici ministeri, coloro che rappresentano l’accusa, passare alla funzione di giudice, chiamato a giudicare super partes, con alcune limitazioni, non più di 4 volte durante il corso della carriera. Se vincesse il sì, questa possibilità verrebbe meno e i magistrati dovrebbero scegliere da subito in quale canale inserirsi, senza poter cambiare. I promotori ritengono che con tale separazione netta si garantirebbe maggiore equità, ma i sostenitori del no credono che il referendum non sia il metodo più adatto per decidere. Del tema, infatti, si parla da decenni e la riforma della giustizia, attualmente allo studio del Senato, contiene già delle disposizioni in materia: se dovesse passare nella formulazione attuale, i magistrati potranno cambiare percorso una sola volta e solamente nei primi 10 anni di carriera.
La scheda di colore grigio riguarda la valutazione della professionalità e della competenza dei magistrati: i magistrati sono valutati ogni 4 anni dal CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) sulla base di pareri forniti dal Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dai consigli giudiziari. Di questi organi fanno parte sia magistrati, che avvocati e professori universitari, i quali rappresentano i cosiddetti membri laici. I membri laici partecipano alla scrittura di pareri su varie tematiche organizzative e tecniche, ma non possono prendere parte alle valutazioni dell’operato dei magistrati, prerogativa dei soli membri togati. Se dovesse passare il sì, ad avvocati e professori verrebbe concesso il diritto di voto nel Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e nei consigli giudiziari, in un’ottica, secondo i promotori, di minore autoreferenzialità da parte dei magistrati e di maggiore trasparenza. I sostenitori del no ritengono, invece, che l’ammissione degli avvocati alla votazione creerebbe uno squilibrio e potrebbe minare l’indipendenza nelle formulazione delle sentenze: nei processi gli avvocati rappresentano la controparte e il giudice potrebbe sentirsi costretto e meno libero nel suo ruolo, sapendo che il suo operato verrà poi giudicato da coloro che siedono nella parte avversa. Anche in questo campo poi interverrebbe la riforma, che prevede il diritto di voto per i soli avvocati, escludendo quindi i professori universitari.
La scheda di colore verde si riferisce al sistema elettorale dei membri togati del CSM: Il CSM è composto per ⅔ da membri eletti dai magistrati e per ⅓ da membri eletti dal Parlamento in seduta comune (membri laici), accanto alle 3 cariche che ne fanno parte di diritto, il Presidente della Repubblica, il Primo Presidente e il Procuratore generale della Corte di Cassazione. Ad oggi, se un magistrato vuole essere eletto tra i ⅔ deve presentare una lista di 25 firme di suoi colleghi che lo appoggiano, ma se dovesse vincere il sì, l’obbligo di firme verrebbe meno e si tornerebbe alla procedura precedente, che prevedeva una candidatura autonoma, senza il sostegno degli altri magistrati. I promotori del referendum ritengono che l’abolizione del sistema di firme metterebbe fine alle correnti interne alla magistratura e ridurrebbe il peso degli orientamenti politici secondo cui si decide di sponsorizzare il candidato. I sostenitori del no pensano, invece, che non basti far venir meno le firme per eliminare le correnti e che il ritorno al vecchio metodo non porterebbe cambiamenti rilevanti. Anche in questo caso il tema è affrontato dalla riforma della giustizia, che prevede l’introduzione di un sistema elettorale piuttosto complesso, articolato in diverse misure, tra le quali è già inclusa l’abolizione dell’obbligo delle firme.
Perché il referendum sia valido è necessario raggiungere il quorum, vale a dire la metà degli aventi diritto al voto più uno
Perché il referendum sia valido è necessario raggiungere il quorum, vale a dire la metà degli aventi diritto al voto più uno. Si può votare anche dall’estero per corrispondenza o tornando in Italia, per recarsi presso le sezioni elettorali del comune nelle cui liste elettorali si è iscritti. Per i fuorisede invece non è prevista una norma specifica, ma questi possono votare nel luogo in cui si trovano, contattando il comitato promotore e facendosi iscrivere come rappresentante di lista in un seggio del paese o della città in cui si studia o lavora. I posti sono, però, limitati e si può, in alternativa, usufruire della scontistica sui treni prevista da Trenitalia per il ritorno nella propria sede elettorale. Gli sconti prevedono una riduzione del 70% su frecce ed intercity e del 60% sui regionali, l’acquisto di andata e ritorno deve avvenire nello stesso momento e può coprire un arco temporale di massimo 20 giorni, a ridosso del turno elettorale. È necessario, infine, portare con sé, su tutte le tratte, la propria tessera elettorale, che deve essere opportunamente timbrata per il viaggio di rientro.
Ottimo, grazie per il
Ottimo, grazie per il riassunto/i dettagli delle singole domande poste al referendum.
Certo che un referendum su temi così "tecnici" come questo è probabilmente l'ultima cosa che mi verrebbe in mente di porre alla decisione della democraziona diretta.