Culture | Il convegno

Il peso dell'8 settembre

Sarà presentata in un convegno a Bolzano la traduzione tedesca del libro “Der Riss”, di Paolo Emilio Petrillo. L'intervista con l'autore e Hannes Obermair.

L'8 settembre del 1943 non è una data che si ricorda volentieri. Il motivo è semplice: nella storia d'Italia ha rappresentato quella cesura tra il prima della guerra combattuta sotto il governo fascista a fianco dell'alleato nazista, e il dopo che solo a causa dell'armistizio di Cassibile divenne un lento, contraddittorio e dolorosissimo procedere verso la “liberazione” di una nazione allo sbando. Gli eventi dell'8 settembre, però, non costituiscono ovviamente solo qualcosa di importante per gli italiani, ma gettano altresì una luce, sia retrospettiva che prospettica, sui rapporti che li hanno legati (ed opposti) ai tedeschi. Gli effetti del cambio di fronte, dello sbriciolamento improvviso delle forze armate, della ignobile fuga dei vertici dello Stato monarchico verso Brindisi, del sorgere di una resistenza partigiana parallela al tentativo, compiuto dai fascisti, di riorganizzarsi e offrire così una sponda al vecchio alleato trasformatosi nel frattempo in “occupante”, si riverberano anche sulla parte tedesca e in Alto Adige, sensibile area di confine – vale a dire di congiunzione e frizione – tra le due sfere culturali, tanto che restano nella memoria collettiva le inopportune affermazioni dell'ex vicesindaco di Bolzano, Oswald Ellecosta (Svp), secondo il quale, per i sudtirolesi, il vero giorno della “Befreiung” sarebbe stato proprio l'8 settembre.

Due anni fa lo storico e giornalista Paolo Emilio Petrillo pubblicò in lingua italiana un testo appassionante, centrato sulla percezione germanica di quel cruciale passaggio d'epoca (Lacerazione/Der Riss - Edizioni La Lepre). Il libro colmava un vuoto, vista l'assenza di rilevanti contributi in lingua tedesca sull'argomento, ma era chiaro che soltanto puntando alla sua diffusione anche in Germania e in Austria l'operazione avrebbe potuto dirsi completata. Petrillo terminava infatti così un'intervista apparsa su salto.bz: “Una traduzione in tedesco risulterebbe sicuramente opportuna. Almeno giudicando dai primi sondaggi che ho fatto, penso però che in Germania il timore di attirare critiche di revisionismo pubblicando o sostenendo un libro che dia la parola ai tedeschi su questo argomento sia ancora piuttosto forte. Chissà, magari troverò comunque un editore coraggioso”. Una volta tanto l'auspicio si è avverato. Infatti Der Riss vede adesso la luce in tedesco grazie alla coraggiosa iniziativa di Edizioni alphabeta Verlag e sarà presentato proprio giovedì 8 settembre, a Bolzano, alle ore 18.00 presso il Vecchio Municipio (Portici, 30). Insieme all'autore, offriranno il loro contributo di riflessione Hannes Obermair (Archivio storico di Bolzano) e Luigi Vittorio Ferraris (per sette anni – 1980-1987 - ambasciatore d'Italia a Bonn e autore della prefazione del volume), mentre la moderazione sarà affidata al giornalista Lucio Giudiceandrea.

La seguente intervista si compone di due parti. Nella prima, interpellando Petrillo, abbiamo posto nuovamente il focus sul libro, i suoi aspetti salienti e quelli relativi al lavoro di traduzione (della quale lo stesso Petrillo è coautore). Nella seconda, concessaci dallo storico Hannes Obermair, abbiamo cercato di calare il possibile impatto di Der Riss nel contesto sudtirolese.

Prima parte: intervista a Paolo Emilio Petrillo

Salto.bz: Come si è svolto, sia a livello di progetto che materialmente, il lavoro di traduzione?
Paolo Emilio Petrillo: Una delle condizioni che mi ero posto scrivendo questo libro è che fosse di scorrevole lettura. Anche nella traduzione si è quindi cercato di mantenere lo stesso stile, cosa non sempre agevole considerando le diverse possibilità offerte dalle due lingue. Trattandosi di una traduzione a quattro mani, il Dr. Ingo Pfänder ed io abbiamo così adottato una sorta di “metodo ping pong”, consistente nel rimpallarci i testi, rivedendoli ogni volta, finché non fossero soddisfacenti per entrambi. La maggior parte del lavoro di traduzione è stata comunque svolta dal Dr. Pfänder, la cui attenzione e passione hanno, a mio avviso, migliorato il testo anche in termini di fonti e contenuti.

Perché l'esame di un fatto considerato finora marginale nel contesto della storiografia tedesca sull'esito della seconda guerra mondiale potrebbe rivelarsi invece utile a capire ulteriori elementi di quella vicenda?
Sono stati poi così marginali quegli eventi? Senza dubbio il luogo decisivo della sconfitta tedesca è il fronte orientale. L’8 settembre 1943 ratifica però il pieno successo militare e politico dello sbarco alleato in Sicilia (10 luglio 1943), e l’esistenza di un nuovo, non contrastato fronte, che minaccia direttamente i confini meridionali della Germania. L’occupazione della maggior parte possibile di suolo italiano diventa a quel punto per Berlino una necessità strategica, tale da spingere Hitler, contro il parere dei suo generali, a ritirare truppe anche dal saliente di Kursk, dove si sta svolgendo uno scontro decisivo con le armate sovietiche (5-16 luglio), per spostarle in Italia. Alcuni dei veterani tedeschi da me intervistati hanno detto di aver vissuto il distacco dell’Italia, l’alleato territorialmente e simbolicamente più vicino, come la conferma di quella futura sconfitta che già Stalingrado aveva lasciato presagire. Potrebbe quindi essere che non sia stata solo la ‘marginalità’ a motivare la scarsa attenzione della storiografia tedesca, ma anche altri fattori. Ad esempio la poca opportunità politica di affrontare un momento particolarmente difficile nella storia recente fra i due Paesi, quando, nel quadro del dopo-guerra, Italia e Germania Occidentale si ritrovano già a collaborare prima nella nascente Comunità europea e poi nella NATO. O la più generale difficoltà della Germania, uscita dalla guerra con il marchio dell’Olocausto, a trattare un argomento dove ci sarebbe stata da rivendicare anche qualche ragione. Il risultato però è che, pur poco presente nelle pagine stampate, la questione è circolata a lungo fra la gente, influenzando in modo sensibile l’immagine che i tedeschi hanno avuto e in parte hanno ancora degli italiani.

In che senso, allora, l'8 settembre getta una luce al contempo retrospettiva ed inerente l'attualità dei rapporti tra questi due Paesi?
All’indomani del Proclama Badoglio molti giovani soldati tedeschi si sentirono dire dai propri padri, reduci della Prima guerra mondiale e del cosiddetto “tradimento del ’15”: “Vedete? Adesso gli Italiani fanno a voi la stessa cosa che hanno fatto a noi: da alleati diventano nemici”. E queste fu anche la linea della propaganda nazionalsocialista verso l’Italia badogliana: Hitler, il 10 settembre 1943, usò quasi le stesse parole pronunciate dall’imperatore Francesco Giuseppe al momento della dichiarazione di guerra italiana all’Austria, il 24 maggio 1915: “Un tradimento di cui la storia non conosce l’esempio”. Se si vanno a consultare fonti e testimoni, si vede che in realtà, già nel 1943, la percezione tedesca dell’armistizio italiano è più sfaccettata. Tuttavia non c’è dubbio che questa lettura ha avuto una forte presa su ampi strati della popolazione tedesca, facendo sì che il ‘43 suonasse per molti appunto come la conferma del ‘15: italiani, traditori. Oggi, con il trascorrere delle generazioni, i termini si sono sveleniti e si parla piuttosto di “inaffidabilità”: italiani simpatici, anche generosi ma volubili, vanitosi e complessivamente poco affidabili. Un approccio cui corrisponde, specularmente, quello italiano sui tedeschi: bravi, certo, efficienti, ma anche arroganti e sempre con la tendenza a espandere il proprio potere, ieri con le armi oggi con l’economia. E’ un peccato; forse una più sobria reciproca percezione fra i due Paesi, e spesso una più sobria informazione, potrebbero contribuire anche a rafforzare il tentativo europeo, che oggi non sembra godere di ottima salute.

In base alle vicende descritte, è possibile secondo lei evincere qualcosa sul carattere generale dei due popoli? Oppure si tratta di contingenze non generalizzabili?
La tentazione viene a tutti, anche perché difficile che ‘luoghi comuni’ tramandati da generazioni non abbiano basi e riscontri. Tuttavia generalizzare sui caratteri nazionali è, a mio avviso, operazione da cui è meglio astenersi. Troppo alto il rischio di limitarsi a un reciproco scambio di pregiudizi, cosa fuorviante per il dialogo e ancor più per una corretta valutazione di se stessi. Meglio, direi, l’esame dettagliato di eventi o periodi storici, anche di lungo corso: una visione storica, di solito, è già una buona garanzia contro le semplificazioni generalizzanti.

Dopo il debutto in Sudtirolo, sono già previste presentazioni del libro anche in Germania?
Si, certamente. La prima sarà all’Istituto italiano di Cultura a Berlino, il 22 settembre; poi, ancora a Berlino, presso la Tucholsky Buchhandlung, e in novembre all’Istituto italiano di Cultura di Monaco. Altri incontri sono in via di definizione.

Seconda parte: intervista ad Hannes Obermair

Salto.bz: Che significato ha ricordare l'8 settembre in Sudtirolo?
Hannes Obermair: A mio modo di vedere è molto utile ricordarlo, data la sua ambigua posizione nella memoria collettiva. Con l'8 settembre si comprende benissimo il significato di una locuzione solo apparentemente logora, ovvero quella di "nazifascismo": la fase finale del nazismo e del fascismo, entrambi radicalizzati al massimo e forieri degli anni più truci del nostro Novecento. Emerge così con estrema chiarezza il carattere nefasto, di sopraffazione e continuazione della "guerra totale" scatenata da entrambi i fascismi, di cui uno stava per afflosciarsi e venne rivitalizzato proprio con l'occupazione nazista, nel contesto della "Repubblica" di Salò: un vero Stato fascista, dedito esclusivamente alla guerra e osannato peraltro da Ezra Pound allora e da CasaPound oggi. Nelle memorie private di alcuni sudtirolesi, invece, l'8 settembre significava anche la sostituzione del fascismo italiano "cattivo" con il fascismo tedesco "buono", che ambiva a recuperare la "tedeschità" della regione, seppur in nome di un disegno criminale. È ovvio che un simile giudizio, per fortuna ormai ampiamente minoritario, era congeniale ai filonazisti locali e si rivelò funzionale alla "Opferthese" [la tesi vittimistica, ndr] sostenuta da qualche ex optante.
 

E' ancora valida la tesi secondo la quale la nostra particolare condizione (sudtirolese) ha permesso una sostanziale "edulcorazione" dei due regimi dittatoriali, depotenziati reciprocamente dalla sussistenza del sopravvissuto "conflitto etnico"?
Questo "zona cieca" sicuramente è persistita molto a lungo, alimentata anche dalla stampa locale, in forma totalmente simmetrica, nonché dalle élites politiche del dopoguerra. Ricordiamoci che Silvius Magnago si oppose alla mostra sulle Opzioni del 1989, la quale metteva fortemente in dubbio lo status di semplici vittime dei sudtirolesi, e che - dopo la lunga era durnwalderiana caratterizzata da un cinico pragmatismo e da una sostanziale mancanza di autoriflessione critica - solamente il giovane Landeshauptmann Kompatscher ha rivalutato pubblicamente la resistenza sudtirolese e altoatesina come eredità più limpida del periodo totalitario. Pertanto, con l'affievolirsi del conflitto etnico abbiamo cominciato ad avvicinarci a una visione condivisa dei fallimenti novecenteschi che hanno riguardato un po' tutti, al di là delle appartenenze linguistiche.

Dunque possiamo dire che oggi siamo finalmente usciti dal lungo guado del secolo breve?
Solo parzialmente direi. Certo, l'elaborazione storiografica in merito è molto avanzata. Adesso abbiamo una storiografia e un racconto storico molto elaborato, equidistante e analiticamente chiaro, privo di retorica. Permangono comunque anche forme di rimembranza acritica e a sfondo ideologico, come quella riferita all'esodo istriano-dalmata in chiave anticomunista: i suoi fautori, quelli che chiedono continuamente di ricordare le foibe, evitano di porsi la domanda su come si sia arrivati a quel finale tragico, sorvolando in sostanza sulle sue cause profonde.

Perché è opportuno che un libro come quello di Petrillo venga letto anche in Sudtirolo?
Come dicevo, si tratta di un testo perfetto per capire veramente cosa significava (e significa) l'intreccio nazifascista. Possiamo dire che il nazifascismo sia stato sconfitto, per sempre, dalla storia, con il sacrificio di moltissimi. E' stato sconfitto dalle costituzioni repubblicane, è stato sconfitto nel giudizio di chi si occupa professionalmente del passato, ma perversamente e colpevolmente continua a essere edulcorato, travisato, se non addirittura rivalutato da frange dell'estrema destra di lingua italiana e tedesca, le quali purtroppo hanno vasto seguito tra la popolazione meno propensa a prendere in mano gli strumenti che potrebbero accrescere il suo sapere.