Politics | Abitare a Merano

Da New York a Merano: la casa che manca

Da New York a Merano, il costo della casa è diventato una questione sociale. Gli affitti salgono, le soluzioni mancano. E' tempo di una politica abitativa concreta e nuovi strumenti di finanza pubblica territoriale per rendere l'abitare accessibile
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  • Da New York a Merano: l’abitare accessibile come nuova frontiera sociale

    Negli Stati Uniti, le ultime elezioni di New York hanno riportato al centro del dibattito pubblico un tema che accomuna ormai tutte le grandi città del mondo occidentale: il costo della vita e dell’abitare.
    Il giovane democratico-socialista Zohran Mamdani ha conquistato milioni di voti con un messaggio che può apparire radicale solo a chi ha dimenticato le origini stesse della politica: l’abitare accessibile come condizione di equità e coesione sociale.

    La sua piattaforma è semplice e pragmatica: mettere un tetto agli affitti, raddoppiare gli investimenti in edilizia pubblica e sociale, coinvolgere cooperative e lavoratori del settore edilizio e utilizzare strumenti innovativi di finanza pubblica per creare nuovi alloggi sostenibili.
    Non promesse ideologiche, ma azioni concrete per rispondere a una crisi che in America — come in Europa — è ormai una questione sociale prima ancora che urbanistica.

  • L’illusione dei capri espiatori

    Anche da noi, a Merano, la discussione sulla casa tende spesso a semplificare il problema cercando colpevoli facili.
    È diventato comune attribuire l’aumento degli affitti e la scarsità di alloggi ai B&B o alle piattaforme di affitto breve.

    Ma le analisi più serie, in Italia e all’estero, dimostrano che l’impatto del turismo residenziale sul mercato complessivo è marginale rispetto alle dinamiche strutturali.
    New York è un esempio illuminante: lì, le licenze Airbnb sono state vietate da oltre due anni, eppure il mercato immobiliare non si è stabilizzato.
    I canoni continuano a salire, gli alloggi accessibili restano pochi e la pressione immobiliare non si è ridotta.
    Il problema è ben più ampio — e le soluzioni, come suggerisce il nuovo corso politico newyorkese, passano per investimenti pubblici e cooperativi, non per il semplice divieto.

  • Merano: dichiarazioni senza visione

    Oggi il Comune di Merano ha pubblicato sul proprio sito un comunicato dal titolo: “Vogliamo trovare soluzioni abitative accessibili per il ceto medio”.
    Un titolo condivisibile, ma che lascia l’amaro in bocca.
    Perché, al di là della retorica, non emergono azioni concrete, scadenze o strumenti operativi.
    Si parla di “strategie in elaborazione”, ma nel frattempo il mercato continua a escludere chi a Merano vive e lavora.

    Gli effetti sono sempre più evidenti: il mercato immobiliare ha superato ogni equilibrio tra domanda e offerta, con affitti in crescita costante e redditi che non seguono lo stesso ritmo.
    La città si trova di fronte a un bivio: continuare su questa strada significa spingere fuori i giovani, i lavoratori e le famiglie del ceto medio, cioè proprio quella parte di popolazione che tiene viva la comunità e sostiene l’economia locale.

    Il rischio non è solo sociale, ma anche economico: una città che perde residenti stabili e forza lavoro diventa meno dinamica, meno attrattiva e meno sostenibile.
    E mentre si discute, le aree pubbliche rimangono ferme, e quelle dismesse attendono da anni una riconversione che potrebbe dare risposte concrete e durature.
    Eppure, proprio da queste aree potrebbe partire una nuova stagione dell’abitare: luoghi oggi vuoti o sottoutilizzati che, se ripensati con coraggio e visione pubblica, potrebbero diventare parte della soluzione.

  • Gli strumenti ci sono: basta usarli

    Proprio da queste aree — pubbliche, dismesse o in attesa di destinazione — potrebbe partire una nuova stagione dell’abitare a Merano.
    Le soluzioni esistono, e sono già alla portata dell’amministrazione.
    La città dispone di aree strategiche (alcune peraltro pubbliche) come l’ex CAFA, via Postgranz, l’areale Edyna e il Palamainardo, che potrebbero ospitare nuovi alloggi a canone calmierato e progetti di edilizia cooperativa.

    Non si tratta solo di costruire, ma di ricucire la città, restituendo funzione e valore a spazi oggi inutilizzati e riportandoli nella disponibilità della comunità.
    In campagna elettorale avevamo già indicato una direzione precisa: destinare parte di queste aree all’IPES per l’affitto al ceto medio, promuovere partenariati pubblico-privato trasparenti e sviluppare modelli cooperativi e partecipativi.
    Serve una visione di lungo periodo e l’uso di strumenti innovativi di finanza pubblica territoriale, capaci di sostenere interventi di riqualificazione sostenibile e socialmente utile.

    Cambiare paradigma significa riconoscere che la politica dell’abitare non è solo edilizia, ma coesione sociale, mobilità, economia locale.
    Ogni alloggio accessibile in più significa un lavoratore che resta, una famiglia che cresce, un giovane che sceglie di vivere qui.
    Rinunciare a intervenire significa invece consegnare la città alla rendita e all’esclusione.

    Merano ha oggi una responsabilità chiara: passare dalle parole ai fatti.
    Perché, come insegna New York, non basta vietare: bisogna costruire alternative reali e restituire a chi vive, studia e lavora qui un abitare accessibile e una città in cui valga la pena restare.