Society | Comunicazione

La cultura alla radio

Intervista a Paolo Mazzucato, figura di riferimento della programmazione in lingua italiana della sede Rai di Bolzano.

Parlare di cultura, fare cultura, ascoltare musica (e quindi cultura).
Paolo Mazzucato da 15 anni è un asse portante della programmazione radiofonica in lingua italiana della Rai di Bolzano, soprattutto grazie al lavoro da lui compiuto nella realizzazione e conduzione del programma ‘magazine’ Zeppelin.
In questi anni Mazzucato si è distinto soprattutto per la sua capacità di raccontare, in maniera mai banale ma allo stesso sempre fruibile, il mondo cul- turale altoatesino dall’interno ma anche nei suoi fondamentali e vitali rimandi ad altre realtà na- zionali e internazionali. Con lui abbiamo voluto impostare un dialogo volto a tratteggiare nel contempo due ritratti. Quello della cultura italiana in provincia di Bolzano e quello della radio come strumento di comunicazione volto a stimolare la riflessione sulla realtà.

 

Paolo Mazzucato, di cosa è fatta l’alchimia messa in atto dal servizio pubblico radiofonico in provincia di Bolzano soprattutto attraverso il programma Zeppelin?
Zeppelin è una rubrica di attualità che cerca di raccontare l’offerta culturale che c’è. La trasmissione è una quindi sorta di osservatorio che soprattutto prefigura quello che accadrà. Si spazia ad esempio dalla presentazione di un libro appena uscito all’anticipazione di uno spettacolo teatrale, senza trascurare i temi sociali o la presenza nella nostra provincia di ‘nomi di spicco. All’interno dell’ora e un quarto di durata del programma cerchiamo di far convergere voci, personalità e tematiche anche molto diverse tra loro. Fare cultura alla radio secondo me non è tanto scegliere un tema o un argomento di tipo ‘culturale’, ma cercare di suscitare curiosità e interesse per quello che capita nella società. Proponendo il tutto in una maniera che suggerisca linee di riflessione che mettano le persone che ascoltano nelle condizioni di porsi degli interrogativi.

Possiamo fare un esempio?
Beh, sfogliando un romanzo e parlando con il suo autore a me non interessa parlare della trama del romanzo, o per lo meno non principalmente. Mi interessa invece di più confrontarmi con l’autore sui temi contenuti nel romanzo e vedere in che modo parlano a noi come persone, più che come ‘soggetto culturale’. Lo scopo principale che mi pongo è quello di parlare al più grande numero possibile di persone, parlando alle persone di quello che loro ogni giorno vivono più che dei ‘temi culturali’. Lo scopo è quello di dare la possibilità di guardare anche alla banale quotidianità, ma con uno sguardo un po’ diverso. Insomma: attraverso un libro io posso capire perché la mattina quando mi sveglio e vado a lavorare sono di un determinato umore. Attraverso un testo di teatro, una musica o una riflessione filosofica, anche il mio lavoro d’ufficio può essere in qualche modo influenzato.

La sede Rai di Bolzano ha il ruolo specifico di essere uno strumento (di comunicazione, rappresentazione della realtà, crescita e con- fronto) per la cosiddetta ‘comunità di lingua italiana’ dell’Alto Adige. In che modo questa dimensione si interseca con il lavoro svolto alla radio da Paolo Mazzucato?
Devo premettere che nella sede Rai di Bolzano non esiste una divisione netta rispetto a quello
che fanno i colleghi di madrelingua tedesca e ladina. Esternamente abbiamo i nostri canali però siamo in un contesto in cui la collaborazione e l’incontro sono davvero quotidiani. Quello che succede in Rai a Bolzano in sostanza è uno specchio della nostra società. La nostra è una casa (un Funkhaus) dove le professionalità, pur ciascuno nella propria rete, possono felicemente collaborare.
La mostra missione è senz’altro quella di dare voce alla comunità italiana, che è una delle tre nella nostra Provincia. Ma non lo facciamo con l’intento di affermare qualcosa, ma semplicemente con lo spirito di servizio di chi dice “andiamo a sentire, curiosare e vedere” quello che bolle nella pentola della cultura italiana. Che però non viene affrontata in maniera per così dire ‘settoriale’. Nel mio programma infatti spesso rientrano realtà ed esperienze che non sono ascrivibili ad un gruppo linguistico o che di fatto sono multiculturali e multilinguistiche. Com’è ovvio che avvenga in ambito culturale, vorrei aggiungere. Nessuna questione di bandiera. Noi semplicemente raccogliamo quello che di fatto avviene nella nostra società.

La radio non è però solo Zeppelin. La programmazione radiofonica in lingua italiana della Rai di Bolzano propone varie trasmissioni basate su diversi approcci, seguendo una tradizione che però negli ultimi anni si è anche molto rinnovata.
Bisogna dire che oggi l’accesso agli strumenti di comunicazione è molto più facile e ognuno può diventare in qualche modo editore. Oggi la radio per essere fruibile deve quindi avere un forte collegamento con quello che succede. Questo non vuol dire seguire la cronaca del giorno, ma invece commentare, anticipare e osservare quello che capita. Quello che noi definiamo un programma ‘chiuso’, cioè che uno registra anni e che può esse- re trasmesso in qualsiasi momento, ha senz’altro la sua dignità ma soprattutto nell’ambito della nostra offerta non è la soluzione adeguata. Quindi tutta la nostra programmazione cerca di avere un occhio di riguardo per quello che succede. Per esempio abbiamo un nuovo programma che si chiama Post It e che propone percorsi e itinerari  escursionistici, però collocati all’interno di un racconto che ci dia indicazioni anche sull’aspetto storico e artistico di quei luoghi. Proponendo magari anche rubriche che parlano di alimentazione, declinando il modo in cui qui e oggi un contadino della Val Venosta mette in pratica gli slogan principali dell’Expo di Milano. Facciamo anche programmi dedicati alla musica classica in Alto Adige seguendo la traccia dell’orchestra regionale, ma prendendo lo spunto anche per incontrare studenti del Conservatorio e dell’Istituto Musicale, associazioni che si danno da fare per diffondere l’operetta oppure che costruiscono musical da zero. Cerchiamo di essere anche attenti al sociale, incontrando chi si occupa di minori, di donne o di immigrati. Sono, queste, tutte tematiche che entrano nei nostri programmi e raccontano il territorio coinvolgendo magari attori esterni. Perché per noi è anche importante fornire delle finestre verso l’esterno, che partano sempre da quello che succede ma che ci consentano di entrare in contatto con il resto d’Italia ed anche con l’Europa. Insomma: la nostra programmazione non è ingessata e questo è anche il motivo per cui tutte le nostre trasmissioni sono in diretta o condotte come se fossero in diretta. Ci teniamo a comunicare ai nostri ascoltatori che “che siamo qui e che lo siamo proprio in questo momento”. Ripeto: non facciamo cronaca giornalistica ma cerchiamo di offrire spazi di approfondimento, e quindi anche temporalmente più lunghi rispetto alla cronaca, che consentano di osservare le cose di cui la città parla.

Quanto è importante lo spazio che riservate alla letteratura, oltre naturalmente alla musica che da sempre rappresenta un asse portante alla radio?
Ogni settimana presentiamo almeno un libro e devo dire che è davvero significativa e sorprendente la produzione a livello locale, sia come autori che come edizioni. Dedichiamo anche speciali ai festival letterari e per noi un ruolo importante è rappresentato anche dal dibattito storico, oltre che dalle le tradizioni, che cerchiamo di non trasformare in folclore collocandole invece nei contesti in cui viviamo oggi. C’è poi la storia dell’arte: recentemente abbiamo ripescato delle vecchie presentazioni che faceva Nicolò Rasmo, dei veri piccoli gioielli. Ma riserviamo grande attenzione anche per l’arte nella contemporaneità.

25 anni fa la radio aveva una sua specifica collocazione nel novero degli strumenti di comunicazione. Oggi come oggi la collocazione è diversa perché è cambiato il panorama. Lo scenario è completamente rinnovato soprattutto grazie alla cosiddetta ‘cultura digitale’, alla quale proprio tra l’altro da qualche tempo dedicate un programma che si chiama hashtag. La radio dunque è consapevole di tutto ciò. Ma qual è il ruolo ‘nuovo’ che la radio si desidera ritagliare?
Secondo me nella massa dei nuovi media la radio è quella che è rimasta più simile a se stessa. La radio ha anticipato infatti l’interattività grazie alle telefonate degli ascoltatori. Noi il contatto diretto con le persone lo abbiamo sempre avuto, molto più della televisione e della carta stampata. È chiaro che i nuovi media oggi hanno ulteriormente rilanciato questa possibilità. L’invenzione del podcast, che è già vecchia, ha ulteriormente amplificato le potenzialità comunicative della radio. L’occasionalità della trasmissione radiofonica mantiene però il suo fascino attraverso la diretta: quando tu accendi lo strumento sai che dall’altra parte c’è una persona che effettivamente ti sta parlando. Ma dal punto di vista della conservazione della memoria, la potenzialità del contenuto che tu condividi è oggi moltiplicata grazie al podcast. A qualsiasi ora del giorno e della notte uno può andare e riascoltarsi quello che è stato trasmesso. E oggi poi le trasmissioni radiofoniche possono anche essere implementate con Twitter, Facebook eccetera. Quello però che non vorrei che capitasse è che la radio diventi in qualche modo succube dei social media. Personalmente ritengo che una persona che si dedica ad un programma radiofonico ci debba mettere del suo e l’offerta di contenuti nei confronti del pubblico debba essere farina del tuo sacco.

Insomma: non dobbiamo farci travolgere dal ciclone mediatico rappresentato dai social... 
Del web occorre tenere conto, ma l’offerta radiofonica deve continuare a rispecchiare il lavoro del produttore. Molto romanticamente posso dire che lo specifico della radio è proprio la produzione, reale e concreta, non replicabile, che avviene proprio in quel momento.

E della quale è chiaro l’autore...
Sì, proprio questo è il ‘di più’ della radio.

Il tempo reale ha anche un che di effimero e che cioè si perde nell’aria. La radio però di suo aggiunge la viva voce, un elemento fondamentale. Che spesso nei nuovi media si perde.
Sì e io identifico due variabili in questo senso. La voce indica una persona, un conduttore, che vuol dire quello dice e che cura quello che esce dalla radio. Poi c’è il tempo. Su Twitter si fa presto a scrivere ‘mi fa schifo’. In radio è molto più difficile invece nascondersi dietro un ‘mi fa schifo’. La radio insomma è il luogo del contenuto per eccellenza. In radio hai in mano solo la tua voce, le tue parole. E sei responsabile di quello che dici.

Mi sembra di capire che la radio in questo modo rappresenta una garanzia. Potremmo dire che in questo modo i contenuti vengono mantenuti in una dimensione più umana e quindi rispettosa?
Secondo me sì. Con questo non voglio dire che quello che esce è garantito. Quello che è certo è che a chi ti ascolta in radio tu proponi una tua costruzione mentale del racconto. Vai al di là del ‘ti dico la mia’ per andare invece a segnalare un ‘qualcosa che vale’.

In realtà c’è modo e modo di fare radio. E anche oggi esistono diversi esempi di stili molto meno ‘eleganti’ di veicolare contenuti.
Certo: la radio è un mezzo e io non entro nel merito di quello che fanno gli altri. Dico che quello che noi facciamo qui, tendenzialmente, è cercare di raccontare qualcosa di dignitoso, che ha una sua testa e una sua coda, e tiene di conto di quella che è la nostra visione. E cioè che la radio è un ‘luogo’ dove devono esserci tempo, modo e varietà di riflessione.

Gli anni di Zeppelin sono anche gli anni in cui le pagine della cultura sui quotidiani locali hanno subìto un forte ridimensionamento e le riviste culturali fanno fatica a sopravvivere. Si tratta di un panorama in cui la comunicazione culturale in lingua italiana è in sofferenza. Che fare per uscirne?
Per fare in generale informazione ci vogliono tempo e risorse. Questo è poco ma sicuro. Le cose vanno capite per poter essere poi eventualmente condivise con gli altri. Voglio dire: questo è un problema che riguarda tutti i mezzi di comunicazione e non solo gli aspetti culturali. E ci sono anche implicazioni economiche, sociali e politiche. Una cosa è certa: fare informazione ‘di fretta’ è sempre sbagliato. E paradossalmente la proliferazione dei mezzi di comunicazione ha portato a un altissimo aumento della velocità nella produzione di informazione. Alla lunga tutto ciò è negativo per la qualità dell’informazione stessa. E oggi se tu non twitti ogni tot, sei già tagliato fuori.

Anche l’informazione e la programmazione radiofonica della Rai di Bolzano vivono questa pressione?
Secondo me la radio è stata in grado di conservare la sua fisionomia, proprio perché è stata sempre molto agile. La radio non ha bisogno di costruire chissà che per poter raccontare le cose che succedono e la radio si è evoluta con la società. Ma senza farsi massacrare dalla necessità di essere sempre all’ultimo istante sulla cosa. E anche se segue quello che avviene nell’ultimo istante, lo fa con gli stessi mezzi che aveva 60 anni fa. Perché se deve dire qualcosa non gli basta il ‘lancio’ o, oggi, un testo espresso in 140 caratteri.

Opporsi oggi alla velocizzazione apportata dai social non è controproducente dal punto di vi- sta delle possibilità di intercettare un grande pubblico?
Credo che invece possa risultare vincente. Il nostro obiettivo è quello di includere, raggiungere la più ampia platea possibile e crediamo in uno stile. Proporre un’offerta di contenuti attenta ma non frenetica è un’impostazione che penso possa piacere al pubblico.

Il fatto che la Rai sia servizio pubblico è importante da questo punto di vista?
È fondamentale e un’opportunità straordinaria. Il fatto di essere servizio pubblico non dico che ci costringa, ma senz’altro ci dà una responsabilità molto grande che sentiamo fino in fondo. Sentiamo il dovere di rappresentare, dire, e parlare di quello che succede, ma senza essere per questo elitari. Quest’ultima cosa per me è importantissima. Noi vogliamo essere molto diretti e aperti, oltre che comprensibili, mentre mettiamo insieme informazione, cultura e intrattenimento.
Però essere ascoltati per noi è fondamentale. Che io mi parli addosso e far vedere che ho letto l’ultimo romanzo che presento non interessa a nessuno. Io punto al fatto che chi mi ascolta e che magari non aprirà mai il libro di cui parlo, possa dire “beh, qui c’è qualcosa di interessante”.

- - -

Questa intervista originariamente è apparsa sull'edizione 2014 di 'Scripta Manent', l'annuario dell'Ufficio Cultura Italiana della Provincia Autonoma di Bolzano.