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Le mura di Mainardo

Il mistero di avvenimenti che fanno notizia solo a Bolzano: aperture e chiusure di centri commerciali e negozi.

Un ipotetico alieno interessato, non si capisce assolutamente perché, alle cronache altoatesine degli ultimi dodici mesi non potrebbe non accorgersi del fatto che l'argomento su tutti prevalente, ben oltre il tormentone sulla sicurezza, è quello degli spazi commerciali. Non solo, sia chiaro, il famoso e controverso Kaufhaus di Benko, ma anche, specie negli ultimi tempi, il nuovo centro commerciale di via Galilei sul quale sono state scritte pagine e pagine di cronaca, si sono esercitati, sui siti Internet e sui social media, tutti i possibili commenti favorevoli o perlopiù contrari. Un diluvio di parole che non trova riscontro probabilmente in nessun'altra realtà italiana ed europea. Solo a Bolzano l'apertura negata o annunciata qualche esercizio commerciale riesce a suscitare un dibattito che sfocia spesso in una controversia legale e che non di rado, come si è visto in questi mesi, finisce per condizionare pesantemente anche le evoluzioni delle faccende politiche.

Allo stupore del nostro alieno si potrebbe rispondere innanzitutto ricordandogli che si tratta di un fenomeno tutt'altro che nuovo. A Bolzano, da sempre se vogliamo, argomento commercio fa premio su tutto. È ovviamente una mia personalissima impressione, ma sono convinto che quando, nel 1277, Mainardo di Tirolo ordinò loro di abbattere le mura che circondavano la città i bolzanini non furono troppo rattristati nel dover obbedire. Una città murata significava assedi e guerra. Una senza protezione poteva coltivare la vocazione ad essere, sin da allora, un grande e prospero centro commerciale. La storia di Bolzano si legge soprattutto nella cadenza di fiere e mercati. Il personaggio storico di maggior rilievo è un'arciduchessa di stirpe medicea che emanò un complesso ordinamento per regolare gli scambi. Il palazzo più bello della città si chiama, non a caso, Mercantile.

Vocazione antica, dunque, che negli ultimi decenni ha dato luogo, però, ad un clima abbastanza rissoso. Solo i bolzanini con i capelli bianchi possono ricordare ancora l'apertura del primo supermercato cittadino, situato in uno spazio abbastanza ristretto, oggi occupato da una banca, accanto la Chiesa di Cristo Re, in corso Italia. Erano gli anni 60 e le bolzanine scoprirono così che si poteva far la spesa spingendo un carrello tra scaffali di prodotti in scatola e preconfezionati. Al primo supermarket modello americano ne seguirono altri sempre più grandi, ma la guerra vera e propria scoppiò a metà degli anni 80 quando la grande distribuzione parti all'assalto delle zone produttive.

Nel frattempo, il 1 marzo del 1973 per l'esattezza, era entrata in vigore della legge che per oltre trent'anni impose a tutti i negozi altoatesini la chiusura del sabato pomeriggio. Saracinesche rigorosamente sbarrate dal sabato a mezzogiorno al lunedì mattina, senza eccezione alcuna e con polemiche infinite soprattutto da parte dei turisti che arrivavano per fare compere, abituati nel resto d'Italia a ben altri orari di apertura, e si trovavano in un deserto, dato che anche bar e ristoranti tendevano, soprattutto nei centri maggiori, a seguire l'esempio dei commercianti.

A sostenere vigorosamente questa politica dei turni di apertura le associazioni dei commercianti, in particolare luogo con la maggioritaria, l'Unione del Commercio, da sempre in prima fila contro ogni tentativo di far sbarcare nel capoluogo e negli altri centri la grande distribuzione.

La prima grande battaglia, a metà degli anni 80 come si è detto, quella contro l'apertura, proprio in via Galilei, proprio dove ora è nato il nuovo centro commerciale e proprio ad opera della stessa stirpe di imprenditori, del supermercato Famila. Fu un conflitto furibondo, giocato su tutti i terreni, non ultimo quello della giustizia penale. L'allora sindaco di Bolzano Marcello Ferrari fu imputato e poi assolto con formula piena, ma la vicenda aveva squassato gli equilibri della politica bolzanina e ci volle una robusta crisi di giunta, dopo la sentenza di assoluzione, per ritrovare un'incerta pace. Nel frattempo il fronte si era spostato in un'altra periferia. Il progetto di un centro commerciale a Ponte Adige, sotto la rupe di Castel Firmiano fu contrastato in ogni modo e questa volta con successo. Lo scheletro dei capannoni che avrebbero dovuto accogliere negozi e grandi magazzini è ancora lì a testimoniare dell'efficacia delle bordate giuridiche sparate ad ogni livello, dalla giustizia civile a quella amministrativa. Persino l'apertura di un grande centro di distribuzione di prodotti all'ingrosso, riservato ai titolari di partita Iva e gestito da una catena germanica fu in tutti i modi osteggiato.

Mentre si combattevano queste battaglie la questione degli orari di apertura dei negozi bolzanini stava in qualche maniera e con molta difficoltà tornando al centro dell'attenzione.

Per comprenderne i termini basti ricordare che le prime edizioni del mercatino di Natale, che compie quest'anno i suoi 25 anni di vita, si svolsero in un quasi deserto. Alla domenica soprattutto i turisti in arrivo avevano difficoltà una volta usciti dal perimetro delle casette, a trovare un bar un ristorante aperto. I negozi neanche a parlarne. Le autorità comunali, ad un certo punto, dovettero persino imporre una sorta di turnazione per permettere agli ospiti di bere e mangiare qualcosa.

Un ricordo personale. Fu proprio in quegli anni che chi scrive realizzò un servizio televisivo in occasione della festività dell'Immacolata che oggi trascina sull'Alto Adige orde smisurate di turisti. Filmai un centro storico di Bolzano totalmente deserto, con le vetrine spente e le saracinesche abbassate. Poi, a distanza di un'ora o poco più, il parcheggio di un centro commerciale nella zona di Verona dove le targhe altoatesine si contavano a decine e non poche erano quelle di commercianti che approfittavano così delle diverse abitudini dei colleghi veneti per fare le loro spese. Era una semplice constatazione di un fenomeno ormai in crescita ma bastò per suscitare le reazioni inviperite dei difensori di una tradizione che ormai faceva acqua da tutte le parti.

Da allora tutto o quasi tutto sembra cambiato. Nel centro storico la chiusura del sabato pomeriggio è stata superata, sia pure a fatica, mentre resta un dato consolidato per molti esercizi situati nel resto della città. Ora si parla di aperture domenicali ed è questo uno dei fronti di più aspra contesa.

Probabilmente l'abnorme interesse che si registra attorno ai centri commerciali realizzati o progettati deriva proprio dal fatto che Bolzano ha dovuto farne a meno, per scelta politica e condizionamenti economici, per trent'anni almeno. Altrove, a Trento, Verona, Innsbruck tanto per restare ai centri più vicini, sono nati e si sono sviluppati tranquillamente. Oggi, mentre a Bolzano se ne apre uno di medie dimensioni, altrove si fanno già i conti con politiche diverse e con diversi modelli. Forse l'interesse quasi morboso che si accentra su questi "non luoghi", come li ha definiti l'etno-antropologo francese Marc Augé altro non è se non il prodotto di una curiosità infantile eccitata da una lunga proibizione. C'è solo da sperare che, passata l'eccitazione per l'apertura, tutto rientri rapidamente nella normalità e le migliori intelligenze bolzanine possano tornare a dedicarsi ad altri e forse più importanti problemi.

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alfred frei Mon, 12/07/2015 - 12:12

Tempo fa in una lettera al giornale A.A. mi ero permesso di accennare, con riferimento alla realtà urbanistica e commerciale di Bolzano, ai “Quattro Cavalieri dell'Apocalisse” - Podini - Benko - Tosolini - Hillebrand (Aspiag).
Mi riferivo ovviamente al fatto che non rappresentano calamità ma misteri da comprendere per interpretare l'evoluzione del sistema distributivo/logistico/immobiliare della nostra città e non solo.
Indubbiamente per il comune cittadino non è facile orientarsi fra i vari “competitor”, fra “evidenti” conflitti d'interesse, la tutela dei cosiddetti negozi di vicinato, la paura di perdere i privilegi, il ricatto dei ricorsi, il comma quinques dell'art. 55 della legge urbanistica e via seguendo.
Per chiarire un pò plasticamente, diciamo con un rendering : in alto abbiamo un borgo medievale circondato da antiche mura (i portici) fuori un cavaliere predone (Raubritter) che cerca di assalirlo, mentre in vallata periferica i nobili proprietari terrieri (Twenty – Methab – Habitat – Immoholding) si combattono più o meno allegramente fra di loro.
Ai cittadini/consumatori rimane da scoprire, dopo le prossime decisioni comunali in merito, cadute "Le mura di Mainardo" "quale sarà il valore aggiunto di tutti gli insediamenti in termini commerciali, urbanistici, di patrimonio storico e visione della città (Lebensraum) e via scorrendo, e come andrà spartito fra pubblico e privato, sempre amesso e non concesso, che adesso che la città si è finalmente mossa, non finisca, mi si scusi la volgarità, come al solito, sempre famoso ortolano.

Mon, 12/07/2015 - 12:12 Permalink