Pinocchio
Le aspettative erano alte, un nuovo Pinocchio al cinema! Con la regia di Matteo Garrone e sempre con Roberto Benigni, ma stavolta nei panni di Geppetto, il papà del burattino che ha fatto storia in tutto il mondo ormai.
Uscita nelle sale nel periodo giusto: Natale 2019. L’orario in cui siamo andati a vederlo a Merano al Cinema Ariston gestito dal Filmclub non era proprio per bambini, ma in sala ce n’erano parecchi, per fortuna, tutti, grandi e piccoli in fibrillante attesa che la sala si rabbui e il sogno possa iniziare…
Geppetto senza un soldo entra nella taverna, dove in molti sono a mangiare un piatto caldo. Ha fame, ma lui non vuole elemosinare il cibo, giammai, se lo vuole guadagnare, per cui si siede su una sedia e inizia a farla ballare, poi la alza e rivolto all’oste dice: “questa non sta in piedi, se vuoi, te la riparo…”, senza ottenere risposta. Tocca il tavolo e fa ballare anche quello, rifà la stessa scena e nuovamente nessuna reazione, finché si ridirige alla porta per far ballare persino quella. Allora sì, che l’oste si avvicina avendo già in mano un piatto di zuppa per farlo smettere… Geppetto accetta, suo malgrado, il piatto caldo e insiste nel voler riparare la porta almeno per quanto riguarda le sue guarnizioni.
Cambio scena: siamo nel laboratorio del falegname che sta per scegliere un ceppo da lavorare, ma ecco che si muove. Si muove? Mai vista una roba simile, e quando persino si sposta di qualche metro il povero Mastro Ciliegia cade a terra quasi svenuto. Non vede l’ora di liberarsene e, infatti, lo donerà a Geppetto che poco dopo sarebbe passato a chiedere un avanzo da pagare più avanti per farci un burattino che gli possa far compagnia.
Inizia così l’incarnazione di uno dei più avventurosi personaggi del mondo delle fiabe, che aveva persino ispirato Walt Disney a farne uno dei primi cinque film d’animazione, ancora seguiti personalmente tra il 1937 e 1942. L’inventore di Mickey Mouse aveva scoperto la storia del burattino durante il suo viaggio in Europa nei primi anni trenta, dove aveva raccolto tanti libri di storie per bambini e conosciuto tanti artisti disegnatori che avrebbe poi assoldato per il suo studio a Burbank nella contea di Los Angeles.
Che ne avrebbe fatto Garrone, i cui film sono noti per essere critici della nostra società contemporanea? Lui in qualche intervista aveva dichiarato che sin da piccolo Pinocchio era una delle sue fiabe più amate e che da tanto tempo la voleva adattare al grande schermo. Guardando ora il suo film in certe scene, soprattutto quella di Pinocchio davanti al giudice per denunciare il furto subìto dal Gatto e la Volpe dei suoi zecchini d’oro avuti in cambio dell’Abbecedario che suo padre gli aveva comprato lasciando al negoziante quasi tutti i suoi abiti. La dinamica sembra presa dalla realtà odierna, visto che vanno in prigione gli onesti e si salva chi ruba… Invece i dialoghi corrispondono esattamente a quelli scritti da Carlo Collodi nell’Ottocento! Segno che le dinamiche sociali non sono certo cambiate da oltre cento anni? D’altronde lo aveva già scritto Benedetto Croce: “il legno, in cui è tagliato Pinocchio, è l’umanità”.
La sceneggiatura è firmata a quattro mani dallo stesso Garrone con Massimo Ceccherini, anche interprete della Volpe: davvero eccezionale la sua performance in taverna quando lui e il Gatto (Rocco Papaleo) sono seduti al tavolo con Pinocchio per “spizzicare” a sue spese. Sebbene può sembrare eccessiva la recitazione, rende bene la voracità di certe persone nel voler arraffare il più possibile di quello che c’è a disposizione. Per tornare al confronto con l’oggi. C’è da dire, però, che il secondo incontro con il duo, a distanza di tempo, quando Pinocchio ormai è tornato dal paese dei Balocchi e convertito alla buona condotta grazie alla Fata Turchina, è totalmente inventato e aggiunto con libertà creativa al percorso del viaggio iniziatico ed educativo percorso dal burattino - forse a favore del rafforzarsi del suo carattere?
Campi larghi sui paesaggi infiniti e borghi eccezionali - tutti trovati in Puglia - per ambientare le diverse tappe percorse da Pinocchio, a partire dal momento che decide di non entrare nemmeno nella scuola, dove l’aveva accompagnato papà Geppetto. Era troppo attratto dal carrozzone del burattinaio Mangiafoco, il quale, nel vedere un burattino che si muove senza fili, non esita un attimo per caricarlo sul suo vagone. Ed eccolo lì a far amicizia con Pantalone e Arlecchino, e decine di altre figure, prima di finire lui stesso a dover prestare il suo corpicino ben scolpito in legno nell’arena del circo. A questo punto vorremmo ricordare che il piccolo attore che interpreta il burattino, Federico Ielape, doveva sottoporsi quotidianamente a ore e ore di trucco prima di iniziare le riprese. La scultura originale in legno è opera dell’artista gardenese Bruno Walpoth, così come i disegni finali dei costumi su precise indicazioni del pluripremiato costumista Massimo Cantini Parrini sono di Stefano Ciammitti (purtroppo escluso dai titoli finali del film), uno di tanti assistenti, essendo Cantini Parrini da sempre debole nel disegnare. Pare che colui, che ormai conta oltre 50 titoli di film per cui ha realizzato i costumi, tra cui Pinocchio è già il terzo con Matteo Garrone, dopo Dogman (2018) e Il racconto dei racconti (2015), dal suo maestro Piero Tosi, “lo” scenografo di Luchino Visconti, fosse stato giudicato con le seguenti parole dopo la sua prova di ammissione nel 1994 al Centro sperimentale: “Cantini Parrini lo prendiamo. A disegnare si impara. La passione invece non si può imparare. Ed è quella il vero motore, che va alimentato con lo studio continuo. Se poi non dovesse imparare a disegnare, possiamo sempre assumerlo qui, a insegnare a noi tutto quello che sa!”. Una citazione che abbiamo trovato sul catalogo della mostra in suo omaggio al Museo del Tessuto di Prato con tutti i disegni dei costumi e delle maschere, nonché foto di scena e abiti originali d’epoca che avevano fatto un po’ da modello (fino al 20 marzo 2020).
Molti dei personaggi che Pinocchio incontra sono animali umanizzati (è da lì che Walt Disney prese ancor maggiore confidenza per i suoi film d’animazione pieni di figure del genere?), tutte maschere davvero eccezionali, tra cui ne citiamo le due più umane: la lumaca e il tonno, in cui volto e maschera si fondono meravigliosamente sul viso di Massimo Lombardi. La lumaca abita nella casa della fata turchina, la fatina con cui Pinocchio gioca quando è piccolina, e dalla quale è accolto quando è quasi morto – qui, nella versione di Garrone, la nostra fata dai capelli turchini ha le sembianze totalmente umane, nel senso che cresce negli anni, mentre nella fiaba e nelle altre versioni rimane sempre “la fatina” e alla fine muore di dolore per i capricci compiuti via via da Pinocchio, poco rispettoso di ciò che lei gli aveva detto e raccomandato.
Ovvio che un adattamento differisce sempre dal libro scritto, ovvio che ogni regista crea la propria versione, così come è altrettanto ovvio che un racconto per immagini necessita di tutt’altra drammaturgia di un libro costruito con i segni dell’alfabeto, stampati su fogli di carta, da leggersi. Pinocchio nella sua versione integrale riempie oltre un centinaio di pagine (la prima metà di Le avventure del burattino Pinocchio di Carlo Collodi (pseudonimo del giornalista e scrittore fiorentino Carlo Lorenzini) era apparsa a puntate tra il 1881 e il 1882, poi completata in un unico volume per ragazzi nel 1883); il Pinocchio di Matteo Garrone dura oltre due ore e non ci si annoia… anzi, questa storia dai mille risvolti e dalle tante sfaccettature risulta tuttora, a distanza di tanti anni, quel percorso educativo che è bene insegnare ai bimbi e alle bimbe, forse di tutte le età?