Culture | Salto Afternoon

Salvini absconditus

Un libro colto ed esilarante rivela la triste storia di “Ismaele”: vittima della strategia che ha portato al successo il “Capitano”.
Matteo Salvini
Foto: ViaggiNews.com

Non c'è gusto in Italia ad essere intelligenti (Skiantos)

Matteo Salvini, l'uomo pubblico, il capo della Lega, lo conosciamo tutti. A dir la verità conosciamo molto anche il Salvini privato, perlomeno quella porzione della sua vita privata reputata favorevole alla causa della sua azione politica. Fotografie tratte dalle vacanze, in dolce compagnia o in versione single, con in bocca il crocifisso o con il presepe in mano, mentre s'improvvisa dj su una spiaggia affollata o sbrana panini farciti e altri prodotti tipici alle sagre di paese, sono tutte immagini diffuse per sottolinearne il ruolo dominante sui social media (luogo in cui, per l'appunto, pubblico e privato trapassano ormai l'uno nell'altro senza soluzione di continuità). Ciò che invece si conosce meno – anche perché apparentemente inesistente – è la sua dimensione più “intima”, non fabbricata esplicitamente allo scopo di piacere (o disgustare). Da qualche mese, però, esiste un formidabile volumetto (nato da una pagina Facebook) che proprio a questa dimensione nascosta e segreta allude con maliziosa ironia. Il libro – che si può anche leggere come un consuntivo di un anno di governo “giallo-verde” – è stato pubblicato dall'editore Utet e riecheggia un classico Adelphi (anzi, a prima vista sembra proprio un esemplare della Piccola Biblioteca): “L'insostenibile leggerezza del governo del cambiamento”. A mio modesto avviso si tratta di un testo imperdibile, uno dei migliori del trascorso 2019, e cercherò di spiegarvi brevemente perché.

All'inizio, ovviamente, un manoscritto

Partiamo dall'inizio, cioè dalla fine del libro. Che cos'è, di cosa parla, e soprattutto chi dà voce all'“insostenibile leggerezza del governo del cambiamento”? Le pagine seguono una progressione diaristica. Si comincia con un'annotazione del 1° giugno 2018 (“Ho giurato poche ore fa da Ministro dell'Interno della Repubblica Italiana”) e si finisce con il 1° agosto del 2019, quando, “quasi all'alba, da solo, sulla spiaggia di Milano Marittima”, questo Salvini absconditus ritrova nell'edizione francese (1931) della “Tecnica del colpo di stato” di Curzio Malaparte un biglietto sul quale è riportato un haiku di Issa Kobayashi (“scritto con inchiostro verde su un foglio di carta di riso grezza”): “Non piangete, insetti / gli amanti, persino le stelle / devono separarsi...”. Il dado è tratto: è il suicidio politico del “Capitano”, commesso citando (tutto il libro è una selva di citazioni) l'ultimo messaggio di Cesare Pavese (“non parole, un gesto...”) e abbandonando la scena mistificata del proprio sé così indegnamente manipolato. “Il cinque agosto 2019 – spiega il fantomatico curatore a suggello dell'opera – mi fu messo tra le mani dal bagnino rumeno del Papeete Beach, Abele Valat, questo manoscritto ancora umido e con una piccola ma evidente chiazza di bevanda alcolica (presumo mojito) su alcune pagine interne”.

Chiamatemi Ismaele

Abbiamo parlato di manipolazione. L'ossatura del libro-diario è semplice: il Salvini che conosciamo sarebbe una costruzione mediatica studiata a tavolino dal famigerato Luca Morisi, l'architetto della “Bestia”, che in pratica suggerirebbe (anzi: imporrebbe) al suo datore di lavoro una strategia comunicativa basata sul volgare imbonimento di plebi solleticate nei loro peggiori istinti fascistoidi. È Morisi, insomma, l'inventore del “Capitano”, figura del resto ancora provvisoria, in attesa cioè che si palesi definitivamente il “Duca”, il nuovo Duce nazional-popolare autore di un democraticissimo, anzi plebiscitario colpo di stato (non è un caso che si citi Malaparte). Per farlo è necessario però che il vero Salvini venga ingabbiato, addirittura violentato da un'identità che lo fa soffrire, che in un certo senso lo soffoca, perché l'uomo ha (avrebbe) in realtà una natura sensibile, è (sarebbe) un raffinato degustatore di biblioteche, e perciò, ricorrendo al nome di “Ismaele” (che come tutti sanno è anche il narratore di Moby Dick, riferimento biblico che significa “esule e vagabondo”) tenta di spezzare il giogo rifugiandosi nei più intimi recessi di se stesso e della propria enciclopedica cultura, quasi ad “urlare in silenzio” una diversità che la sua dimensione pubblica (e pure quella privata, dato che, come visto, è stata resa anch'essa pubblica) non può più concedergli (si veda l'esilarante annotazione del 14 settembre 2018: “È morto Guido Ceronetti. Avrei voluto fare un lungo post su Facebook per ricordarlo e celebrarlo ma Morisi ovviamente me lo ha impedito. Probabilmente ha fatto bene”).

Non è che il perfido Morisi...

A un certo punto, però, viene persino il dubbio. Ma non sarà che questo Salvini gran citatore di Meister Eckart, di Nietzsche, di Eiji Yoshikawa e di mille altri scrittori tirati in ballo tra un incontro con Di Maio e una frecciatina a Toninelli, non è che questo delicato Ismaele sia a sua volta una creatura, la più perfida, di Morisi? Insomma, e se ci fosse proprio la “Bestia” alla base di un testo del genere, scritto dunque per prendere subdolamente in giro gli “intellettualoni” che credono di sentirsi superiori alle fanfaronate razziste del “Capitano”, e sempre pronti, con il loro fuciletto ormai scarico, a sparare sul fantasma del “Duca”? Un dubbio al quale ha ovviamente pensato anche l'autore, che infatti (in data 1° giugno 2019) confessa di aver aperto la pagina Facebook “facendo finta che sia qualcun altro a farmi il verso”. E chiosa: “Ci hanno creduto tutti, a parte due o tre fessi complottisti che pensano ci sia dietro Morisi. Poveri stolti, imparassero a leggere Debord”. Al povero (fesso e complottista) esegeta che sono, più che Debord, è venuta allora in mente la vertigine barocca de Las Meninas di Velázquez, con quella fuga disperante di specchi che manda in frantumi la stessa nozione filosofica di “Soggetto”.

Un Piccolo Principino savio

Del resto, individuare il “vero autore” dell'esilarante conte philosophique sarebbe intento di per sé votato allo scacco. Più arduo, per dire, dell'individuazione di chi si nasconda dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante. Non fosse morto, si sarebbe potuto spendere il nome di Umberto Eco, del quale “L'insostenibile leggerezza del governo del cambiamento” ricorda una delle prose contenute nel “Diario minimo. Ma non è poi molto importante. Questo libro può essere goduto anche solo per quel che è: un intelligentissimo controcanto del nostro discorso pubblico e dei meccanismi usati dal “potere” per esercitare il suo controllo. Nel caso di Salvini – quello indossatore di felpe e mattatore nei comizi in ciabatte – si tratta di un plauso attinto quasi rasoterra, mescolandosi agli umori di un popolo che non riuscirebbe a capire una sola riga consegnata da Ismaele al suo elegiaco scartafaccio. A noi, ammirati lettori, resta la consolazione di un'ultima citazione, tratta dal volume Della ragion di Stato del gesuita Giovanni Botero, che ci spiega come persino quella puttanata del “Vinci Salvini” sia scaturita – per una volta con l'approvazione di Morisi, favorevole alla “ludicizzazione” teorizzata da Jesse Schell – dall'erudizione travagliata di un filosofo, di un “Piccolo Principino savio” preso in ostaggio: “Perché il popolo è di natura sua instabile, e desideroso di novità, ne avviene che s'egli non è trattenuto con varij mezzi dal suo Prencipe, la cerca da se stesso anco con la mutazione di Stato e di governo. Perciò tutti i Prencipi savij hanno introdotto alcuni trattenimenti popolari ne' quali, quanto più si ecciterà la virtù dell'animo e del corpo, tanto saranno più a proposito”.