Pasolini, un delitto italiano (irrisolto)
“Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia”.
È per le frasi profetiche e messianiche sventolate per anni sopra il moralismo rancido della bourgeoisie, è perché era – come lo ha definito Abel Ferrara – “la libertà individuale incarnata”, è per la capacità (al di là del concetto di gusto), non usuale, del suo cinema di catapultarsi in un colpo solo nel cuore e nell’intestino. Non è difficile trovare un motivo per cui l’assenza di Pasolini ancora oggi continua farsi sentire come una specie di lutto famigliare non elaborato, messo nell’angolo a decomporsi pigramente, mentre di tanto in tanto ci si chiede cosa avrebbe pensato, il “ragazzo di vita”, di questa contemporaneità imberbe, disfunzionale, disorientata.
Pier Paolo Pasolini fu ucciso il 2 novembre del 1975 all'Idroscalo di Ostia, sui suoi abiti vennero isolati almeno cinque codici genetici a cui tuttavia non è stato possibile dare una “paternità” né collocarli nel tempo. I nuovi elementi, incluse le numerose testimonianze, non sono infatti sufficienti per proseguire le indagini avviate dopo la denuncia presentata da Guido Mazzon, cugino della vittima, nel 2010. La Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione del caso; l’unico colpevole resta quindi Giuseppe Pelosi, detto “la Rana”, che, all’epoca minorenne, venne condannato a 9 anni e 7 mesi di reclusione e che ultimamente aveva parlato di almeno tre persone coinvolte nell’aggressione ai danni dello scrittore.
“Nel paese della bugia, la verità è una malattia”, diceva un insospettabile Gianni Rodari, prenderne atto è un esercizio di disciplina in cui è opportuno fallire. E, da lavativi, riproporre uno degli omaggi più commoventi del cinema a Pasolini, torna a riattivare, per un momento, il cuore e l’intestino in un colpo solo.
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