Mediterranea sbarca a Bolzano
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Per Elisa Caneve, quella terminata il 7 gennaio, non è la prima missione d’aiuto alla popolazione ucraina. Già nell’estate del 2022 e del 2023, con il gruppo emiliano dell'Associazione di Promozione Sociale Mediterranea Saving Humans, la giovane insegnante bolzanina si era recata a Leopoli per “mostrare agli abitanti ucraini che i cittadini di altri Stati ci sono, sono presenti, non sono disinteressati alla questione e si sentono coinvolti”, come aveva raccontato a SALTO nell’ottobre del 2022. A distanza di più di un anno, Caneve è riuscita a coinvolgere diversi altoatesini che, diventando soci, hanno formato “l’equipaggio di terra” di Mediterranea a Bolzano.
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SALTO: Caneve, siete già una decina di soci. Com’è nata l’organizzazione locale e cosa proponete alla cittadinanza?
Elisa Caneve: Inizialmente abbiamo organizzato qualche evento nelle scuole, alle Claudia de' Medici e al Liceo Torricelli. A fine dicembre abbiamo cominciato a trovarci con i primi soci e da lì è nata l’idea di creare un vero e proprio “equipaggio di terra” – come vengono chiamati i gruppi di volontari che si formano nelle città in giro per l’Italia – anche a Bolzano. Mediterranea non vuole essere una realtà solo assistenzialista, vogliamo essere nei luoghi dove avvengono delle violazioni dei diritti umani, nella speranza che presto non si sia più bisogno di noi. La nostra è una vocazione alla denuncia politica e sociale. Oltre al volontariato, infatti, vogliamo essere prima di tutto degli attivisti. Per questo proponiamo di ragionare sui diritti umani, riflettendo con la cittadinanza su come noi, occidentali, guardiamo il resto del mondo. I nostri valori si fondano sull’antifascismo, l’antirazzismo e il transfemminismo.
Avete già qualche progetto in programma?
Sicuramente proporremo, come in passato, un evento di restituzione della missione in Ucraina che si terrà allo Spazio77. Probabilmente porteremo a Bolzano la presentazione del libro di Ibrahima Lo, "Pane e acqua", un racconto del viaggio dell’autore partito dal Senegal, passato per la Libia e arrivato in Italia. Così daremo il via ad una riflessione sulle rotte migratorie, i confini e i diritti umani calpestati.
Come Mediterranea Saving Humans gestite l’attività di “Mare Jonio”, l’unica nave di monitoraggio e soccorso battente bandiera italiana attiva nel Mediterraneo. I soci bolzanini potranno prendere parte alla missione in mare?
La nave ha poco spazio a bordo per lo staff, dunque l’organizzazione predilige persone che hanno competenze specifiche, come ad esempio la patente nautica. Al momento non è previsto entrare a far parte dell’equipaggio di mare. Forse solo coloro che lavorano nell’ambito sanitario potrebbero partire.
Diverso il discorso per la missione in Ucraina, che sul piano organizzativo è più semplice. Le prossime missioni sono affidate ai gruppi di Roma e Napoli, quindi Bolzano potrebbe sperare di ripartire non prima dei 6 mesi, magari insieme ai gruppi del Veneto o della Lombardia o, di nuovo, dell’Emilia Romagna.Come diceva Alex Langer, se non c’è una narrazione comune, una verità condivisa su come stanno le cose, si crea un contesto in cui è praticamente impossibile creare una convivenza pacifica
Eri partita già nell’estate del 2022 e del 2023. Che Ucraina hai trovato questa volta?
La situazione è in costante peggioramento. Mentre all’inizio della guerra vi era una vera e propria emergenza, perché mancavano medici e assistenti, e le persone erano scappate dalle loro case e, spesso, volevano lasciare il Paese, ora si è tutto stabilizzato, ma c’è tantissima povertà e un forte senso di abbandono. Il mondo guarda altrove. Si è persa la speranza di finire la guerra e, anche se il conflitto terminasse, molte persone non hanno prospettive. Alcuni ucraini hanno la famiglia sparsa in mezza Europa e nella propria città si trovano la casa distrutta. Gli anziani, poi, sono abbandonati. Come insegnante non posso che non pensare alle bambine e ai bambini che hanno avuto un percorso scolastico difficilissimo: prima hanno subito la pandemia ed ora la guerra. Attualmente le scuole sono aperte ma gli studenti non trovano alcun senso a studiare. Le famiglie sono distrutte.
Si percepisce ancora il senso di appartenenza al Paese?
Assolutamente sì. Gli ucraini hanno un senso di appartenenza fortissimo. Però ho l'impressione che i giovani non vogliano più partire per il fronte e che non vogliano più combattere. Chi voleva farlo, lo ha già fatto. Nella scorsa intervista raccontavo di aver girato tra le lapidi di un cimitero e di aver visto le targhette dei militari deceduti: i più giovani erano nati nel 2002. Ora ho trovato tombe di ragazzi nati persino nel 2005.
Parlando con gli ucraini si percepisce che per loro non esisterà mai una pace giusta. Niente potrà fargli dimenticare ciò che hanno vissuto e stanno vivendo. Nel momento in cui, come diceva Alex Langer, non c’è una narrazione comune, una verità condivisa su come stanno le cose, si crea un contesto in cui è praticamente impossibile creare una convivenza pacifica o una vicinanza di Paesi che sia stabile e normale. Magari ci sarà una pace formale, ma il contesto potrà far nascere nuovi conflitti. E tutto ciò spaventa. Anche venisse trovato un accordo internazionale, non sarà soddisfacente per tutte le parti e quindi non è detto che verrà riconosciuto e rispettato a lungo.