Society | Diritti

Dalla parte delle donne “straniere”

Pensare l’immigrazione al femminile significa favorire processi d’integrazione collettivi. Se ne è parlato in un convegno a Bolzano.

Quando trattiamo il tema dell’immigrazione, generalmente per coglierne gli aspetti problematici, la prima cosa che ci viene in mente corrisponde a uno stereotipo di genere. Lo si è visto chiaramente a proposito dei fatti di Colonia, subito inquadrati in una narrazione secondo la quale gli immigrati (maschi) costituiscono un serio pericolo per le autoctone (dunque femmine). Che tra le persone migranti, però, si trovino anche molte donne è un fatto sul quale più raramente viene richiamata l’attenzione degli organi d’informazione.

A correggere il tiro, ripristinando dunque una visione d’insieme dalla quale discendono poi non poche conseguenze sul piano delle politiche (e pratiche) dell’integrazione, ci ha pensato il convegno organizzato mercoledì 6 aprile (a Bolzano, presso il Circolo Cittadino di via Grappoli) dalla locale sezione dell’associazione Fidapa BPW Italy. Erano presenti Franca Toffol (Vice Presidente della Commissione Pari opportunità), Gabriella Kustatscher (Presidente Gea Centro Antiviolenza), Leila Grasselli e Linda Perlaska (rispettivamente Coordinatrice e Presidente dell’Associazione Donne Nissà Frauen), e Eufemia Ippolito, avvocatessa, ex Presidente Nazionale Fidapa e attualmente Rappresentante BPW INT. presso il Consiglio d’Europa.

Tutti gli interventi hanno messo in evidenza un dato incontrovertibile: sul crinale scivoloso costituito dalle migrazioni di massa alle quali stiamo assistendo, la partita della possibile integrazione può essere vinta soltanto se il rispetto dei diritti inalienabili dell’uomo (il linguaggio qui pone già un accento che deve essere decostruito) verrà saggiato e garantito mediante il coinvolgimento effettivo delle donne “straniere” in un processo di complessiva democratizzazione, con effetti benefici sia sulle società di arrivo che su quelle di partenza. Da questo punto di vista è stato illustrato l’encomiabile lavoro delle associazioni che si dedicano a favorire anche semplici attività – l’apprendimento delle lingue, la frequentazione di corsi di cucina, la cura di un orto, ma anche la ricucitura del dialogo con le culture d’origine, che il trauma dell’immigrazione, specialmente nelle seconde generazioni, tende a tagliare – rivolte a creare spazi di comunicazione e a generare opportunità di effettiva cooperazione interculturale. “È troppo facile – ha ricordato a questo proposito Gabriella Kustatscher - aspettarsi che una donna straniera appena arrivata qui si adatti semplicemente ai nostri costumi rinunciando alla sua identità. Una tale imposizione non serve ad altro che a mantenere alti i muri e, specialmente quando abbiamo a che fare con storie di violenza, finisce per segregare le donne ancora di più. Il dialogo tra le culture è senz’altro complesso, difficile, ma è l’unico modo per attivare uno scambio proficuo, presupposto indispensabile non solo per l’inserimento lavorativo e sociale, ma anche per la modificazione delle abitudini che in molti contesti condannano ancora le donne a una terribile marginalità”.   

“Le associazioni gestite da donne e rivolte alle donne – ha sottolineato alla fine Eufemia Ippolito – hanno un’importanza fondamentale per ideare e porre in atto politiche di sostegno al femminile i cui effetti positivi non potranno che riverberarsi su tutti quanti”.