Politics | Il dibattito

Accadeva nel 1985

Come avvenne che, trent'anni or sono, il primo saggio di Sebastiano Vassalli sulla questione altoatesina ebbe l'effetto di un cerino in un negozio di fuochi d'artificio.

Non aggiungerò una sola parola a quanto già scritto su Salto da Gabriele Di Luca in merito al piccolo saggio con il quale Sebastiano Vassalli è tornato, dopo trent'anni, a parlare della questione altoatesina. Non ne vedo il bisogno. Qualcuno, tra i nostri lettori più giovani, potrebbe però domandarsi come mai il precedente lavoro dello scrittore piemontese ebbe, a suo tempo, un tale rilievo da essere divenuto una sorta di pietra miliare nella più recente saggistica sull'Alto Adige e sui suoi problemi politici e sociali.

Per rispondere occorre collocare il saggio di Vassalli intitolato "Sangue e suolo" nel preciso contesto politico del periodo in cui fu scritto e pubblicato.
Siamo nel 1985. La seconda autonomia altoatesina, appena doppiato il capo dei dieci anni di vita, è sottoposta ad un tiro incrociato di critiche che si fanno sempre più virulente ed aspre. Se i primi a mettere il modello uscito dal "pacchetto" sul banco degli imputati sono stati, alla fine degli anni 70, gli alternativi di Nuova Sinistra, guidati da Alex Langer, con l'inizio degli anni 80 il vento ha preso a soffiare impetuoso nelle vele della destra italiana. Nel 1983 il movimento sociale italiano ha ottenuto un notevole successo alle elezioni regionali e, proprio nella primavera del 1985, diviene il primo partito della città di Bolzano eleggendo ben 11 consiglieri comunali su 50 seggi a disposizione. In parallelo cresce la contestazione estremista anche nel mondo di lingua tedesca, con i richiami sempre più forti degli ambienti oltranzisti al di qua e al di là del Brennero, ad abbandonare la politica delle intese con Roma ed a tornare a far sventolare la bandiera dell'autodeterminazione. La conferma più clamorosa dell'esistenza di questi stati d'animo è arrivata, nel settembre del 1984, con la sfilata organizzata ad Innsbruck per i 175esimo anniversario della rivolta  hoferiana. Tra molti applausi e altrettante polemiche, nel corteo si è inserita anche la corona di spine portata dagli Schuetzen della Passiria e del Meranese, ferreo simbolo dei patimenti del Tirolo ancora diviso. Sono gli stessi cappelli piumati che, nella primavera del 1986, faranno irruzione nella sala dove si svolge il congresso della Suedtiroler Volkspartei per lanciare un cupo grido di battaglia: "Das Paket ist tot - Suedtirol im Not", il Pacchetto è morto - il Sudtirolo è in pericolo.
Il Pacchetto forse non è morto, ma non sta neanche troppo bene. Da diverso tempo ormai il meccanismo di produzione delle norme di attuazione, imperniato per quel che riguarda la provincia di Bolzano sulla commissione dei sei presieduta da Alcide Berloffa, si è inceppato. Da un lato gli effetti politici della clamorosa avanzata della destra e dall'altro il tentativo della Suedtiroler Volkspartei di inserire sempre nuove competenze tra le sue richieste e di far passare norme come quella sull'uso della lingua dei tribunali e sulla nomina politica dei giudici del TAR altoatesino che destano vivaci proteste in molti ambienti.
C'è infine il capitolo terrorismo. Dopo una pausa non troppo lunga, in coincidenza con il varo della nuova autonomia, i dinamitardi tornano a far sentire la loro voce. L'elenco degli obiettivi sembra ricalcato su quello degli anni 60: tralicci,ferrovie, edifici pubblici, ma non mancano stavolta le bombe messe accanto alle case di politici oppure attentati che in qualche maniera sembrano la risposta "italiana" all'irredentismo tirolese.
Il clima è pesante e per cercare il bandolo della matassa il neo presidente del consiglio Bettino Craxi ha tentato pure la carta di un rapidissimo viaggio personale a Bolzano irritando i vertici della Suedtiroler Volkspartei, abituati a godere di un contatto diretto ed esclusivo con il potere romano, ma senza che questo produca effettivi passi in avanti.
È  inevitabile, a questo punto, che negli ambienti italiani e tedeschi che avevano sempre visto con grandi riserve la strategia del compromesso, la cui radice prima è nell'accordo De Gasperi Gruber, e che aveva portato alla nascita della seconda autonomia, prenda corpo l'ipotesi di una clamorosa rottura e di un ritorno agli anni della contrapposizione frontale. A spingere in questo senso sicuramente la destra italiana e gli ambienti oltranzisti di madrelingua tedesca, ma è un sentimento che tende ad espandersi anche nell'opinione pubblica meno schierata. In Italia ci si era dimenticati della questione altoatesina, ritenuta risolta con la concessione della nuova autonomia, per tutto il corso degli anni 70. Nel decennio successivo gli avvenimenti di cronaca politica ma anche criminale con il ritorno al linguaggio della violenza riportano le vicenda bolzanina all'attenzione della comunità nazionale. Tornano a Bolzano gli inviati dei maggiori quotidiani che trovano spesso argomenti suggestivi per raccontare i loro lettori quel che avviene tra Salorno e il Brennero. Diviene famosa, ad esempio, la recinzione che separa, in un quartiere bolzanino, due scuole medie, una italiana e una tedesca, e che, nell'epopea giornalistica, cresce sino ad assumere le dimensioni di un novello muro di Berlino.
È in questa situazione che piomba, come un macigno di discrete dimensioni gettato in uno stagno, il libro di Vassalli. Lo scrittore piemontese, alla ricerca da tempo di nuovi modelli espressivi, capita quasi per caso in Alto Adige e, per usare una definizione giornalistica, fiuta subito la storia e decide di raccontarla. Si ferma per un po' di tempo, parla con molte persone ma ascolta soprattutto alcuni esponenti di quella generazione italiana che sta pagando sulla sua pelle il cambio nelle posizioni di potere dovuto al nuovo assetto autonomistico. Sono i campioni della frustrazione e dell'acrimonia a trecentosessanta gradi quelli che Vassalli presenta nel suo libro, traendone le conclusioni ben note. L'autonomia ha concesso tutto il potere al gruppo tedesco che lo sta utilizzando non tanto e non solo per tutelare se stesso ma per cancellare ogni traccia di quello italiano.
Non sono cose poi tanto diverse da quelle che la destra italiana va predicando quasi da sempre, ma un conto è sentir profezie di sventura durante uno dei periodici comizi di Giorgio Almirante, e un conto è leggere nel saggio di uno scrittore noto per le sue posizioni aperte e progressiste e pubblicato da una casa editrice di sinistra come la Einaudi. Inutile dire che il libro produce un grosso effetto a livello nazionale e che i foschi presagi che contiene divengono argomenti di peso in mano a coloro che spingono, a Bolzano e a Roma, per una revisione totale della politica altoatesina.
Sono mesi ed anni bui e difficile. Un tunnel nel quale si agitano fantasmi della criminalità politica, dell'estremismo basato sulla logica del "tanto peggio tanto meglio", delle provocazioni di servizi più o meno deviati. La luce si vedrà solo alla fine del 1988 quando, a pochi giorni dalle nuove elezioni regionali, un interruttore, da qualche parte, viene chiuso e la serie infinita e misteriosa degli attentati finisce in un attimo. Ripartono il dialogo e le intese che condurranno, di lì a poco, alla chiusura della vertenza.
Il libro di Vassalli finisce negli scaffali delle biblioteche, smentito dai fatti assieme ad altri catastrofismi dell'epoca, come i vaticini del sociologo Acquaviva, anch'egli convinto della prossima estinzione del gruppo italiano, da evitare rinchiudendolo in una sorta di mini provincia limitata alla città di Bolzano.
La decisione del suo autore di tornare, per così dire sul luogo del delitto, trent'anni dopo ci offre la possibilità di ricordare un passaggio cruciale e ancora per certi versi inesplorato della storia recente della nostra terra.