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L'Italia, l'equità fiscale e Airbnb
Foto: upi
Sono quasi 600 gli immobili nel territorio della Provincia autonoma di Bolzano presenti sul portale Airbnb. A chi volesse affittarne uno per il fine settimana che va dal 30 giugno al 2 luglio, però, il portale per l'intermediazione immobiliare dedicato agli affitti brevi consiglia "di prenotare un alloggio al più presto", perché "solo il 18% degli annunci è disponibile per queste date". Le proposte per un minimo di due persone spaziano dai monolocali in centro a Bolzano, anche a 40 euro per notte, a chalet (a Lajen) o baite (in Val Passirio), che costano fino a 300 euro al giorno.
Gli alto-atesini che "sfruttano" Airbnb per affittare i proprio immobili sono parte degli oltre 121 mila che il "codice di comunicazione" della società americana, che opera in Italia attraverso una controllata irlandese, definisce host. E agli host è dedicato un articolo del decreto legge numero 50 del 2017, "Disposizioni urgenti in materia finanziaria". È il numero 4, e stabilisce che gli intermediari immobiliari (anche quelli online) diventino sostituti d'imposta, scalando dal compenso attribuito agli host il 21% di quanto incassato, una cedolare secca. Chi l'ha chiamata "tassa Airbnb" (in molti sui media) però sbaglia: non è infatti Airbnb a pagare le tasse. La norma, anzi, introduce possibili benefici fiscali per gli host (secondo l'azienda, quello tipico in Italia ha affittato nel 2016 la propria stanza o casa per 23 giorni in un anno, ricavando 2.200 euro), perché l'aliquota del 21% è comunque più bassa all’aliquota IRPEF per i redditi più bassi, che è pari al 23%.
È un altro, così, il motivo per cui questa norma, che non ha niente di rivoluzionario, ha fatto tanto discutere in tutta Italia: Airbnb non è così disponibile ad assumere il ruolo di "sostituto d'imposta". Perché questo comporterebbe, per l'azienda, la presenza di una "stabile organizzazione in Italia". E ad oggi non è così? Sì e no: Airbnb Italy srl esiste, ha sede a Milano, ma non è la società che ha relazioni commerciali con i clienti né con gli host italiani. Questa ha sede in Irlanda, Paese dove sono domiciliate anche tutte le fatture relative ai soggiorni in Italia, che nel 2016 sono stati 5,6 milioni, in forte crescita rispetto ai 3,6 milioni nel corso del 2015. Oggi, quindi, a non pagare le tasse per i redditi maturati in Italia (frutto delle commissioni relative all'attività di intermediazione) sarebbe proprio Airbnb, che indirettamente offre anche una stima del loro ammontare: se gli host hanno guadagnato 621 milioni di euro nel 2016, e la piattaforma incassa commissioni tra il 9 e il 17%, il reddito trasferito dal nostro Paese in Irlanda è stimabile in almeno 55 milioni di euro.
„Airbnb Italy srl esiste, ha sede a Milano, ma non è la società che ha relazioni commerciali con i clienti né con gli host italiani. Questa ha sede in Irlanda, Paese dove sono domiciliate anche tutte le fatture relative ai soggiorni in Italia.“
Se il problema non viene affrontare in questi termini è, forse, perché tutto il dibattito è viziato dallo scontro tra Airbnb e le associazioni di categoria degli operatori turistici tradizionali, come Federalberghi. Che definisce la sharing economy come una forma di shadow economy, a partire dai accurate stime sulle dimensioni del fenomeno Airbnb: ad aprile 2017 sul portale erano disponibili 214.483 alloggi italiani, "con una crescita esponenziale che non accenna a fermarsi (42.804 alloggi in più nel corso del 2016, pari ad un incremento del 25,6%). Le strutture di natura analoga (appartamenti in affitto e bed and breakfast) censite dall’Istat sono 103.459. Almeno 110.000 alloggi sfuggono ad ogni controllo" sottolinea Federalberghi.
Secondo Airbnb, invece, l'affitto breve permetterebbe "agli italiani di integrare il loro reddito e mantenere la proprietà delle loro case" e "i viaggi prenotati in Italia con Airbnb nel 2016 hanno generato un impatto sulle attività economiche di 4,1 miliardi", perché le persone ospitate hanno speso oltre 3,5 miliardi presso realtà economiche locali durante la permanenza".
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