Economy | Vino
L'Alto Adige a Slow Wine
Foto: nicolussi
"Il sistema produttivo del vino in Alto Adige è riuscito in una quindicina di anni, quelli appena trascorsi, a crearsi un'immagine molto buona sul mercato italiano. Lo ha fatto lavorando in silenzio, alla ricerca della qualità, senza troppo spazio al glamour. Oggi questo territorio, una regione vitivinicola considerata in passato secondaria, è al centro della scena italiana". Fabio Giavedoni è con Giancarlo Gariglio il curatore di Slow Wine, e in vista della presentazione dell'edizione 2018 della guida di Slow Food, in programma a Montecatini Terme (PT) il prossimo 14 ottobre, anticipa a Salto.bz alcune analisi relative alla provincia di Bolzano. "Il successo segue l'onda del Gewürztraminer, gode del lavoro fatto in particolare all'interno del sistema delle cooperativa, che hanno agito tutte insieme, con unità d'intenti che non s'è vista altrove, e oggi regala anche tanti piccoli vignaioli che contribuiscono a valorizzare vitigni storicamente poco affermati, come lo Schiava" spiega Giavedoni.
Nel percorso netto dell'Alto Adige, però, c'è qualche neo, "due note dolenti che in questo momento necessitano di un ragionamento - suggerisce Giavedoni -: si ha come la sensazione che questo ciclo virtuoso, di cui abbiamo già detto, e i cui risultati sono destinati a restare, sia terminato. È stato raggiunto un livello di 'qualità generale' che garantisce il consumatore, in tutte le fasce di prezzo, ma c'è un problema quando si tratta di salire di livello, verso le bottiglie più costose, quelle più ricercate, dove tranne qualche presenza della cantina di Terlano il territorio sparisce. Al momento, a parte Terlano, nessun altro soggetto è riuscito a creare vini cult".
Collegato a questo primo aspetto, è anche il secondo: "Se è rassicurante per il consumatore comprare, anche al supermercato, un vino dell'Alto Adige, anche nelle fasce economiche e medie, per un consumatore curioso i vini possono risultato 'noiosi' - sottolinea Giavedoni -. Questa "monotonia", però, "è oggi rotta, e molto bene, da parte di piccoli produttori che stanno affermando il proprio lavoro indipendente dalle cantine sociali. Che, di fronte a questo fermento, stanno dando una risposta che reputo intelligente, con operazioni di ripensamento delle singole attitudini delle cantine, che corrisponono ai territori: stanno realizzando infatti una zonizzazione più precisa dei vigneti, per aver chiara la situazione produttiva e innalzare la qualità di alcune etichetta specializzandosi (a Termeno sul Gewürztraminer, a Caldaro sul Lago di Caldaro, a San Michele Appiano sul Sauvignon, aa Bolzano sul Lagrain...). Ad oggi ogni cantina ha fino a 25 etichette...".
Alla cantina di Terlano riconoscete la Chiocciola, il risultato più alto.
"Sì, ed è stata la prima cantina sociale in Italia ad ottenerla. Qui il merito non è solo la qualità del lavoro, che non è in discussione, ma la scelta di imporre a tutti i soci di abbandonare il diserbo chimico. Una scelta presa in modo netto, che non ha portato però nessuno ad abbandonare la cooperativa, perché non è calata dall'alto ma parte di un percorso di formazione e di crescita. Oggi penso che anche altre siano vicine a una produzione meno impattante, e che nei prossimi anni arriveranno a svolgere in grandissima parte produzione biologica certificata".
Su quale vitigno dell'Alto Adige scommetti?
Lo Schiava, che è sempre stato considerato un vino più dozzinale, venduto in Austria a poco prezzo, e bevuto nelle case contadine. Abbiamo assistito a una riduzione della superficie vitata, che è passata da 3mila a 800 ettari, con prosettiva di scendere ancora. Questo significa che oggi si fa Schiava sono in zone vocate, e ne derivano Schiave molto buone. Quest'anno ne abbiamo premiate parecchie: è la migliore del secolo. È singolare, però, che in ogni cantina dell'Alto Adige è l'ultimo vino che ti fanno sentire: sembra la pecora nera, invece è un vino di beva accattivamente. Ad incalzare lo Schiava è a mio avviso il Pinot bianco: secondo me è tra i vini economici, come fascia di prezzo, è quello che dà l'immagine precisa del vino alto-atesino, che racconta l'impronta del territorio.
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