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Foto: (c) Matthew Henry
Economy | Avvenne domani

Alluminio

Nell’ottobre 82 inizia la parabola finale di un’industria
Quarant’anni orsono, il 15 ottobre del 1982, l’Efim, braccio delle partecipazioni statali cui toccava in sorte, all’epoca, il difficile salvataggio di grandi industrie in difficoltà, annunciò di voler chiudere definitivamente l’intera catena delle fabbriche produttrici di alluminio in Italia. Si trattava allora di ben quattro stabilimenti due dei quali situati, sino dall’anteguerra, nel Trentino-Alto Adige. Uno nella zona industriale di Bolzano e l’altro nella valle dell’Adige, pochi chilometri a sud di Rovereto, nel paese di Mori. Le altre fabbriche erano collocate nella zona industriale che si affaccia sulla laguna veneziana, a Fusina, e a Portovesme nel sud della Sardegna.
Giungeva così ad un drammatico snodo una storia industriale che ho già narrato, ma che merita di essere ricordata perché rappresenta una parte non indifferente nel processo di profondo cambiamento della struttura economica dell’industria altoatesina. Nata alla fine degli anni 30, assieme alle altre grandi fabbriche della zona industriale bolzanina, l’Alumetal alla stata una delle aziende più importanti e produttive dell’intero comparto. Uno dei fattori fondamentali che rendevano possibile il ciclo produttivo era, per la società Montecatini che la gestiva, la disponibilità, grazie alle proprie centrali idroelettriche che venivano realizzate in quegli anni, di energia a basso costo.
La produzione dell’alluminio, specie quella primaria realizzata nei forni di fusione, è infatti una delle più energivore in senso assoluto. È soprattutto questo fattore a determinare, a partire dall’inizio degli anni 60, un brusco mutamento delle condizioni di mercato. Il processo di nazionalizzazione dell’energia elettrica determina la fine delle condizioni di particolare favore che gli autoproduttori potevano riservare alle loro aziende. I privati, quindi, rinunciano e da questa prima fase di crisi, con la minaccia di chiusura, si esce con il passaggio delle fabbriche dell’alluminio sotto il controllo della mano pubblica attraverso lo strumento dell’EFIM.
Anche i manager pubblici, però, devono scontrarsi con una realtà nella quale il costo di produzione è talmente elevato da mettere il metallo che esce dai forni italiani fuori concorrenza rispetto a quello prodotto ove i costi sono minori.
Siamo al 1982 e alla fase finale di una crisi che era in incubazione, come detto, da molto tempo. La prima fabbrica a cadere è quella di Mori. Per uno scherzo del destino è anche quella il cui scheletro fisico è rimasto praticamente intatto, ben visibile ancor oggi, a chiunque percorra l’Autostrada del Brennero, poco lontano dal casello di Rovereto sud. A Bolzano, grazie anche ad una dura e caparbia lotta da parte dei lavoratori, il processo di dismissione fu più lungo e tormentato. Chiusero per primi i forni della produzione primaria, mentre rimase in piedi, per qualche anno, quella secondaria con la realizzazione dei manufatti in alluminio. Poi la chiusura definitiva. La stessa sorte, in quegli anni, toccò anche alla fabbrica di Venezia, mentre lo stabilimento sardo resiste ancora, con le maestranze che si battono disperatamente per salvare uno dei pochi presidi di lavoro in una zona economicamente depressa. Dopo vari passaggi di proprietà, tra un grande gruppo americano ad una multinazionale con sede in Svizzera si cerca di proseguire con lo spettro della chiusura, sempre a causa dei costi crescenti dell’energia, che incombe di anno in anno.
A quarant’anni dall’annuncio ferale arrivato da Roma, della produzione di alluminio a Bolzano ci si ricorda a malapena. Fu uno dei tasselli essenziali del grande progetto di industrializzazione voluta dal fascismo e che sono venuti a mancare: l’alluminio, il magnesio poco lontano, le aziende per la trasformazione del legno. Resistono grazie anche all’intervento della Provincia e a piani di riconversione e ammodernamento portati a termine con sapienza la fabbrica dell’acciaio e quella dei veicoli speciali che opera prevalentemente nel settore delle forniture militari. Per il resto la zona ha cambiato volto, con le cattedrali del commercio che si insinuano fra le strutture produttive.
Dove c’era lo stabilimento Alumetal oggi ci sono gli edifici del Noi Techpark, centro di ricerca e incubatore di imprese del futuro. Una sapiente opera di recupero architettonico, però, ha salvato e integrato nella nuova struttura alcuni degli eleganti volumi della vecchia fabbrica. Un modo di costruire la continuità tra passato e presente.
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Sergio Fratucello Fri, 10/14/2022 - 16:02

Mio padre c'ha lasciata la salute alla Montecatini, come si chiamava allora, fabbrica che produceva non solo alluminio, ma tante morti da inquinamento e polveri.

Fri, 10/14/2022 - 16:02 Permalink