Quo vadis Südtirol?
Quello che sta accadendo intorno al tema toponomastica, la dice purtroppo lunga sulle reali condizioni dell’Autonomia in provincia di Bolzano. Da una decina di anni, sulla spinta di gruppi della destra tedescofona, la pressione per l’eliminazione dei toponimi di Tolomei si è fatta sempre più eclatante. Che la richiesta di far sparire i toponimi fascisti sia un’esigenza sentita realmente come prioritaria dalla gran parte della popolazione di lingua tedesca non è oggetto di grande interesse. La politica della separazione etnica su cui si sono costruite le oligarchie e i sistemi di potere politico e economico locali del resto ha bisogno di temi caldi con cui parlare alla pancia dei cittadini.
La soluzione attualmente elaborata dalla Commissione dei Sei per risolvere il “problema dei problemi”, l’insoluta questione che costringe i preoccupati e insonni cittadini a estenuanti veglie notturne, prevede la costituzione di una commissione paritetica chiamata a decidere la liceità dei singoli toponimi e contiene una doppia “lista nera” di nomi da eliminare: i famigerati allegati a e B. I commenti alla soluzione sono in larga parte surreali. L’onorevole Zeller la fa passare come un inderogabile atto di riparazione verso i torti del passato. Il presidente della commissione dei Sei Francesco Palermo avvisa che senza questa norma gli italiani rischierebbero ben peggiori penalizzazioni, mentre l’assessore Tommasini la giudica una “ottima soluzione”, e il governatore Kompatscher avverte che è ora di chiudere in fretta la partita e che la SVP sta perdendo la pazienza (sic).
Il siparietto si conclude con sussurranti voci di contorno che celebrano il vecchio adagio secondo il quale spesso il meglio è nemico del bene. Di quale bene e quale meglio si parla non è chiaro. Il bene di una comunità che deve imparare a conoscersi e rispettarsi per crescere insieme? O di due comunità l’una delle quali deve prevalere sull’altra per riparare i torti subito ottanta anni fa?
Ma veniamo alle questioni di sostanza per analizzare quello che sta accadendo. Che sono sia di merito che di metodo, da un lato, e di prospettive e futuro, dall’altro.
Sul merito della questione la discussione è presto terminata. Lo Statuto di autonomia, il patto fondativo della cosiddetta convivenza, sancisce il bilinguismo dei toponimi. Binomismo o altre interpretazioni fantasiose della norma non sono contemplate. I toponimi devono restare bilingui perché questi sono gli accordi e come si dice tra gentiluomini pacta sunt servanda. Non si può approvare uno Statuto e poi chiederne continuamente la revisione unilaterale perché se oggi il principio di unilateralità sembra premiare la SVP cambiando le condizioni politiche e economiche nazionali e internazionali un domani non troppo lontano potrebbe portare a una situazione completamente ribaltata.
In questo scenario di perdita totale di senso di realtà, quello che colpisce maggiormente l’osservatore esterno è che il problema della cosiddetta toponomastica è oggi chiaramente una questione costruita e alimentata per motivi strumentali. Il bilinguismo (o binomismo) contestato è più formale che sostanziale perché contrariamente a quanto sproloquiano molti politici appassionati della tematica, ciascun gruppo e ciascun cittadino fa uso dei nomi secondo le contingenze e le sue personali preferenze. Non si ha sinceramente da almeno venti anni memoria di un italiano che ha contestato la nominazione tedesca di una qualche malga, o rio, o piccola valle laterale. Quindi che sulle cartine geografiche e sui cartelli siano riportate le indicazioni bilingui non rappresenta un problema reale per la stragrande maggioranza dei cittadini. Perché dunque si da spazio a gruppi limitati di nostalgici dell’Impero Austroungarico o a fanatici in odore di revanscismo? La risposta purtroppo è molto semplice: parti importanti di politica provinciale hanno bisogno come l’aria di iniettare continuamente nei gangli della società civile il veleno della divisione etnica. E tutto sommato si capisce anche bene il motivo, perché senza il richiamo alla compattezza etnica interi apparati politici sia tedeschi che italiani non avrebbero più alcuna ragione di esistere.
Sotto il profilo del metodo, l’”ottima soluzione” di cui parla l’assessore alla cultura italiana fa anche sorridere chiunque si sia cimentato con un serio studio dei fondamenti delle società democratiche. L’uso dei nomi, dei riferimenti culturali e simbolici è nella modernità una questione di diritti individuali. Ciascuno deve essere libero di manifestare il proprio pensiero indipendentemente da differenze religiose, di orientamento politico, etnico e linguistico. Quindi non può essere un organo sovietico a decidere quali nomi vanno salvati e quali no, e nemmeno stabilire cosa è in uso e cosa non lo è. Perché per esempio un Palermo o uno Zeller o un qualsiasi altro nominato dai partiti dovrebbe decidere se un uso di nomi da parte dei singoli è legittimo oppure no? Il livello surreale della proposta purtroppo svela il più pesante vulnus della cosiddetta democrazia etnica provinciale ovvero il fatto che i singoli non hanno nessuna voce in capitolo come cittadini e tutto è portato su un piano di tutele di entità etniche omologanti e immaginarie che umiliano le identità individuali e le legittima loro aspirazioni a essere altro rispetto a quello che il sistema impone loro arbitrariamente di essere in termini di soldatini di reggimenti nazionali.
La commissione inoltre è un assurdo giuridico perché instaurerebbe nel sistema un ulteriore meccanismo di proroga all’infinito della divisione etnica. Per ogni nome la partita non sarebbe mai chiusa, ma continuerebbe a riaprirsi a uso e consumo di interessi di politici e politicanti che traggono linfa preelettorale dal riaccendersi della discussione sui nomi. L’accordo cosiddetto storico sulla toponomastica dunque non metterebbe affatto la parola fine alla vicenda ma anzi ne istituzionalizzerebbe il perpetuarsi. Chi sostiene il contrario allora o è quello che Carlo Maria Cipolla in “Allegro, ma non troppo” definirebbe uno sprovveduto ovvero un individuo che agisce arrecando danni a se stesso a beneficio di terzo, oppure un bandito, ovvero qualcuno che attraverso le sue azioni cerca di portare beneficio a se medesimo a discapito degli altri e del bene comune.
E veniamo ora all’ultima considerazione quella sulle prospettive. Che futuro vogliono i nostri politici per questa comunità territoriale in cui convivono ormai da decenni non più solo italiani tedeschi e ladini, ma anche più di cento altri gruppi linguistico culturali che abitano la nostra terra? La persona a cui bisogna porre la domanda è il presidente Kompatscher. Colui che aveva iniziato la sua carriera di Landeshauptmann all’insegna del motto basta conflitti sulle questioni etniche. Pensa davvero Kompatscher di frenare il populismo delle destre tedesche rincorrendole sul loro stesso terreno di gioco? In base a quale calcolo politico si ritiene convinto che la soluzione di compromesso che vuole fare approvare placherà gli ardori patriottici dell’irredentismo locale? Non è più probabile, assai più probabile, che gratificati di avere dettato l’agenda alla politica della SVP i partiti di destra alzeranno ancora una volta la posta? E cosa farà il partito di raccolta a questo punto di fronte allo spettro della perdita di consensi alle elezioni del 2018? Chiederà che cosa ancora? L’autodeterminazione? perdendo in questo modo tutta la legittimazione costruita sull’immagine di pilastro portante del partito garante della convivenza a livello sia nazionale che internazionale?
Si avvicinano tempi cupi per la provincia di Bolzano senza che apparentemente nessuno se ne accorga, tutti immersi in un paesaggio bucolico che si illude di diffondere e dispensare a piene mani un senso sempre più effimero di sicurezza e serenità.
I cultori della storia conoscono bene la storia di Teodorico re degli Ostrogoti. Tra la fine del 400 e la prima metà del 500, Teodorico aveva spostato la capitale dell’Impero romano di occidente a Ravenna. Teodorico era un ostrogoto di religione ariana. Insediatosi nella città piena di monumenti e chiese cattoliche fece qualcosa che al tempo pochi immaginavano possibile. Invece di demolire le vecchie costruzioni e sostituirle con nuovi santuari e basiliche ariane, come era consuetudine dell’epoca, edificò i nuovi monumenti nella parte nuova della città lasciando i vecchi per le celebrazioni dei cittadini cristiani cattolici. Fu un periodo di grande convivenza e pacificazione che terminò solo quando il nuovo Imperatore di Costantinopoli decise che la religione ariana doveva essere estirpata. La storia è piena di corsi e ricorsi e la provincia di Bolzano non è un’eccezione. Siamo al punto in cui si deve scegliere ancora una volta se lasciare a ciascuno un proprio spazio di riferimenti simbolici e linguistici oppure procedere con la loro eliminazione. E’ la vecchia decisione che mette, da un lato, chi vede lontano e, dall’altro, chi guarda al tornaconto del giorno dopo.
«L’uso dei nomi, dei
«L’uso dei nomi, dei riferimenti culturali e simbolici è nella modernità una questione di diritti individuali. Ciascuno deve essere libero di manifestare il proprio pensiero indipendentemente da differenze religiose, di orientamento politico, etnico e linguistico.» Qui si parla di ufficialità dei nomi. Nessuno toglie il diritto individuale di chiamare come vuole i posti, le persone, gli edifici e quant'altro.
In reply to «L’uso dei nomi, dei by pérvasion
Esatto, pessimo articolo,
Esatto, pessimo articolo, anche in tanti altri punti... Solo per fare un esempio: Come mai si può scrivere qualcosa come "Non si ha sinceramente da almeno venti anni memoria di un italiano che ha contestato la nominazione tedesca di una qualche malga, o rio, o piccola valle laterale", quando un certo Alessandro Urzì ha fatto almeno tre conferenze stampa nelle ultime settimane, dove si lamentava del caso Schlanderser Alm?