Paola Di Nicola
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Sullo stereotipo “le donne mentono”

Quando il pregiudizio è più importante del giudizio. Paola Di Nicola, giudice della Corte di Cassazione, parla del pregiudizio più importante che influisce sulla capacità di riconoscere la violenza maschile contro donne, bambine e bambini.
  • Ve l’ho anticipato: sono giorni intensi fatti di incontri dei quali vorrei rendervi partecipi… Così ho visto Paola Di Nicola, giudice della Corte di Cassazione (dal 2010 Giudice Penale), consulente giuridica della Commissione femminicidio del Senato della XVIII Legislatura, formatrice e autrice. La citiamo spesso nelle formazioni antiviolenza, in particolare alcuni passaggi del suo libro La mia parola contro la sua. Quando il pregiudizio è più importante del giudizio
    Ho chiesto a Paola Di Nicola quale fosse il pregiudizio più importante che influisce sulla capacità di riconoscere la violenza maschile contro donne, bambine e bambini. Ecco a voi il suo commento:

    “Il primo stereotipo pericoloso è quello che le donne mentono, che esagerano, che hanno comunque qualche beneficio da una denuncia. È un pregiudizio diffusissimo che ha una radice culturale molto potente. Da una parte abbiamo un discorso filosofico, mitologico, religioso che ruota proprio intorno alla falsità femminile. Sia la filosofia che la religione sono fondati sulla insipienza della parola femminile. Dall'altra parte la parola delle donne nella storia non è mai realmente esistita. Nelle aule di giustizia, a partire dal diritto romano, la parola di una donna non poteva neanche entrare, aveva bisogno di essere confortata da altri tre testimoni. Tutto questo fa parte del nostro retaggio culturale millenario e appartiene a ciascuno e ciascuna di noi.

    Il tema dei pregiudizi giudiziari che non vediamo è potentissimo e richiede l'accettazione che ne siamo imbevuti. Se non siamo consapevoli che, a prescindere dal ruolo e dalla funzione che svolgiamo, siamo intrinsecamente pervasi da stereotipi e pregiudizi, non riusciremmo mai a affrontare questi delitti nel modo dovuto. 

    Così, ad esempio, il più importante fattore di rischio per una donna, oltre a una separazione in corso e la presenza di figli minorenni, è quello della paura della donna. Mi spiego: se una donna dichiara di avere paura di quell'uomo, di quel partner, di quel padre, va ascoltata! La paura è sempre fondata. È il più importante indicatore che impone a qualsiasi operatore specializzato e competente di prendere seriamente in considerazione il caso e di andare avanti con gli strumenti di protezione che il nostro sistema offre. Questo vale per gli ospedali, per le scuole, le università, i commissariati e per le aule di giustizia. E dunque ogni giudice, ogni operatore giudiziario, di fronte ad una donna che rende dichiarazioni sulla violenza che ha subito, deve partire dall'assunto che quella dichiarazione sia una dichiarazione veritiera. Dobbiamo smettere di agire ascoltando i nostri pregiudizi, ma partire sempre dalla presunzione di veridicità e dai dati oggettivi. Le cifre ci dicono il resto: denuncia una donna su 10 di quelle che hanno subito violenza. Quando lo fanno, arrivano a un livello di esasperazione o paura tale, per cui già la loro dichiarazione è un campanello d’allarme. Tant’è vero che si parla di reati spia, ovvero di reati che spesso vengono banalizzati, ma che (col senno di poi) la dicono lunga: minacce, diffamazioni, controllo del cellulare o di messaggi su Facebook, molestie…

    Noi operatrici e operatori giudiziari dobbiamo accettare il nostro limite conoscitivo. Il fatto che non siamo in modo autoreferenziale soggetti imparziali solo perché indossiamo una toga. Nessuno di noi è imparziale. Casomai lo si diventa. L’imparzialità è una strada, che si percorre, che è difficile, dura, complessa, piena di salite e di discese, una strada tortuosa, ma che va intrapresa. Dobbiamo uscirne.”