Culture | Veti caduti

La censura è morta, lunga vita al cinema

Fine dell’oscurantismo, abolita la censura cinematografica, ma è una rivoluzione soft. Bernato, ex gestore di sale e proiezionista: “Tagliare le scene era un dolore”.
Arancia meccanica
Foto: upi

Sono i primi anni del dopoguerra, seduto nella sala buia e vuota di un cinema di un piccolo paese siciliano il parroco don Adelfio visiona in anticipo i film e armato di campanella segnala con clericale foga al proiezionista, Alfredo, le scene da tagliare, soprattutto quelle dei baci (da Notorious, per esempio, ma anche da Riso Amaro, Senso, Addio alle armi, Bellissima).

È quasi istintivo ritornare con la memoria all’iconica sequenza di Nuovo cinema Paradiso, di Giuseppe Tornatore, ora che l’abolizione della censura cinematografica in Italia è stata finalmente formalizzata. Il 5 aprile scorso, infatti, il ministro della Cultura Dario Franceschini ha firmato il decreto attuativo che segue la “Legge cinema” del 2016; in sostanza non è più previsto per i film il divieto assoluto di uscita in sala né di uscita condizionata a tagli o modifiche. Sostiene Franceschini che è stato “definitivamente superato quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti”.

Il decreto istituisce la Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche - presieduta da Alessandro Pajno (presidente emerito del Consiglio di Stato) e composta da 49 membri di nomina governativa (ma stupisce che solo quattro siano gli esperti del settore cinematografico) - presso la Direzione Generale Cinema del Ministero della Cultura. La nuova commissione sostituisce quella di revisione e avrà il compito di verificare la corretta classificazione delle opere cinematografiche da parte degli operatori e stabilire quali film siano adatti a ogni tipo di pubblico; e quali quelli vietati ai minori di 6, 14 e 18 anni.

La scena, tratta da "Nuovo Cinema Paradiso" (1988), in cui don Adelfio, il parroco di Giancaldo, censura alcune parti del film "Verso la vita" di Jean Renoir (1936) ritenute sconvenienti 

 

La fine della censura (ma con ogni probabilità non quella dell’autocensura) è una riforma attesa dal 2017, ma è dagli anni Dieci del Novecento - precisamente con il Regio Decreto n. 532 del 31 maggio 1914, attraverso cui viene approvato il regolamento per l’esecuzione della Legge Facta - che in Italia lo Stato interferisce sui contenuti dei film che vengono distribuiti, sebbene gli ultimi casi eclatanti risalgano a oltre vent’anni fa.
Tra i film condannati dalla censura italiana - in epoche in cui, va detto, il cinema nostrano era molto più audace e trasgressivo di oggi - ci sono Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, “congelato” dal 1972 fino al 1987; Rocco e i suoi fratelli, film del 1960 di Luchino Visconti, La dolce vita di Federico Fellini (1960); La ricotta di Pier Paolo Pasolini (episodio del film Ro.Go.Pa.G. del 1963); Totò che visse due volte, del 1998, diretto da Daniele Ciprì Franco Maresco; e fra gli stranieri Nodo alla gola di Alfred Hitchcock nel 1949 e distribuito solo nel 1956 e Arancia meccanica, film di Stanley Kubrick del 1971, che fu trasmesso in televisione per la prima volta nel 1999 sulla pay TV e solo nel 2007 in chiaro.

 

Bolzano e i moralisti

 

La notizia dell’abolizione della censura cinematografica viene accolta con particolare soddisfazione fra gli addetti ai lavori, anche a Bolzano. “È una bella cosa, anche se il cinema è immobile da oltre un anno” dice a salto.bz Natalino Bernato, fondatore del Cinè Museum in zona industriale, che nella sua carriera ha gestito varie sale cinematografiche in provincia, il Costellazione e il teatro cinema Concordia a Bolzano, il cinema Sole di Laives, l’Odeon di Merano. “Quando sono nate le prime tv private, in Alto Adige, non c’era chissà quale severità, scene di film con Lando Buzzanca, per esempio, in cui si mostrava qualche gamba nuda, venivano mandate in onda, mentre al cinema erano vietate. Un controsenso. E al teatro non andava meglio. Al Cristallo o al Concordia, negli anni ’70 fino alla fine degli anni ’80 - chiosa Bernato -, la scure della censura era affilata, accadeva di dover eliminare delle parti dal testo di una commedia oppure cambiare i costumi se troppo succinti”.

 

Tornando al grande schermo vari erano gli interventi censori da parte della curia, racconta l’esperto, che in passato ha gestito in provincia anche cinema parrocchiali, “venivano diffusi perfino dei libretti in cui era indicato cosa fosse consigliabile guardare e cosa no”. Il parroco decideva i tagli da fare sul film. “Alcuni della serie di Fantozzi, ad esempio, sono stati ‘alleggeriti’. È andata avanti così finché, dalla seconda metà degli anni ’90 in poi, la censura ha allentato la presa. Con l’avvento di internet, in seguito, l’azione di controllo è diventata un’impresa impossibile”.

Dovetti consegnare obbligatoriamente la copia non censurata di "Ultimo tango a Parigi" che custodivo gelosamente, e quello non fu l’unico episodio. Ah, quanti film avrei voluto salvare

 

A proposito di censura Bernato, che con un certo orgoglio sottolinea di aver contribuito a lanciare in Italia il cinema pornografico, spiega che sebbene a Bolzano ci fosse una maggiore indulgenza rispetto al resto del Paese, il processo esaminatorio sulle pellicole era ferreo: “Ricordo che in sala, al cinema Roma, arrivavano il prete, il procuratore e altri incaricati per visionare i film a luci rosse (che erano classificabili come ‘soft porn’, niente di così scabroso) e ogni volta che mi facevano un segnale io, che all’epoca lavoravo come proiezionista, inserivo un pezzo di carta nella bobina mentre girava per contrassegnare il pezzo della scena ‘incriminata’ da tagliare, proprio come Alfredo in Nuovo Cinema Paradiso. E questo succedeva anche con i film di altro genere, come quelli di guerra o polizieschi, per le scene di violenza, ad esempio, e a forza di tagliare ero diventato così bravo che nessuno si accorgeva che ci avevo messo le mani. A Padova, sede centrale della distribuzione dei film, ero diventato famoso per questa abilità che avevo maturato. Eppure - prosegue - mi addolorava dover tagliuzzare a destra e a manca, mi chiedevo: se il film è nato in quella maniera, con quella determinata scena e battuta, perché snaturarlo?”.
Il pensiero corre infine a quel 1972 quando Ultimo tango a Parigi fu sequestrato per “esasperato pansessualismo fine a se stesso”. “Dovetti consegnare obbligatoriamente la copia non censurata che custodivo gelosamente, e quello non fu l’unico episodio - confessa Bernato -. Ah, quanti film avrei voluto salvare”.