Il futuro dell'autonomia in Valle d'Aosta e Friuli
Prof. Louvin, che storia ha scritto l’autonomia in Valle d’Aosta in questi ultimi 20 anni per quanto riguarda tutela delle minoranze, legge elettorale, nuove competenze?
Le modifiche apportate in passato allo Statuto speciale valdostano hanno avuto successo solo quando sono state avviate in sede parlamentare. In un primo tempo si è trattato di piccoli miglioramenti settoriali, suggeriti dalla sensibilità regionale.
Si è così arrivati, per esempio, alla previsione nel 1993 di una tutela specifica per le popolazioni di lingua tedesca dei comuni della Valle del Lys a salvaguardia delle loro caratteristiche e tradizioni linguistiche e culturali, e della formalizzazione del sistema delle norme d’attuazione che lo statuto originario non aveva previsto. Si è proceduto nello stesso modo anche per la creazione della Commissione paritetica per le norme d’attuazione e per l’attribuzione alla regione della competenza in materia di ordinamento degli enti locali, che lo statuto inizialmente non aveva previsto.
Nel 2001 poi la Valle ha invece acquisito la competenza a regolare la propria forma di governo: ne sono conseguite leggi statutarie regionali importanti in materia di elezione del Consiglio, della Giunta e in materia di ineleggibilità e incompatibilità. La Valle d’Aosta si è però rivelata prudente nel modificare il sistema elettorale: diversamente da tutte le altre regioni (e come la Provincia autonoma di Bolzano): non ha infatti voluto introdurre l’elezione diretta del Presidente della Regione e ha mantenuto quindi un sistema ‘parlamentare’ classico, che permette il cambiamento di maggioranze e la sostituzione del presidente, anche attraverso la cd ‘sfiducia costruttiva’.
Hanno avuto successo le modifiche allo Statuto proposte dalla Regione?
I tentativi regionali di proporre modiche organiche dello Statuto si sono finora sempre risolti in un nulla di fatto: tra il 1988 e il 1990 una commissione consiliare speciale che ho avuto personalmente l’onore di presiedere ha approfondito le criticità del sistema, rassegnando una “Relazione sullo stato dell´autonomia della Regione Valle d’Aosta” che però non ha avuto seguito a causa di un ribaltamento di maggioranza.
Il nuovo tentativo, condotto sempre a mezzo di una Commissione consiliare speciale presieduta da Roberto Nicco tra il 1998 e il 2003 avrebbe dovuto cercare di rafforzare l’autonomia regionale dando maggiore spazio agli enti locali, ma anch’essa non ha avuto concretamente seguito.
Tra il 2006 e il 2008 il Consiglio regionale ha dato vita alla “Convenzione per l'autonomia e lo Statuto speciale della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste”. Con quali obiettivi?
Lo scopo era di discutere e predisporre un documento da sottoporre al Consiglio regionale per avviare un’iniziativa di riforma statutaria. Pur essendo stata voluta come organismo aperto, composto, oltre che dalle componenti istituzionali (consiliari e parlamentari) regionali, da rappresentanze degli enti locali, dell'Università, delle imprese e delle professioni, delle organizzazioni sindacali, degli organismi di parità, del terzo settore e della minoranza linguistica Walser, oltre che da personalità di particolare prestigio e competenza, il lavoro compiuto per aggiornare la carta statutaria non è poi stato convintamente fatto proprio e si è presto avviato su un binario morto.
Nelle scorse elezioni regionali, nella primavera di quest’anno, il tema delle riforme istituzionali è stato praticamente assente: non sono in campo proposte forti e le problematiche della crisi economica sembrano dominare ampiamente la scena.
E sul fronte della partecipazione dei cittadini?
Se c’è un settore in cui la riforma istituzionale, per mezzo di leggi statutarie regionali, ha dato frutti importanti, quello è stata la partecipazione popolare, attraverso l’istituto del referendum propositivo.
È proprio in questa piccola regione che per la prima volta ha avuto successo un referendum ‘propositivo’ che ha direttamente cambiato, attraverso un voto popolare, una legge regionale. Si è trattato, nel 2012, della legge che ha vietato l’uso di trattamenti a caldo nello smaltimento dei rifiuti, legge che ha portato a bloccare la procedura per la costruzione di un pirogassificatore già deciso dalla Regione.
Per quanto riguarda l’autonomia finanziaria, quali sono stati gli sviluppi in Valle d’Aosta?
La più grande ‘riforma di sistema’ di questi ultimi anni, mi riferisco a quella del federalismo fiscale, ha seguito binari del tutto diversi da quelli della modificazione della norma costituzionale. Si è trattato di un accordo politico, sottoscritto – così come l’accordo di Milano fra Bolzano e Trento e il Governo - fra i ministri competenti e il Presidente della Regione. Rispetto a questo patto al Consiglio è resto riservato soltanto un ruolo di pura ratifica, prima della trasfusione dello stesso in un’apposita norma di attuazione.
Quali prospettive di riforma intravvede per le autonomie speciali in Italia?
Se guardiamo con realismo la situazione attuale, vediamo un quadro abbastanza problematico.
Gli ordinamenti speciali sono criticati – anche dalla Commissione degli ‘esperti - sul piano delle finanze e quando ne è stata messa in dubbio la corretta gestione delle risorse si sono difesi debolmente. Allo Stato preme soprattutto di riallinearli ulteriormente alle altre regioni sotto il profilo finanziario, primo passo di una ‘normalizzazione’ che potrebbe livellare pesantemente le conquiste raggiunte in passato.
Come possono giustificare le regioni a statuto speciale i privilegi dell’autonomia?
Sono convinto che per conseguire riforme profonde occorra prima di tutto garantire che l’autonomia ‘interna’ della regione sia assicurata nel rispetto dei poteri locali, delle autonomie culturali interne e del consenso sociale alle politiche, facendo delle regioni speciali modelli positivi di sviluppo e di democrazia.
Su questo presupposto di forte e giusta coesione interna, si potranno sviluppare proposte di rafforzamento dell’autonomia ‘esterna’, allontanandosi dal cliché delle ‘autonomie di privilegio’ e andando verso un paradigma di ‘autonomie di responsabilità’.
Se sarà necessario, le piccole regioni alpine dovranno saper tessere una tela di collaborazione fra loro che le porti a smarcarsi dall’immagine negativa che proiettano purtroppo altre regioni speciali e che si riflettono negativamente sulla credibilità delle nostre proposte.