Importante è partecipare
O anima mia, non aspirare alla vita immortale, ma esaurisci il campo del possibile.
Il poeta Pindaro, eccelso cantore dei giochi olimpici, non poteva prevedere che il corpo umano avrebbe raggiunto performance impossibili con gli aiuti dopanti; che, grazie al doping, l’uomo avrebbe trovato la scorciatoia per l’immortalità sportiva. Una scorciatoia che è un inganno vero e proprio, un inganno che si è fatto il più delle volte sistema con caratteristiche mafiose anche se di Stato. Il CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, troppo spesso cieco di fronte alla realtà, non ha potuto questa volta negare l’evidenza cancellando Mosca dai Giochi invernali di Peyongchang 2018. Ci sono voluti due anni di inchieste e alla fine si è giunti a una umiliante quanto inevitabile conclusione: la sospensione dai Giochi della superpotenza russa, con tanto di multa milionaria; nessuna bandiera potrà sventolare, nessun inno essere suonato, nessuna divisa ufficiale potrà sfilare davanti a pubblico e telecamere. A confermare quanto il sistema sport sia malato, ipocrita e corrotto, basti notare che l’ex ministro dello sport russo Vitaly Mutko, sospeso a vita dalle Olimpiadi, rimane il numero uno dei mondiali di calcio dell’estate 2018. Il sistema sport è malato: sono troppi i soldi che girano, troppe le poltrone in ballo, troppo il potere che ha nei confronti dei media e dell’opinione pubblica mondiale. Anche se giusta e coraggiosa la scelta di escludere una nazione che ha permesso e motivato i propri atleti a fare uso di sostanze dopanti, l’essenza delle cose non cambia. Lo sport assomiglia molto a un’organizzazione mafiosa collusa a troppe federazioni, troppe società nelle più disparate discipline. È un’organizzazione che, attraverso un sistema ramificato e ben regolato, cerca sempre di legalizzare il doping, reclamizzato e fortemente sostenuto da case farmaceutiche multinazionali, da potenti club e federazioni, da sponsor che investono fior di quattrini per avere visibilità.
Si dice spesso che il ciclismo, in fatto di doping, sia il vero capro espiatorio, e forse lo è. Ma io sogno una federazione ciclistica decisa, dura, che sappia prendere una presa di posizione netta, non inquinata da compromessi e sotterfugi. Purtroppo e troppo spesso sono gli stessi uomini di vertice che, attaccati al loro scranno di potere, non permettono - per ora – non solo un sistema di controllo efficace, ma una definizione di regole chiare e uguali per tutti. E cosa dire dei giovani? Spesso sono obbligati a fare uso di sostanze per poter ambire a una carriera futura, altrimenti non sono appoggiati da chi li segue e prepara! E cosa dire poi degli amatori? Forse la questione qui è ancora più grave che nello sport professionistico. Senza alcun controllo medico, anche fra gli amatori c’è chi usa di tutto, senza scrupolo alcuno. Il problema quindi è prima di tutto mentale: la sindrome da competizione raggiunge picchi paradossali; ed è anche sociale: siamo ormai molto distanti dal principio decubertiano l’importante è partecipare. L’importante è vincere, anche se si gareggia in quartiere, in polisportiva, in una granfondo. Perdere non è più nobile, l’aspetto sano e poetico dello sport è andato a farsi benedire da un pezzo.
Il sistema è tutto da ribaltare. E non certo solo nel ciclismo o nell’atletica. Sarebbe bello se le società sportive decidessero di far praticare sport ai ragazzi facendo passare il messaggio che lo sport è insegnamento di vita e non solo mera competizione.
E invece nello sport, amatoriale e professionale, si cerca di evitare a tutti i costi, anche ricorrendo alle pratiche illecite, che vincano gli altri. Il prezzo da pagare è alto, troppo alto. E noi spettatori e consumatori di sport non possiamo essere indifferenti, non possiamo far finta di nulla, altrimenti diventiamo anche noi collusi al grande sistema dello sport, a questo grande fratello che smuove quattrini e spaccia falsi sogni a ogni latitudine. Al prossimo grande evento sportivo, perciò, spegniamo le tv e andiamo a pedalare, calciare, schiacciare, colpire, scalare, nuotare come più ci piace e pare. Riprendiamoci lo sport a partire da noi stessi.