Culture | Lezioni di canto

Liberavoce: un luogo dove si può

Liberavoce è un progetto per recuperare l'amicizia con la propria voce.
Monika Callegaro: “Perché ognuno/a di noi ha il diritto di cantare”
Studio Liberavoce, di Monika Callegaro
Foto: Monika Callegaro
  • Quello tra l'essere umano e la musica è un amore che dura nel tempo, indissolubile. Monika Callegaro, cantante bolzanina, è riuscita a fare di questo amore una professione da quasi trent'anni (dodici anni passati al Cesfor e nove a MusicaBlu).  Con il suo progetto Liberavoce, Monika porta avanti un percorso volto al recupero dell'amicizia con la propria voce, per allievi e allieve che ne vogliano fare sia un uso puramente personale, sia per salire sul palco.

  • SALTO: Monika, come è nata l'idea del progetto Liberavoce?

    Monika Callegaro: Liberavoce nasce perché nel 2015 ho avuto l'esigenza di fare qualcosa di diverso: volevo una situazione che creasse possibilità diverse per gli allievi, ma anche per me, soprattutto in seguito ad una serie di corsi di formazione che avevo fatto, tra cui la scuola di musicoterapia. Sentivo l'esigenza di prendermi cura dell'allievo/a con i tempi e le modalità che servono individualmente ad ognuno/a di loro, anche quelli/e più lenti/e. Non ho fatto tempo a pensare a questa idea, che ho avuto subito la possibilità di avere uno spazio mio, un vero e proprio studio che, nel tempo, ho creato a mia immagine e somiglianza. Avere uno spazio in cui sentirmi nella mia “tana” era fondamentale, perché volevo che lavorarci fosse gratificante e divertente. Partendo da questo luogo e da questo obiettivo, è nato Liberavoce.

    Il nome Liberavoce è di per sé molto esplicativo. Rappresenta anche un po’ il tuo approccio di insegnamento nei confronti degli allievi e delle allieve?

    Assolutamente. Cercavo un nome che rappresentasse un po’ il percorso che volevo intraprendere ed è uscito Liberavoce, nel senso che in questo progetto ogni allievo/a può sviluppare liberamente la voce, sperimentando e sentendosi libero/a. Questo perché si tratta di una situazione protetta e quindi il setting favorevole in cui una persona si possa fidare, non solo di me, ma di se stessa in primis. In realtà anche l'immagine del biglietto da visita riprende molto questo concetto: ho trovato online questa grafica, ovviamente di libero dominio, in cui ci sono cinque cavi dell’alta tensione della luce e dei piccioni vi volano intorno. Il piccione di per sé non canta ed è questo motivo che mi è sembrato il logo perfetto, perché a lezione da me vengono spesso persone che mi dicono di non essere abituate a cantare, ma che però sentono di doverlo fare. Proprio perché questa esigenza è molto autentica e potente, i piccioni che prendono il volo su questo pentagramma mi hanno fatto pensare: se possono farlo loro, perché non anche queste persone?

  • Monika Callegaro: “(...) si tratta di una situazione protetta e quindi il setting favorevole in cui una persona si possa fidare, non solo di me, ma di se stessa in primis” Foto: Manuel Bachinger
  • Hai riscontrato particolari difficoltà all'inizio del tuo percorso?

    In realtà è partito meglio di quanto pensassi. A parte l’inquadramento fiscale non ci sono stati grossi intoppi: ho trovato una cooperativa che mi sostenesse in questo aspetto in modo da essere a posto dal punto di vista amministrativo. Ma no, non ci sono state grandi difficoltà perché è tutto calibrato con elasticità. Ho avuto subito un boom di richieste e nel corso del tempo si è stabilizzata anche l’esigenza che avevo io, ossia quella dell'avere il tempo sufficiente da poter dedicare ad ogni allievo/a . Adesso non faccio a meno di un’ora e mezza che risulta necessaria per il mio modo di lavorare Approccio che prevede la presenza da parte dell'allievo/a, e con presenza intendo il fatto di riconoscere quanto il canto rappresenti un contatto con se stessi e la capacità di lasciarsi condurre all’interno dell’esperienza. Oltre a questo, affrontare anche un insieme di esercizi di riscaldamento e i brani scelti dagli allievi e dalle allieve, oltre ad analizzare ogni singolo tema o problematica che emerga. C’è tempo per tutto insomma.

    Nel tuo percorso musicale sei partita direttamente dal canto o hai studiato prima altri strumenti?

    Guarda, io canto da quando ho memoria. Penso che cantassi ancora prima di parlare. Mio padre mi ha scritto al mio primo concorso canoro quando avevo quattro anni. Ad essere sincera, ho sempre avuto il sogno di suonare il pianoforte, ma quando ho passato il test attitudinale del Conservatorio è cominciata una storia un po' sfortunata, nel senso che credo sia importante incontrare l'insegnante che sia adatto da te e purtroppo è un po' il contrario di quello che realmente succede. Questo sviluppa sicuramente altri tipi di capacità, ma se si ha un problema di qualche tipo, che possa essere cognitivo o emotivo - come era nel mio caso - questa situazione può creare dei problemi. Infatti, avevo un'insegnante che era veramente bravissima, ma che pretendeva dagli allievi e dalle allieve che fossero sempre ad un livello estremamente alto e chi magari non aveva la determinazione o il lampo di genio, veniva fermato prima. Per me è stato così. Mi era stato persino detto di non essere portata per la musica – spiega Monika - Ho avuto la gran fortuna di frequentare il Conservatorio e di incontrare altri insegnanti fantastici, ma sono comunque uscita da questo triennio fallimentare dal punto di vista musicale con un'autostima bassissima. La musica però mi chiamava e da quell'esperienza sono entrata a fare la corista e la solista in più gruppi.

  • Monika Callegaro: Il biglietto da visita dell'insegnante di canto usa uno scatto evocativo. Foto: Monika Callegaro

    Quando è iniziata la tua carriera da insegnante?

    Nel '94, perché in seguito ai vari talent show che nascevano, il Cesfor ha avuto l'esigenza di far partire dei corsi di canto moderno che qui non esistevano ancora - Io stessa sono dovuta andare a studiare a Milano quando avevo sui 19 anni - Il Cesfor ha contattato un po' di persone e tra quelle c'ero anche io e pensare di andare ad insegnare canto per una scuola di musica non era una cosa da poco. Ho sentito infatti il bisogno di confrontarmi con alcune persone chiedendo poi ad Alessandra Amaddii in particolare, mia collega di allora e attuale insegnante di canto a MusicaBlu, di iniziare assieme facendoci intervisione. Una di noi faceva lezione, l'altra prendeva appunti e viceversa, con lo scopo poi di confrontarci per provare a sviluppare una metodologia. Ci siamo sincerate di essere in grado ed è stato lì che per la prima volta ho pensato a che tipo di insegnante volessi essere. Sicuramente non quella che avevo avuto e che mi aveva fatto passare la voglia di fare musica.

  • Il percorso di formazione in musicoterapia ha influito anche su di te personalmente, o è stata solo una parentesi di formazione tecnica-teorica?

    No, ha influito anche su di me. La musicoterapia porta ad un lavoro personale molto approfondito proprio perché va a toccare l'intimità delle persone. Tutto quello che ho fatto durante quel percorso mi è servito per mettere appunto ancora di più l'approccio personale che ho con gli allievi e le allieve, e a cui si sono poi successivamente aggiunti altri percorsi sulla didattica sia del canto, sia dell'emotività.

    Come insegnante senti che la musicoterapia ti dia una marcia in più?

    Sicuramente è andata a consolidare un po' la formazione scientifica che è importantissima, e soprattutto mi ha dato modo di sperimentare una serie di principi con cui si può entrare nel mondo dell'altro e facilitare un processo di crescita. Quando vengono le/i mie/i allieve/i a canto per esempio, sono loro che lavorano per loro stesse/i, io ho solo il compito di agevolare e facilitare questo processo: ascoltare e accogliere senza giudizio, essere trasparene e dare modo a loro di sviluppare delle risorse personali, perché chi intraprende un percorso con il canto ritorna a sé, dentro di sé. La voce è lo strumento più intimo che abbiamo ed è una risorsa personale perché aumenta l'autostima, il benessere, il piacere della comunicazione e l'accoglienza verso se stessi ed io sono felice di poter accompagnare le persone in questo percorso.

    Nel tuo caso il percorso con la tua voce è stato bello ampio visto che ti sei buttata anche nel mondo del doppiaggio, dello speakeraggio radiofonico e della recitazione. In quale di queste sfumature ti sei sentita più a tuo agio?

    Più o meno in tutte. Ovviamente il canto è il mio primo amore, ma anche parlare in radio mi pace. Forse la cosa più vicina al canto è proprio usare la voce per parlare in radio, nel mio caso nel programma “La musica che gira intorno” in onda su Rai Alto Adige.

    Anche il teatro mi piace molto ma mi accorgo di non avere gli strumenti attoriali di cui dispone chi ha studiato quel tipo di percorso e quindi diciamo che in questo ambito mi sento meno sicura.

  • Monika Callegaro: “La voce è lo strumento più intimo che abbiamo ed è una risorsa personale perché aumenta l'autostima, il benessere, il piacere della comunicazione e l'accoglienza verso se stessi (...)” Foto: Franco Silvestri
  • Se un/a allievo/a volesse studiare con te, potrebbe venire anche senza avere nessun tipo di basi canore?

    Assolutamente, ho allievi/e di tutti i tipi: si lavora su appuntamento singolo e quindi diciamo che si passa da persone che già cantano e magari vengono solo perché sentono di voler sistemare qualcosa, oppure che hanno esigenza di approfondire un argomento o preparare un pezzo che poi devono registrare, a chi non ha mai cantato ma dentro di sé ha qualcosa che gli/le chiede di farlo; persone che cantavano e che poi non avevano più voglia di cantare e son venute a ritrovare la voglia di farlo. In questo percorso c'è la voce come cura, ma anche la cura della propria voce e questo prima di tutto, perché significa avere cura di se stessi/e.

    Adoro insegnare e faccio sempre in modo di porre le condizioni giuste in modo che la persona possa svilupparsi. Non plasmerò mai l'allievo a mia immagine e somiglianza, è l'autonomia che accompagna ed è quello che cerco di sviluppare e favorire nel corso delle mie lezioni.

    Inoltre, non è previsto il saggio di fine corso, Liberavoce è un percorso fine a se stesso, per se stessi e permette di lavorare senza lo stress di preparare per forza una performance.

    Perché questo tipo di scelta inusuale?

    Perché, dal mio punto di vista, il saggio di fisso di fine anno rappresenta un momento che chiede di omologarsi ad una richiesta esterna, che di per sé ha una valenza didattica, ma non sempre arriva per tutti al momento giusto ed escludere qualcuno non so... Non lo vedo il mio modo di lavorare. Mi piacerebbe in futuro creare una modalità in cui un/a allievo/a possa avere la performance calibrata sul lavoro che ha fatto durante le lezioni, ma al momento è un'idea ancora lontana e, in ogni caso, Liberavoce non è necessariamente mirato alla performance, ma al recupero dell'amicizia con la propria voce perché ognuno di noi ha il diritto di cantare.