Politics | L'intervista

Democrazia diretta à la svizzera

Leonello Zaquini sulla consultazione popolare sull’aeroporto di Bolzano, i pregi e i limiti della democrazia diretta, gli interventi per migliorare la partecipazione.

Ingegnere, bresciano di origine ed emigrato in Svizzera nel 1997, Leonello Zaquini è un esperto di democrazia diretta. Eletto per la seconda volta nel consiglio comunale di Le Locle, cantone Neuchâtel, Zaquini è autore del libro “La democrazia diretta da vicino” e ha contribuito alla redazione della legge costituzionale di iniziativa popolare "Quorum zero per più democrazia" depositata al Parlamento italiano nell’agosto 2012. Ieri (8 giugno) il professore ha fatto tappa a Merano per una conferenza nell'ambito del 70° anniversario della Repubblica, non prima di aver incontrato gli alfieri di Iniziativa per più democrazia a Bolzano.


Zaquini, come viene applicato lo strumento della democrazia diretta in Svizzera?
Leonello Zaquini: In primis occorre sottolineare che la democrazia diretta si affianca e non sostituisce il sistema rappresentativo. Sono in Svizzera da quasi 20 anni ma per molto tempo non avevo capito la vera utilità di questo strumento, me ne sono reso conto da consigliere quando ho visto i miei colleghi chiedersi: “e se i cittadini prendessero l’iniziativa?”. Questi interventi della cittadinanza, anche a prescindere dall’esito del referendum, influenzano in modo benefico il funzionamento del sistema rappresentativo nella sua quotidianità.

L’applicazione della democrazia diretta porta sempre risultati positivi, dunque?
Vede, anche se a livello comunale la democrazia diretta è utilizzata relativamente poco, fra iniziative cantonali e federali gli svizzeri votano 4 o 5 volte all’anno, è quindi una presenza importante quella della democrazia diretta in questo paese, con il risultato che i rappresentanti politici si fanno veramente portavoce dei cittadini e meno dei partiti. Un altro effetto positivo riguarda il lato economico.

Cioè?
Faccio un esempio: se una lobby vuole far passare una delibera è più difficile se i cittadini hanno la possibilità di dire la loro. Più il potere è distribuito più è difficile intervenire con azioni, non dico di corruzione, ma quantomeno di pressione.

Proprio in Svizzera, al referendum di domenica scorsa, i cittadini hanno respinto con un sonoro “no” (78%) il “reddito di base incondizionato” per tutti.
Gli svizzeri fanno distinzione fra referendum, che ha sempre carattere abrogativo o di ratifica, e la votazione per una proposta popolare, che si chiama iniziativa. Domenica scorsa i cittadini si sono potuti esprimere su alcuni temi molto importanti come il reddito di base, su cui come noto la maggioranza ha optato per il “no”, un risultato peraltro prevedibile. C’è da aggiungere tuttavia che anche le iniziative che non passano vengono prese in considerazione.

Con quali conseguenze?
Nasce una sorta di dialogo fra rappresentanti e cittadini e queste iniziative possono anche essere ripresentate. Agli svizzeri, del resto, non piace legiferare in fretta.

Quali sono gli eventuali spunti dell’”esperienza svizzera” che potrebbero essere esportati in Italia?
Il più adatto fra gli strumenti della democrazia diretta sarebbe quello del referendum obbligatorio che viene lanciato non tramite una raccolta di firme ma in virtù del contenuto delle decisioni da prendere. In generale gli svizzeri vietano ai rappresentanti di prendere decisioni che riguardano i legislatori stessi senza il filtro del referendum obbligatorio. Constato che anche le persone più scettiche sulla democrazia diretta, per quel che riguarda contenuti come le riforme costituzionali e le leggi elettorali, sostengono che il voto popolare debba essere sempre utilizzato.

È una battaglia all’ultimo sangue, peraltro, questa sul referendum costituzionale.
E per fortuna che i padri costituenti hanno previsto la possibilità di fare consultazioni del genere. Un referendum come questo dovrebbe essere obbligatorio, cioè anche se il Parlamento votasse all’unanimità questa modifica costituzionale, in Svizzera (e così, ripeto, dovrebbe essere anche in Italia), un tema del genere passerebbe alla ratifica dei cittadini in ogni caso. Il punto è che si parla continuamente di “governabilità”, un vocabolo che dove vivo io nemmeno esiste. Quando si tenta di spiegare il concetto, dicendo che un gruppo di persone o di partiti hanno la maggioranza, a volte anche a  prescindere dai contenuti, le persone restano scandalizzate. “Quella si chiama dittatura”, dicono. Nel nostro consiglio comunale così come nel parlamento federale non c’è una maggioranza precostituita, non c’è un vincolo di mandato, si decide davvero nei confronti del bene collettivo. Al referendum voterò no, è vero che la democrazia in Italia funziona male ma è perché ce ne vuole di più e non di meno. Le regole democratiche, del resto, si fanno pensando a quando si perdono le elezioni non immaginando di vincerle sempre, un argomento su cui occorrerebbe fare una riflessione. Il rischio è che si passi dall’instabilità dell’esecutivo a quella legislativa, dato che dopo cinque anni di “monarchia elettorale”, il governante successivo potrebbe disfare tutto e fare nuove leggi.  

Quali sono invece i limiti della democrazia diretta?
Lo strumento della democrazia diretta è senz’altro perfettibile. In Svizzera non esiste una Corte Costituzionale, è l’organo legislativo stesso e non un ente federale neutro, che decide sulla ricevibilità delle iniziative popolari. Capita perciò che a volte vengano approvate dal consesso proposte molto discutibili. Purtroppo accade che i partiti approfittino della democrazia diretta non tanto perché sono interessati al contenuto specifico dell’obiettivo da raggiungere ma alla pubblicità che tale obiettivo può dare al partito stesso, questo uso partitico della democrazia diretta è uno dei limiti. Come lo è la mancanza di trasparenza sul costo delle iniziative.

Chi ha più disponibilità economica, del resto, sbilancia prevedibilmente anche le campagne referendarie. Come può essere disciplinata la cosiddetta par condicio dell’informazione?
Il merito della Svizzera è stato quello di far progredire la democrazia diretta, alcuni Stati, specie quelli americani, fra cui la California, hanno praticamente copiato e incollato il “modello” svizzero, il quale prevede anche uno strumento che è il libretto delle votazioni dove ogni tema viene affrontato in modo neutro, favorevole e contrario. In California questo documento contiene un quarto “capitolo” con informazioni su chi paga una certa iniziativa, quanto è costata, chi ha versato il denaro. Un fattore molto utile in termini di trasparenza.

I detrattori potrebbero tuttavia obiettare che fornire un documento del genere comporterebbe costi eccessivi.
Va detto innanzitutto che le votazioni in Svizzera costano 8 volte meno rispetto all’Italia. Il libretto potrebbe essere messo in rete, come in Svizzera, si potrebbe presentare con margine di anticipo in tutti i media obbligatoriamente le informazioni su una determinata iniziativa.

Il quorum è un argomento piuttosto dibattuto, secondo lei andrebbe tolto?
Assolutamente sì. Le racconto un aneddoto: Ho un vicino di casa molto impegnato politicamente a cui avevo chiesto, all’indomani di alcune votazioni federali, cosa avesse votato. “Non ho votato”, mi ha risposto. “Ho letto il libretto delle votazioni e mi sono reso conto che per decidere in merito al tema in questione avrei dovuto informarmi di più e mi è mancato il tempo”. Meglio non votare che sbagliare a votare. Ecco, il quorum vieta questo "non voto intelligente" e affida il potere legislativo agli astensionisti, fra cui ci sono anche persone che si ritengono esse stesse impreparate.

Non considera l’astensionismo come accezione negativa, quindi.
Certamente andare a votare è importante, sarebbe infatti opportuno che i cittadini si occupassero di tutti i temi maturando opinioni personali definite ma se ci si reca alle urne senza un’idea precisa diventa opportuna anche l’astensione intelligente.

Fra pochi giorni in Alto Adige si terrà la consultazione popolare sull’ampliamento dell’aeroporto di Bolzano. Una delle critiche circolate intorno alla decisione di indire tale consultazione c’è il fatto che per quel che riguarda certi progetti da realizzare non è consigliabile far decidere ai cittadini, è d’accordo?
Mi sembra al contrario che sia giusto far decidere ai cittadini, non ritengo che il tema di questa consultazione debba essere un tabù. Torno a dire che la democrazia diretta esige un’informazione oggettiva e pluralista. Credo che questa sull’aeroporto sia anche una consultazione “facile”, ci sono state situazioni, quesiti, decisioni da prendere ben più difficili.

Negli ultimi tempi si parla molto spesso di democrazia diretta, non crede che questo strumento venga utilizzato a volte dalla classe politica come “scorciatoia” per esimersi dall’accollarsi certe responsabilità?
In Italia a volte si abusa di certi termini, vero è che privare il sistema rappresentativo del monopolio del potere legislativo contrasta il partitismo ed evita il rischio della “scusa demagogica” che invece può esistere nei plebisciti o nelle iniziative fintamente popolari e cioè in realtà frutto di interventi partitici.