"Profe, ma chi è Hannah Arendt?"
Nella scuola in cui lavoro, e dalla quale prende il nome, Hannah Arendt è ricordata quattro volte. La prima sulla porta d’ingresso, una porta a vetri, con una scritta che, tradotta, all’incirca afferma: “Prendersi cura degli altri significa dare senso alla propria vita” (la scuola è dedicata alle professioni sociali, la citazione sembra pertinente). La seconda citazione si trova all’interno, vicino all’aula magna e al chiostro che costituisce il cuore del vecchio edificio. Si tratta della famosa frase “Nessuno ha il diritto di obbedire”, scolpita su una stele di pietra. Poi, sulla parete di fronte alla stele, ci sono tre grandi fotografie di Hannah Arendt che la rappresentano in tre età diverse: giovane, come donna matura e anziana. Nella terza immagine, quella che la ritrae anziana, ha in mano una sigaretta. Infine, nel corridoio al primo piano, è appeso il manifesto del film girato da Margarethe von Trotta, e si vede Barbara Sukowa, l’attrice che ha prestato il volto alla filosofa (la chiamo “filosofa” anche se a lei non piaceva molto essere chiamata così: lei voleva essere definita una teorica della politica) sullo sfondo di Manhattan. Anche in quell’immagine, la Sukowa-Arendt ha in mano una sigaretta.
Spiegare a dei ragazzi di quindici anni chi è Hannah Arendt non è semplice. A noi insegnanti viene richiesto di farlo la prima settimana, chiamata Willkommenswoche (la settimana del benvenuto). Io ci ho provato portandoli a “visitare” i luoghi che ricordavo prima, e poi mettendo in fila solo un paio di notizie e il commento alle due citazioni. Di seguito vi stenografo com’è andata (mescolando un po’ tutto, anche cose non dette e pensieri repressi).
- Non vi paia strano, ma se un personaggio famoso, o comunque che viene proposto loro come famoso, fuma, i ragazzi (anche quelli che non fumano) lo sentono più vicino.
- La frase qui sopra non mi convince molto. La ripropongo come domanda: “Ma se un personaggio famoso, o comunque che viene proposto loro come famoso, fuma, i ragazzi (anche quelli che non fumano) lo sentono più vicino?”.
- Hannah Arendt era ebrea. Ebrea e tedesca. Ebrea-Tedesca. Domando: “È possibile per voi essere ebrei e tedeschi?”. Dicono tutti di sì. “È possibile essere allora anche ebrei e italiani?”. Dicono di no. (Ok, lasciamo perdere e andiamo avanti).
- Hannah Arendt era ebrea, quindi dovette lasciare la Germania al tempo del nazismo. Fuggì prima in Francia e poi in America (mentre dico “…in Francia” mi viene il dubbio se sia veramente fuggita anche in Francia, ma non ritiro o metto in dubbio quello che ho detto).
- In America divenne famosa.
- Hannah Arendt ha scritto molti libri, il più citato è su un nazista chiamato Adolf (nome nazista per eccellenza) Eichmann. Il libro è “La banalità del male”. La professoressa di tedesco ha detto che ve ne leggerà qualche brano (intanto penso: ma non ci capirete moltissimo).
- Veniamo alle frasi. Per capire la prima (“Prendersi cura degli altri…”) bisogna mettere tutto il peso su tre parole: cura, altri, senso. Gli “altri” sono quelli diversi da me, da noi, quelli che si trovano in una condizione che potremmo dire “non normale”: i malati, i moribondi, i pazzi (non dico pazzi, ma penso ai pazzi), gli stranieri sbarcati con i gommoni a Lampedusa, i mendicanti per la strada. Gli “altri” sono quelli con i quali stiamo di meno, quelli che a volte non ci piacciono, che evitiamo, che ci fanno paura, che magari disprezziamo. Quelli sono gli “altri”. Se ci prendiamo cura degli altri, la nostra vita acquista senso. (Penso: Il senso dunque sgorga dal prendersi cura degli altri? E per spiegare il concetto di “altri” è necessario andare a pescare in acque così profonde? Tirare in ballo i moribondi, i pazzi, gli stranieri, persino i mendicanti che sono sempre così molesti… – Ma forse mi è utile per capire e spiegare quello che segue).
- Per capire la seconda frase (“Nessuno ha il diritto…”) bisogna comprendere il contesto. Se non si capisce il contesto la frase non si capisce. Suona strana (chiedo: “Vi suona strana?” – Annuiscono). Nessuno ha il diritto di obbedire non significa che non bisogna mai obbedire. Qualche volta è utile obbedire. Se tu (mi rivolgo a un’allieva), se tu stai per andare sotto una macchina e io ti dico “spostati!”, allora è meglio che tu il mio ordine lo segui (risate). (Mentre ridono ho di nuovo un dubbio: “spostati!” è veramente un ordine?). Ma ci sono altri ordini, e sono quelli ai quali si riferiva la Arendt, che noi non abbiamo il “diritto” di seguire. Quali sono questi ordini?
- Gli ordini che noi non abbiamo il diritto di seguire sono quelli che contraddicono il senso illustrato dalla prima citazione, il senso che (come ho continuato a pensare) sgorga dal prendersi cura degli “altri”. E se io mi trovo a vivere in un contesto, in un sistema perverso, come il fascismo o come il nazismo, in cui ogni ordine era pronunciato al fine non solo di non prendermi cura degli “altri”, ma addirittura di distruggere e annichilire gli “altri”, allora nessuno ha il diritto di seguire quegli ordini (nessuno può dire: l’ho fatto perché mi era stato ordinato ed è un mio diritto, non solo un dovere, seguire quegli ordini), ecco spiegato perché nessuno ha il diritto di obbedire. Il diritto di obbedire è più o meno come il diritto di non sapere: in certe situazione non è tollerabile.
- Cinque minuti alla fine dell’ora. Ci sono domande? Prego. “Profe, ma noi dove possiamo trovare queste cose che dice la Arendt, non dico quelle che abbiamo visto sulla porta o in giro, ma tra le persone che sono a scuola?”. Penso alla domanda, che mi pare troppo bella per essere vera. Forse l’ho capita male. Rispondo: le cose che dice la Arendt sono dentro di te, dentro di noi, devono cioè crescere insieme a te, a noi, giorno per giorno, mentre stai qui insieme agli “altri” (e allora questi “altri” sono anche i nostri simili, il nostro compagno di banco…). Seconda domanda. “Profe, ma se un profe allora mi dice qualcosa e io non ho voglia di farla, quella cosa, posso dire che nessuno ha il diritto di obbedire?”.