Lampedusa: difficile percorso verso una normativa europea

La tragedia di Lampedusa ha riportato in primo piano in tema dei confini, al quale la casa editrice Raetia l'anno scorso ha dedicato un ampio volume curato da Andrea Di Michele, ricercatore dell'archivio storico della provincia di Bolzano e futuro membro dell'Istituto di ricerca storica della Lub. Nel libro, che analizza sette siti simbolici della macroregione alpina, si parla di confini anche sotto il profilo simbolico/identitario. Ed alcuni di essi, quello di Salorno in particolare, vengono descritti anche per la loro "mobilità" nella storia, sotto il profilo antropologico, culturale, linguistico...
Niente è più mobile, però, dell'acqua del mare di Lampedusa, paradiso per i naturalisti ed in questi giorni inferno per i profughi. Ad Andrea di Michele abbiamo rivolto qualche domanda su quanto è avvenuto a Lampedusa ed anche sul respingimento dei profughi siriani che hanno recentemente resuscitato il confine silente del Brennero.
Di Michele, in questi giorni l'opinione pubblica vede Lampedusa come luogo di morte ma anche come possibile nuova porta aperta per i rifugiati che hanno l'Europa come meta. Che però, una volta superato il primo ostacolo, si ritrovano al Brennero un muro di gomma.
Andrea Di Michele - Quello dei confini sembrava un tema superato, da secolo scorso. Ma in realtà come abbiamo visto è ancora attualissimo. Lo è innanzitutto perché in Europa i confini esistono eccome. Dire infatti che quello di Lampedusa è un confine italiano è minimizzarlo. I confini dell'Europa sono in realtà molto rigidi, al punto che possono divenire drammatici, come abbiamo potuto constatare. In realtà anche confini interni al continente europeo, che sono stati parzialmente svuotati di significato, esistono ancora anche se ammorbiditi.
I confini "esterni" invece come dicevo sono stati anzi rafforzati e la legge Bossi Fini in Italia opera in questo senso anche perché a livello europeo non è stata concordata una politica unitaria.
E la politica europea non è unanime nemmeno sui confini "interni", come abbiamo potuto constatare in questi ultimi tempi al Brennero. La cosa non mi stupisce perché il precedente ammorbidimento dei confini interni è avvenuto proprio attraverso un irrigidimento dei confini esterni. Ed i respingimenti al Brennero possono essere visti allora come una sorta di risposta alla "falla" apertasi a Lampedusa. Un tentativo di promuovere la chiusura di quella falla.
Dunque cade definitivamente il sogno di un'Europa senza confini?
Fin dall'inizio sapevamo che non si tratta di un processo lineare e comunque quella direzione non andrà mai data per scontata. Nei momenti di crisi i confini anche se quasi cancellati tendono a ricomparire. Ne abbiamo avuto un'anticipazione con i meccanismi che si sono messi in moto per isolare anche fisicamente la Grecia quando sembrava che stesse precipitando nel baratro economico.
Secondo lei come si sta sviluppando la riflessione sul dramma di Lampedusa?
Tutto viene mischiato ed in maniera anche poco trasparente. Si presenta tutto come immigrazione clandestina anche se in questo caso si tratta proprio di rifugiati, o meglio di persone che tentano di ottenere questo status, ma vengono ostacolate in questo senso proprio dalla legge Bossi Fini. La nostra legge di fatto, attraverso il respingimento in mare, impedisce la distinzione tra le due fattispecie. Diventano insomma tutti clandestini. Ed i soccorritori vengono messi nella difficile condizione di sbagliare comunque: se scelgono di soccorrere vanno contro la legge vigente, se non soccorrono contravvengono esplicitamente ad un principio umanitario.
La legge Bossi Fini è stata molto criticata a livello europeo, ma è tuttora in vigore come dimostrazione che su questi temi nel nostro continente ognuno procede ancora per conto suo.
Al di là dei rifugiati esiste un problema ancora più ampio che riguarda le politiche dell'immigrazione.
Si tratta di forza lavoro di cui abbiamo obiettivamente bisogno ma che però non riusciamo a governare. Dal punto di vista storico mi fa venire in mente il modo in cui è stata gestita l'immigrazione dal sud al nord Italia durante il boom economico degli anni '60. Erano ancora in vigore le leggi fasciste che contrastavano l'emigrazione verso le aree urbane. Le industrie avevano un estremo bisogno di lavoratori, ma appena questi arrivavano si trovavano completamente tagliati fuori per quanto riguarda i servizi a cui avrebbero avuto il diritto. Anche loro erano clandestini, in sostanza. Ed anche in quel caso lo stato non fu in grado di gestire un'immigrazione di cui invece l'economia aveva un estremo bisogno.
L'Italia solidale, che pure c'è, e si tratta di milioni di persone, finora non è riuscita a farsi valere promuovendo a livello politico un percorso efficace per affrontare queste problematiche.
Nell'ultimo ventennio l'equilibrio politico pendeva a destra e quella parte politica su queste tematiche si è anche costruita un consenso (contro). Il problema è che questi fenomeni, se non si governano, alla fine ti sommergono e fanno paura. Se le città sono allo sbando e cresce la microcriminalità questo poi provoca un ulteriore irrigidimento.
Tornando al tema dell'immigrazione odierna insomma ci vorrebbe una nuova regolamentazione, a livello europeo, ma al momento attuale sono pessimista sul fatto che possa essere adottata in tempi brevi.
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