Salvo

di Gianluca Battistel
Bel tempo, finalmente, domani si parte. Non ne posso più. Da una settimana non ci danno più quasi da mangiare, un pentolino di brodaglia ogni quattro persone. Kalib, quel fesso, ieri si è messo a urlare per la fame e dopo due minuti sono entrati coi bastoni. Ancora un po’ e ci resta secco. Mai gridare, mai alzare la testa. Meno ti vedono, meno ti maltrattano. Domani si parte, finalmente. Un anno da schiavo, ma ne sarà valsa la pena. In tanti non ce l’hanno fatta, io invece sì. E Selam, la mia Selam, è partita dieci giorni fa. A quest’ora avrà già una casa tutta sua. E magari il suo salone da parrucchiera. È fenomenale a fare le treccine, le ragazze del suo villaggio andavano tutte da lei. Le donne europee faranno la fila per farsele fare, non avrà un attimo di respiro. Un paio di mesi e potrà comprarsi la macchina rossa di cui parlava sempre, vedrai. Dieci giorni fa il mare era mosso ma la barca è partita lo stesso, si vede che non c’erano rischi. Ne partono tante in questo periodo, almeno due al giorno. Spero solo che la smettano con quei bastoni, non ne posso davvero più, che almeno in barca ci lascino in pace. Domani si parte, ancora un giorno ed è tutto finito. Anche perché tutta questa gente che tossisce inizia innervosirmi. Nel mio stanzone sono già in cinque, due gli hanno portati via, quasi non respiravano. Sefu dice che è tubercolosi ma io non ci credo, ci hanno vaccinati fin da bambini. A Tupac poi non credo una parola, lui e le sue teorie da sciamano della tribù. Peste dei polmoni, dice, portata dagli europei per farci fuori tutti. Figurati, gli europei che diffondono malattie, con gli ospedali e gli scienziati e la ricchezza che hanno. Gli europei semmai verranno a salvarci, se ci troviamo in questo inferno non è mica colpa loro. Devo solo riuscire a partire, poche ore di navigazione e sarà tutto finito. Selam, quanto mi manca. Poco prima di uscire per salire sul furgone che l’avrebbe portata al porto, si voltò. Mi sorrise, dopo settimane di silenzio, indicandomi il ventre. Ma certo, che stupido, come avevo fatto a non capire? Avevo pensato che la nausea fosse dovuta al cibo, alle percosse, a quegli immondi stanzoni pieni di scarafaggi. Presto sarai padre, voleva dirmi, ancora qualche giorno e ci raggiungerai. E vivremo insieme, in pace, con il nostro bambino. Sulle labbra un sorriso e l’indice sull’ombelico. Si può essere felici, per un istante, perfino in questo inferno. Si parte, tutti pronti, venti minuti e siamo in barca. Perché questa fretta? Non importa, meglio così. Il mare è calmo, si vedono le stelle, poche ore e sarà tutto finito. L’Europa. L’ho sognata fin dall’infanzia, quando mia madre mi raccontava della terra dei bianchi dove tutti sono ricchi e tutti sono felici e tutti sono liberi e hanno gli stessi diritti. Nessuno che ti prende a bastonate, nessuno che ti chiude in un campo di lavoro, nessuno che ti punta una pistola alla tempia. Un intero continente terra di giustizia, un intero continente terra di libertà. Lì sarò felice, oh sì, ne sono certo. Selam mi sta aspettando, poche ore e sarà tra le mie braccia. Già non si vede più la costa della Libia, ormai non manca molto, è l’alba e l’aria è limpida come non mai. Ecco una nave, viene verso di noi. I miei compagni di viaggio piangono di gioia. Ormai è fatta, sono salvo e quasi non ci credo. La nave si avvicina, pochi minuti ed è tutto finito. È enorme, gigantesca, mai vista una così. Eccola, l’Europa, in forma di nave. Sul ponte ha quattro cannoni e li sta puntando proprio su di noi. Spareranno un colpo a salve, per darci il benvenuto. Pochi istanti, Selam, e sarò di nuovo con te.
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