Montesquieu. Eine Perspektive
Dopo essersi interessato all’influenza di Kelsen sui giuristi italiani del ventesimo secolo nel libro «Kelsen im Spiegel der italienischen Rechtslehre» (Peter Lang, 2013), il bolzanino Antonio Merlino, docente nell’università di Salisburgo, offre una rilettura inedita di un altro dei principali autori del pensiero giuridico moderno e contemporaneo con una monografia di 270 pagine dal titolo «Montesquieu. Eine Perspektive», in uscita a dicembre con la prestigiosa casa editrice berlinese «De Gruyter». Il libro segue a «Interpretazioni di Montesquieu», pubblicato da «Il Formichiere» nella importante collana «Piccola Biblioteca del Pensiero Giuridico» diretta da Diego Quaglioni.
Sebbene Merlino sia un fine conoscitore delle prospettive di lettura del pensiero di Montesquieu sviluppate da quasi tre secoli, il suo saggio è lungi dal costituire un semplice recupero di queste ultime. Guidato dalla volontà di ritrovare le vere fonti e le influenze posteriori del pensiero di Montesquieu, Merlino si è interessato ad autori molto spesso relegati in secondo piano ed offre una lettura innovativa del pensiero di Montesquieu, spostata verso l’idea della ripartizione della sovranità.
Rimettendo in discussione alcuni luoghi comuni, la ricerca, che propone un ritorno costante ai testi e alle fonti originali, poggia ovviamente sull’opera più famosa di Montesquieu, «De l’esprit des lois» (1748), ma al tempo stesso presta anche una particolare attenzione a uno dei suoi primi lavori, «Lettres persanes» (1721).
Guidato dalla volontà di ritrovare le vere fonti e le influenze posteriori del pensiero di Montesquieu, Merlino si è interessato ad autori molto spesso relegati in secondo piano ed offre una lettura innovativa del pensiero di Montesquieu, spostata verso l’idea della ripartizione della sovranità
La prima parte − «Montesquieu als Leser von Tacitus. Die „Germania“ als primäre Quelle für die Interpretation des Esprit des lois» – prende in considerazione il pensiero di Tacito, dove già appariva l’idea di una democrazia quasi diretta, come la fonte privilegiata di Montesquieu. Questa tesi innovativa, adatta a dimostrare la volontà di Montesquieu di non ridure il giudice al rango di «bouche de la loi» e di assegnare a quest’ultimo la funzione di contropotere, mette in luce la differenza tra la separazione dei poteri di Montesquieu e quella che conosciamo oggi.
Nella seconda parte − «Die römische Republik als juristisches Modell in Montesquieus Denken: Die gemischte Verfassung» – Merlino sottolinea, attraverso l’influenza e l’utilizzo delle fonti romane su e da parte di Montesquieu – che concepisce la Repubblica romana come un modello e critica degli imperatori romani, considerati come dittatori –, la posizione risolutamente anti-assolutista di quest’ultimo. Dopo il suo viaggio nell’Europa continentale e in Inghilterra – dove viene sedotto dal regime monarchico costituzionale e parlamentare – Montesquieu sembra porre la propria interpretazione della letteratura antica al servizio di una critica della monarchia francese del diciottesimo secolo.
Non meno originale, la terza e ultima parte del volume − «Der erste und der zweite Montesquieu» – presenta Tocqueville come il vero e proprio erede di Montesquieu. Secondo Merlino, dopo la rivoluzione francese, Tocqueville avrebbe ritrovato la chiave di volta del pensiero di Montesquieu – il ruolo di contropotere del giudice – e gli avrebbe dato un posto centrale nelle sue riflessioni sul sistema democratico di cui considerava ineluttabile l’avvento in Occidente. Facendo leva sull’idea che, per Montesquieu, l’esecutivo, semplice espressione della tirannia della maggioranza, non potrebbe costituire un contropotere, l’ipotesi di tale eredità – finora ignorata – conduce Merlino a contraddire le posizioni di autori come Royer-Collard.
Se il lavoro di Merlino, risultato di un lavoro scientifico rigoroso all’incrocio tra la filosofia del diritto e la storia politica, risulta in primo luogo di interesse per gli specialisti del pensiero di Montesquieu, tanto il posto riservato ai testi e alle fonti originarie quanto lo stile chiaro e preciso dell’autore, rendono questo libro accessibile anche al lettore non specialista.
Ma è soprattutto lo sforzo di Merlino di evidenzare le sfide rappresentate da questa interpretazione di Montesquieu per le nostre democrazie contemporanee che fa del suo libro un riferimento inevitabile per chiunque sia interessato al rapporto tra diritto e politica e dimostra che a più di duecento anni dalla sua morte, il pensiero di Charles Louis de Secondat, baron de la Brède et de Montesquieu, non ha perso nulla della sua attualità.
L'autrice della recensione è Constance d’Ornano (Università Panthéon-Assas Paris II).