Vite in standby
“Ogni mattina mi sveglio e penso alle attività del giorno: mi ingegno per occupare il tempo in casa, per non annoiarmi. Negli ultimi mesi sicuramente è più difficile, faccio tanti lavoretti in casa, tante pulizie, qualcosina ogni giorno. A volte mi trovo a corto di idee. Per fortuna c’è la famiglia che abita vicino o che comunque mi telefona spesso e ogni tanto faccio qualche passeggiata all’aperto”.
Questa routine caratterizza ormai da mesi la vita di 13 milioni di italiani over65, censiti dall’Istat. Sono gli anziani a pagare il prezzo più alto dell’emergenza Covid-19, sia in termini di decessi, sia in termini di isolamento a cui sono costretti. Di loro non si parla molto, fatta eccezione per coloro che vivono nelle Residenze sanitarie assistenziali.
Una recente indagine di Senior Italia FederAnziani ha mostrato come l’80% degli over 65 viva in condizioni di difficoltà legate all’attuale scenario pandemico, e come il 57% della popolazione senior abbia praticamente azzerato la propria vita sociale e di relazione in questi mesi.
Il lockdown ha di fatto messo in standby la vita di milioni di anziani, abituati ad avere una vita attiva sia dal punto di vista fisico che sociale. Il cosiddetto “invecchiamento attivo” non è sostenibile nel momento in cui agli anziani è sconsigliato uscire troppo di casa, vedersi con parenti e amici o praticare qualsiasi altro tipo di attività. Da un lato limitare le visite ai parenti anziani riduce il rischio di contagio, dall’altro incrementa però la situazione di isolamento cui sono costretti.
Giovanni, 87 anni vive da solo in campagna. L’unico contatto che ha con il mondo esterno è la gente che lo va a trovare. “Mi sono trovato dall’oggi al domani senza più compagnia, ero molto solo”. Ma Giovanni è un anziano al passo coi tempi, che è sempre riuscito a tenersi informato e a leggere le notizie, facendosi un’idea chiara della situazione. “Ho usato tanto il telefono e ogni giorno chiamavo i miei parenti e i nipoti per sentirmi vicino a loro”. Non tutti gli anziani hanno però questa fortuna.
Come se non bastasse, alle restrizioni obbligatorie si aggiungono quelle auto-imposte, dovute al fatto che l’anziano si senta la vittima più facile del virus e abbia quindi timore di essere contagiato. Senza dimenticare poi le preoccupazioni finanziarie, che incrementano il senso di insicurezza nell’anziano.
Molti anziani si sentono un peso per le proprie famiglie e tendono a non esprimere i propri bisogni per paura di risultare un fardello per i propri parenti. D’altro canto, c’è chi si sente abbandonato. Irma, 85 anni, a inizio pandemia aveva molta paura, la mascherina le dava la sensazione di trovarsi in guerra e dall’oggi al domani si è trovata rinchiusa in casa senza nemmeno poter vedere i suoi figli. Si è sentita abbandonata. Poi con il tempo si è fatta forza, ha ripreso fiducia, in qualche modo si è adeguata alla situazione.
A marzo mi sembrava di essere in guerra, anzi peggio: almeno durante la guerra potevamo uscire e vedere amici e parenti (Carla)
Per tanti anziani la pandemia e la quarantena rappresentano una vita nel terrore psicologico costante e nel totale isolamento sociale per mesi e mesi. Inutile dire quanto questo causi forte regresso nelle condizioni psico-fisiche dei senior.
Carla, 84 anni ben portati, non usa mezzi termini: “All’inizio, a marzo, mi sembrava di essere in guerra, anzi peggio: almeno durante la guerra potevamo uscire e vedere amici e parenti fino a quando non partivano le sirene dei bombardamenti. Invece a marzo non potevamo nemmeno uscire a fare una passeggiata, che è stata la cosa che mi è mancata di più, oltre al fatto di non poter vedere la famiglia. Per potermi muovere almeno un po' facevo avanti e indietro sul terrazzo o nel vialetto dei garage condominiali, dove non rischiavo di incontrare nessuno”. Alla domanda su cosa le pesi di più dell’isolamento forzato risponde sicura: “Sono 28 anni che vivo sola ormai, quindi ci sono abituata, la mia routine non è cambiata poi molto. Però è brutto dover sempre stare attenta a tenere le distanze e non poter andare a trovare le mie figlie e i miei nipoti”.
Atti di solidarietà
Non bisogna poi dimenticarsi di quegli anziani che non hanno il “lusso” di poter chiamare amici e parenti e vivono un isolamento ancora più duro. Anche per questo sono fondamentali in questo periodo le iniziative sociali di volontariato intraprese in più parti di Italia. A livello locale, per esempio, la Caritas di Bolzano-Bressanone ha dedicato agli anziani in isolamento la loro campagna “La povertà è più vicina di quanto pensi”. Mostrare vicinanza e solidarietà nonostante il mantenimento delle prescrizioni sanitarie sono gli obiettivi di queste iniziative.
Tra le iniziative da nominare, la parrocchia del Duomo di Bolzano ha raccolto disegni, foto, video e messaggi che sono stati poi donati ad anziani che vivono soli. Allo stesso modo, anche il servizio di spesa a domicilio per gli anziani offerto durante i lockdown dalla youngCaritas e da diverse altre associazioni è stato un servizio di estrema utilità.
In occasione della Giornata Internazionale del Volontariato – celebrata il 5 dicembre – soffermiamoci quindi a riflettere sull’importanza di tali iniziative. Spesso basta poco, da un numero verde dedicato all’ascolto dell’anziano che vive solo a un servizio di consegna a domicilio. Soffermiamoci a dare ascolto alle esigenze dei più fragili e di chi sta vivendo questo periodo in completa solitudine.
Anche il Natale e i giorni di Festa non potranno essere celebrati come al solito, da come ci è stato illustrato nello scorso DPCM. Anche nei giorni solitamente dedicati alla famiglia, tanti anziani si ritroveranno soli.
Sarà quindi fondamentale cercare di alleviare la solitudine dei nostri cari, pur nel mantenimento delle restrizioni igieniche e sanitarie.
Stimolarli a non chiudersi nella solitudine, stare loro accanto in modi alternativi, pur senza farli sentire un peso.
Ridurre la loro sofferenza psicologica spronandoli a rimanere attivi pur nel rispetto delle norme e di non lasciarsi andare al regresso psico-fisico.
Trovo poco costruttivo
Trovo poco costruttivo individualizzare una fascia d‘etá come la più colpita dalla pandemia. Porta solo a scontri generazionali. Cosa dovrebbero dire i giovani con il contratto in bilico e l‘affitto da pagare mentre la nonna ha la casa di proprietá e la pensione stabile (non tutti purtroppo)? O quelli ancora più giovani che non vedono i compagni di scuola, studiano davanti ad un pc e discutono ogni giorno con i genitori perché a quell‘etá vivere costantemente attaccati porta a litigare per forza?
Fare degli anziani delle vittime porta solo a far incazzare di più le altre generazioni. In tempi difficili meglio stare uniti che vittimizzare una parte delle persone.