Environment | microbiologia

"I batteri, termometro del cambiamento"

Ad Unibz il professor Brusetti studia la microbiologia del suolo forestale per salvaguardare il fondamentale valore delle foreste in campo economico e ambientale
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Foto: (c) Salto.bz

Quando si parla di cambiamento climatico l’accento cade spesso sulle foreste, ecosistemi delicati e complessi, conosciuti come scrigni di biodiversità e come alleati nella lotta alla CO2. Se si pensa però agli alberi e agli animali che le popolano non si riflette con la stessa attenzione sugli altri organismi che vivono in questi ambienti, e, se ogni tanto ci ricordiamo dei funghi, a causa della loro presenza sulle nostre tavole, siamo soliti dimenticarci del fondamentale lavoro dei batteri. La microbiologia del suolo e delle acque rappresenta uno degli aspetti più sconosciuti al pubblico quando si parla di ambiente, ma rimane invece un ambito cruciale per determinare cause e rimedi nella lotta al cambiamento climatico. L’Università di Bolzano ha avviato, insieme ad altri partner europei, un grande progetto di studio e monitoraggio delle foreste, denominato ONEforest, nel quale numerosi esperti mettono in campo il loro contributo per armonizzare i diversi settori coinvolti: dalla prospettiva ambientale a quella socio-economica le foreste hanno sempre fornito risorse e l’impatto dell’inquinamento sta mettendo a rischio questo prezioso scambio. Il professor Lorenzo Brusetti, responsabile del progetto ONEforest presso la Libera Università di Bolzano, insieme ai ricercatori Silvia Pioli e Atif Aziz Chowdhury, sta studiando la microbiologia del suolo e il suo impatto nello sviluppo delle foreste. 

Salto.bz: Professor Brusetti, com’è nata la collaborazione con il progetto ONEforest? 

Lorenzo Brusetti: L’idea di ONEforest nasce dalla volontà di salvaguardare le foreste nel loro ruolo di catene di valore, sia dal punto di vista ambientale che da quello economico. Proprio per questo si tratta di un progetto multidisciplinare che coinvolge 19 partner europei, tra i quali rientrano università e centri di ricerca, ma anche istituzioni e partner privati, in modo da garantire le giuste competenze in ogni settore.

 Parliamo di organismi che sono, invece, numerosissimi, hanno innumerevoli funzioni, riescono a cambiare in maniera straordinaria le loro capacità e sono presenti anche in ambienti in cui non ci aspetteremmo di trovare organismi viventi

ONEforest si divide quindi tra una prospettiva economica e una più scientifica?

Il progetto è strutturato in due parti: a monte si intende stabilire 4 regioni forestali da studiare ed analizzare per comprendere la loro capacità di crescita, di stabilizzazione e di funzionamento dell’ecosistema, mentre poi si passa ad un inter che guarda più al ciclo produttivo, come la piantumazione e la crescita delle foreste, per arrivare all’uso e riciclo del legno. 

Quali sono le 4 zone individuate? 

Le foreste sono state suddivise in mediterranee, continentali, alpine e boreali. Abbiamo già individuato un importante sito di studio dell’area boschiva alpina in Slovenia e stiamo lavorando con gli altri partner su un altro possibile sito in Val Monastero, nel Cantone dei Grigioni, in Svizzera. Le foreste modello infatti prescindono dal confine e sono assimilabili alle nostre per condizioni climatiche e chimiche, il loro studio quindi è funzionale alla possibilità di gestione integrata delle altre aree. 

Il suo lavoro si concentra sull’analisi del suolo? 

Nella mia prospettiva di microbiologo vedo la foresta come un grande network: le piante di diverse specie interagiscono tra di loro, non solo attraverso l’intreccio delle loro radici ma anche attraverso gli organismi che le popolano e che si scambiano informazioni costantemente. Spesso pensiamo agli animali selvatici, ma se si guarda al suolo si assiste al continuo lavoro dei batteri, fondamentali nel mantenere l’equilibrio dell’ecosistema. 

Con il suo team però vi state occupando anche di un altro compito? 

Con L’Università di Rosenheim è stato sviluppato un progetto per utilizzare gli scarti della lavorazione del legno come aiuto alla crescita nei vivai, per proteggere le piante dagli sbalzi termici e dalla siccità. Questi scarti, uniti ad altre sostanze, diventano dei composti bioattivi utili non solo alle piante, ma anche alla fertilizzazione del suolo. Dobbiamo però capire se il loro utilizzo può alterare le funzioni microbiologiche.

 

 

Perché, nonostante oggi si parli molto di cambiamento climatico, difficilmente ci si sofferma sulla microbiologia? 

La nostra percezione dei batteri è molto spesso negativa, legata soprattutto alla nozione sanitaria, che li vede come un pericolo per la salute o, in rari casi, come alleati per alcune funzioni biologiche. Inoltre non si vedono e si tende quindi a non considerarli, ma parliamo di organismi che sono, invece, numerosissimi, hanno innumerevoli funzioni, riescono a cambiare in maniera straordinaria le loro capacità e sono presenti anche in ambienti in cui non ci aspetteremmo di trovare organismi viventi. La microbiologia è, poi, una scienza ancora giovane, che sta ampliando i suoi orizzonti. 

Si tratta quindi di uno studio molto complesso ed interconnesso con altri settori? 

Nel tempo si è passati da un livello che guardava ai singoli batteri, allo studio della comunità microbiologica e delle sue connessioni. Mi capita di fare l’esempio dei batteri, rappresentandoli come telefoni sulle quali vengono installate dell’app, come metafora delle loro funzioni. I vari batteri sono in grado di comunicare tra loro e scambiarsi funzioni in maniera stupefacente, basti pensare al fatto che, in alcuni ambienti particolarmente inquinati, sono stati osservati batteri in grado di scomporre la plastica o di digerire il petrolio. Le potenzialità sono quindi tantissime, soprattutto guardando alla crisi ambientale.

I batteri possono essere quindi degli alleati contro l’inquinamento e il cambiamento climatico? 

Sicuramente ci sono molti studi promettenti, ma il cambiamento che stiamo osservando è costituito da un insieme di fattori, che richiedono una risposta complessa. Si tratta di un pericolo che non è solo quello evidente, ma che si muove anche in maniera più subdola. Nell’analisi delle foreste, per esempio, vediamo una modificazione del comportamento degli insetti, che risalgono verso l’alto, registriamo la presenza di specie aliene e una diversa piovosità, non più lineare, ma ci accorgiamo anche che inquinanti come la plastica, gli ormoni, le droghe o i saponi stanno alterando l’equilibrio dei suoli. Tutti questi fattori interferiscono profondamente, ma non sappiamo ancora bene quale sarà la risposta e che strade prenderanno i vari ecosistemi, per questo si deve affrontare la crisi climatica in una visione interdisciplinare. 

 Dobbiamo comprendere che il cambiamento climatico ha la stessa urgenza e mettere quindi in campo gli stessi sforzi, ragionando in una dimensione che non guardi solo a risultati immediati

I centri di ricerca e il loro finanziamento sono quindi fondamentali? 

Bisogna entrare nella prospettiva dell’urgenza. Il periodo pandemico ha visto una profusione di sforzo enorme, economico e non solo, per cercare di arginare la diffusione del Covid-19. Dobbiamo comprendere che il cambiamento climatico ha la stessa urgenza e mettere quindi in campo gli stessi sforzi, ragionando in una dimensione che non guardi solo a risultati immediati, ma si soffermi sulle risposte adeguate ai nuovi equilibri che stanno emergendo.