O stai con loro o stai con noi

“O stai con loro o stai con noi. Loro hanno preferito stare con noi, perché hanno immaginato che potesse esserci per loro un futuro”. È così che Domenico Luppino parla dei soci della sua cooperativa sociale “Giovani in vita”, una cooperativa che gestisce i terreni confiscati alla mafia e i possedimenti di privati che subiscono le intimidazioni mafiose.
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L’incontro in uno degli uffici di Ctm Altromercato a Bolzano: Domenico Luppino è qui per promuovere l’olio d’oliva prodotto dalla sua cooperativa – fino al 16 febbraio, infatti, sarà possibile acquistarlo nelle Botteghe del Mondo dell’Alto Adige. Luppino è un uomo con i piedi per terra, uno che non esita a sporcarsi le mani – un agricoltore che ci tiene alle sue terre ed al suo paese. Con lui abbiamo parlato delle difficoltà e dei risultati raggiunti dalla cooperativa, ma anche dei giovani che continuano ad affidarsi alla ndrangheta per diventare “qualcuno”, dei risvolti che potrebbe avere la vicenda della “terra dei fuochi” e della grande volontà di andare avanti su questa strada di “resistenza” alla mafia. “La forza per continuare ancora la sentiamo, abbiamo volontà di andare avanti –  fintantoché c’è questa forza non credo che molleremo”, afferma Domenico Luppino.

Domenico Luppino, Lei è venuto qui a Bolzano per presentare l’attività e i prodotti della cooperativa sociale “Giovani in vita”. Com’è nata l’idea di costituire questa cooperativa?
L’idea è nata nel 2003 quando ero Sindaco di un piccolo paesino che si chiama Sinopoli in provincia di Reggio Calabria. Siccome il mio paese è un paese ad alta densità mafiosa, il Ministero degli Interni mi propose da Sindaco di fare qualcosa che potesse essere finanziato dallo stesso Ministero con i fondi di un piano operativo nazionale. Allora avanzai questa proposta: “Perché non mi finanziate la costituzione di una cooperativa e acquistate le prime macchine per lavorare sui terreni confiscati alla mafia?”. Era un modo per creare posti di lavoro per i giovani e quindi cercare di strapparli al pericolo di cadere nelle mani della criminalità organizzata – e così avvenne.

Quali sono state le maggiori difficoltà nel portare avanti questa iniziativa?
Una volta avuti i terreni, poi bisogna metterci la benzina per fare andare avanti le macchine e serve il denaro per pagare chi tutti i giorni lavora nella cooperativa. Quando ci siamo rivolti agli istituti di credito per chiedere un aiuto, questi ci hanno riso in faccia – non hanno neanche considerato la possibilità di darci una mano – e così anche altri. Dunque ci siamo sacrificati personalmente senza chiedere niente a nessuno, lavorando gratuitamente per tantissimo tempo e poi arrivando ad avere solo oggi qualche piccolo risultato. Ma siamo appena agli inizi di questo percorso.

Quando avete ottenuto i primi risultati?
Il primo prodotto è arrivato dopo sette o otto anni e non nascondo che è stata una grandissima emozione. Quando abbiamo fatto il primo olio o raccolto le prime arance è stata una delle emozioni più forti che abbiamo mai provato. Con un po’ d’orgoglio abbiamo pubblicato una foto su internet scagliandoci contro chi ci aveva scoraggiato pensando che non saremmo mai arrivati da nessuna parte.

È dal 2011 che la cooperativa pratica l’agricoltura biologica. Qual è stato il motivo per cui avete preso questa decisione?
Per due motivi semplicissimi: Il primo per convinzione personale. In seguito alla vicenda della terra dei fuochi, era necessario porsi in una posizione assolutamente in antitesi rispetto a chi ha approfittato e abusato in questi anni di pesticidi, antinfestanti ecc. Il secondo motivo riguarda l’aspetto commerciale: Oggi il consumatore fortunatamente è sempre più sensibile e attento ai prodotti che provengono da un’agricoltura sana.

Siete preoccupati dei risvolti negativi che le vicende della terra dei fuochi, delle discariche illegali potrebbero avere sulla vostra attività?
Noi veramente siamo stati molto attenti. Abbiamo fatto le analisi dei terreni che abbiamo in concessione e fino ad adesso non abbiamo riscontrato tracce di sostanze nocive. Tuttavia è chiaro che se domani dovesse venire fuori che nella nostra regione ci sono casi di questo genere, avremmo di certo un contraccolpo e quindi mi sento di risponder che sì, certo che siamo preoccupati ma ancor prima lo siamo per l’aspetto della nostra salute, di quella dei nostri figli e di tutta la nostra comunità. Questo è uno dei peggiori delitti che uno può commettere, perché loro (n. d. r. la criminalità organizzata) questi delitti li hanno fatti anche contro se stessi – nel senso che in questa terra ci vivono loro e i loro figli.

Lo scopo della cooperativa è quello di offrire ai giovani un lavoro legale e limitare il rischio che divengano facile preda per la criminalità organizzata. Avete già ottenuto dei risultati in questa direzione? 
Non abbiamo ottenuto i risultati che speravamo all’inizio, però all’inizio eravamo troppo fiduciosi su quella che è la logica delle cose – mentre spesso non vince la logica ma un che d’illogico. Per noi all’inizio era ovvio che i giovani si sarebbero avvicinati a noi, ma non è per niente così. All’inizio si avvicinarono a noi circa 80 soci. Nel tempo buona parte di questi sono andati via ed è stato da una parte una grande delusione, dall’altra un bene perché sono rimasti quelli che sono ci credono veramente. I ventitré soci che ora fanno parte della cooperativa sono convinti di quello che stanno facendo, hanno affrontato insieme a noi –  che abbiamo promosso l’iniziativa – i rischi e i sacrifici per portare avanti il progetto stesso e forse ad oggi sono arrivati ad essere ancora più convinti di noi. Alcuni di loro pur di stare con noi hanno persino rotto i rapporti con le proprie famiglie d’origine. Ad un certo punto sono stati messi davanti a un bivio dalle famiglie: O stai con loro o stai con noi. Loro hanno preferito stare con noi, perché hanno immaginato e sperato che potesse esserci per loro un futuro.

Perché le famiglie non vogliono che i propri parenti lavorino nella cooperativa?
Non necessariamente perché le famiglie sono di estrazione o di cultura mafiosa – in molti casi la gente da noi non vuole schierarsi apertamente contro le famiglie mafiose.

Quali sono i motivi che portano i giovani a collaborare con la ndrangheta o comunque a non ribellarsi contro di essa?
I giovani collaborano con la ndrangheta per due motivi: Uno, perché vogliono assumere un certo ruolo sociale nella società. Nel momento in cui il giovane entra a far parte della mafia con una cerimonia segreta, il cosiddetto “battesimo”, il giovane si sente parte di una élite e gli viene fatto credere che c’è una sorta di solidarietà reciproca all’interno del gruppo. Quindi il giovane passa dall’essere una persona qualunque ad essere qualcuno. Un altro aspetto è quello economico. Il giovane ha l’illusione che diventando un ndranghetista lui diventerà una persona ricca, che disporrà di denaro oltre che di potere – cosa che però non è assolutamente vera. Gli ndranghetisti hanno necessità che i giovani entrino a far parte della ndrangheta, ma poi hanno l’abilità e la consapevolezza di tenerli sempre al gradino più basso, perché tenendo la gente nello stato di bisogno poi è più facile comandarla. C’è dunque una strategia ben precisa: I mafiosi ricchi sono in pochi, la manovalanza rimarrà comunque sempre manovalanza e sarà quella che pagherà più degli altri. Spesso i capi mafiosi usano lo sposo della figlia come gregario della famiglia facendogli fare le cose più pericolose. Il tipo si sentirà importante, perché ha sposato la figlia del mafioso, ma sarà quello che verrà arrestato più spesso e farà più galera.

In un’intervista ha affermato che la ndrangheta ha ramificazioni ovunque. Ciò significa che questo problema non interessa solo il Meridione?
Io vado in giro per promuovere i prodotti della nostra cooperativa e ne approfitto per segnalare alla gente che è lontana dai territori dove la ndrangheta è presente che la ndrangheta è un’organizzazione potentissima che si è ramificata in tutto il mondo. La ndrangheta attecchisce principalmente nei posti dove c’è un benessere diffuso e attività economiche fiorenti. Soprattutto in questo periodo di crisi, quando gli istituti di credito chiudono le porte in faccia agli imprenditori che sono in difficoltà, la ndrangheta disponendo di una liquidità finanziaria che pochi altri hanno ne approfitta. La tecnica che usano i mafiosi è quella di avvicinarsi agli imprenditori in difficoltà come degli amici che vogliono aiutarli, per poi cacciare il proprietario fuori dall’impresa o tenerlo lì come prestanome. Le attività a loro non servono per produrre porte, piuttosto che tavoli o altro, ma servono alla ndrangheta per fare fatturato e lavare il denaro sporco che hanno in mano.

Recentemente è stato avviato un nuovo progetto in collaborazione con le botteghe del mondo dell’Alto Adige: fino al 16 febbraio nelle Botteghe del Mondo dell'Alto Adige si troverà un angolo dedicato al nuovo Olio Extravergine d’Oliva "ndrangheta free" della vostra cooperativa e ci sarà anche la possibilità di prenotare l’olio. Perché i consumatori dovrebbero scegliere il vostro olio d’oliva?
Il nostro prodotto è un ottimo prodotto che nasce da un modo onesto e corretto di fare l’olio e poi ovviamente ha il valore aggiunto di venire da una lotta di resistenza. Questa non è la lotta antimafia che si dice di solito: Noi non facciamo antimafia, noi cittadini facciamo solo resistenza come la facevano i nostri padri durante il regime fascista.

Dove trovate la forza per andare avanti?
Girando in Italia noto che c’è una grande sensibilità da parte della gente e posso garantire che è una delle cose che più aiuta e ci dà forza ad andare avanti; perché sai che comunque da qualche parte in Italia hai degli amici.

L’Italia non è fatta solo di cose negative, è fatta anche di tanta gente in gamba.