Quello che resta
Nel 2007 Ilenja Rainer si è trasferita a l’Aquila, dove ha vissuto da vicino sia il terremoto del 2009, sia quello che l’anno scorso ha colpito il centro Italia. La vipitenese si è laureata in psicologia applicata, clinica e della salute e ha svolto il tirocinio professionalizzante presso l’Associazione 180 Amici - l’Aquila ONLUS che si occupa di salute mentale e integrazione sociale. Con l’Associazione 180 Amici ha operato come psicologa volontaria nelle aree del centro Italia colpite dal sisma.
Come ha vissuto gli scorsi terremoti in Italia?
Nel 2007 mi sono trasferita a L’Aquila per intraprendere il mio percorso di studi universitari e, qualche anno dopo, il 6 aprile 2009, la città è stata colpita dal terremoto che ha causato 309 vittime e ha drasticamente cambiato la vita di circa 80.000 persone. Fortunatamente quel giorno non mi trovavo a L’Aquila perché ero partita per Vipiteno. Dopo pochi mesi decisi di tornare: Per parecchio tempo ho abitato in una roulotte e ho concluso il mio percorso di studi. Dopo le scosse dell’anno scorso l’Associazione presso la quale ho svolto il tirocinio si è messa a disposizione per portare i primi aiuti nelle zone colpite: ho sentito l’impulso di rendermi utile anche io e ho assistito la popolazione nelle tendopoli. Recentemente la situazione è tornata a farsi drammatica a causa delle forti scosse che, sommate alle abbondanti nevicate, hanno aperto una nuova fase di emergenza.
Solitamente un terremoto non viene associato subito al trauma psicologico. Da cosa è scaturito il suo interesse verso questo particolare tema?
Ho vissuto sulla mia pelle le conseguenze psicologiche e materiali di una catastrofe di tale portata ed inevitabilmente sono entrata in contatto con il tema del trauma psicologico conseguente ad un terremoto. Un evento disastroso di tale portata scatena una cascata di conseguenze che perdura molto a lungo, anche per anni. Nel corso del mio tirocinio professionalizzante ho avuto la possibilità di partecipare ad un corso di psicologia dell’emergenza curato dalla “Federazione Psicologi per i popoli”, l’organizzazione di volontariato convenzionata con il dipartimento di Protezione Civile Nazionale che si occupa di coordinare e gestire a livello nazionale l’attività degli psicologi nelle situazioni di emergenza. In seguito ho avuto modo di mettere in pratica le nozioni e le tecniche apprese nelle tendopoli del comune di Arquata del Tronto, a seguito degli eventi sismici che l’anno scorso hanno duramente colpito il centro Italia.
Che cos’è esattamente un trauma psicologico?
Etimologicamente il termine “trauma” significa rottura. Un trauma psicologico, quindi, consiste nella rottura di un equilibrio dovuto ad uno o più eventi talmente drammatici da sconvolgere l’intera esistenza della persona. Si tratta di uno stress talmente forte da lasciare la persona impotente, disorganizzata e incapace di gestirne le conseguenze. Nel concetto di trauma psicologico è possibile distinguere due componenti: la componente oggettiva ha a che fare con le caratteristiche concrete della situazione che ha contribuito allo sviluppo del trauma. Alcune esperienze, infatti, sono talmente dolorose e insostenibili da costituire un fattore di rischio per chiunque. La componente soggettiva è legata ai livelli di resilienza personale. In psicologia, con questo termine si indica la capacità di fronteggiare gli eventi della vita, di resistere, riorganizzarsi e andare avanti, anche nei momenti più difficili.
Quali sono le principali conseguenze di un trauma psicologico?
Le conseguenze del trauma possono ripercuotersi a livello fisico, comportamentale e psicologico. La reazione di una persona è del tutto soggettiva e dipendente dalla combinazione di vari fattori. Alcuni possono manifestare scoppi di rabbia improvvisi e immotivati, altri tendono a chiudersi in se stessi, isolandosi e sviluppando sintomi depressivi e/o ansiosi. Altri ancora intraprendono fallimentari tentativi di “auto curare” il proprio malessere facendo un abuso di droghe o alcoolici. Nei casi più estremi si può assistere ad una reazione di regressione psichica che consiste in un meccanismo di difesa psicologico che, di fronte ai momenti di difficoltà, porta a riattivare meccanismi psicologici e comportamentali tipici di una fase dello sviluppo precedente.
Oggigiorno quali sono i principali motivi che possono scatenare un trauma?
Le cause più frequenti sono la violenza in ogni sua forma (psicologica, fisica, verbale, relazionale), la malattia grave (propria o di una persona cara), il lutto, il coinvolgimento in eventi catastrofici come il terremoto e, più in generale, tutte quelle situazioni che mettono in pericolo l’incolumità personale. Da questo punto di vista, anche coloro che scappano dai propri paesi colpiti dalle guerre sono fortemente a rischio di sviluppare un trauma psicologico. Queste persone affrontano viaggi spesso disumani e dall’esito incerto e mettono a repentaglio la propria vita nell’estremo tentativo di costruirsi un futuro migliore.
Che cosa accade ad una persona traumatizzata da un terremoto? Che sensazioni prova? Che cosa significa per una persona vedere crollare la propria casa o gran parte della sua città?
Essere vittima di un terremoto significa subire un radicale cambiamento della propria vita nell’arco di pochi secondi. Nei casi peggiori significa vedersi crollare intorno un’intera città, tutti i punti di riferimento materiali e sociali. Nel caso in cui si riesca a sopravvivere, significa venire comunque a contatto con la morte di un proprio caro, di un amico, di un vicino di casa. Molte persone devono affrontare il doloroso e lungo processo di rielaborazione del lutto. La perdita della propria casa e la vita all’interno delle tendopoli, inoltre, può comportare lo sviluppo di ulteriori problematiche dovute alla convivenza forzata con altre persone e alla conseguente perdita della propria intimità.
Com’è organizzata l’assistenza psicologica dopo i terremoti degli scorsi anni?
A seguito di un evento catastrofico, la gestione della prima fase di emergenza fa capo alla Protezione Civile Nazionale che provvede ai primi bisogni materiali degli sfollati allestendo le tendopoli e dotandole di cucine, tendoni mensa e servizi igienici. In un secondo momento intervengono gli psicologi. All’interno delle tendopoli una tenda funge da sportello di ascolto psicologico dove gli sfollati possono parlare con uno psicologo. Gli psicologi vivono all’interno delle tendopoli, quindi condividono con gli sfollati la quotidianità. Questa condivisione permette di entrare in confidenza con loro ed è di fondamentale importanza affinché la persona provi la necessaria fiducia che la spinge a raccontare il proprio vissuto. Superata la fase della prima emergenza, le tendopoli vengono progressivamente smantellate e alla popolazione viene data la possibilità di scegliere se percepire un assegno mensile per trovare autonomamente un alloggio, oppure se spostarsi in un albergo convenzionato e situato in una zona sicura. È importante che l’assistenza psicologica prosegua anche in questa fase.
In quale maniera ci si approccia a queste persone?
È necessario approcciarsi alle vittime di un terremoto con molta discrezione, rispettando i loro tempi, i loro silenzi e la loro iniziale diffidenza nei confronti di persone sconosciute. Bisogna cercare di costruire una relazione di fiducia mostrandosi disponibili ad ascoltarle con attenzione ed empatia. Occorre rispettare la loro sofferenza senza mai minimizzarla o sminuirla, specialmente nel caso in cui ci sia di mezzo un lutto. Bisogna tenere in considerazione che, nei giorni immediatamente successivi al terremoto, le persone vivono una prima fase di smarrimento, poiché vengono trasferite nei campi allestiti dalla Protezione Civile Nazionale, all’interno dei quali vengono assistiti 24 ore su 24. Uno dei rischi maggiori di questa situazione è quello di perdere il ruolo di “protagonisti” della propria vita, assumendo invece il ruolo di semplici “assistiti”.
Come si riesce a superare un trauma? Quali metodi vengono utilizzati?
Il superamento di un trauma è una questione personale e soggettiva. Nel caso di un evento come il terremoto, si parla di trauma collettivo, poiché la stessa esperienza viene vissuta da un numero più o meno grande di persone. In questi casi è importante non isolarsi, bensì conservare e coltivare le proprie relazioni sociali. Considerando che il terremoto irrompe bruscamente nella vita delle persone, modificando radicalmente l’ambiente circostante, le abitudini e i progetti personali, una solida rete sociale può costituire un punto di riferimento importante dal quale poter cominciare a ricostruire e riorganizzare la propria esistenza. Stare insieme ad altre persone che hanno vissuto la stessa esperienza stimola la condivisione del proprio dolore, aiuta a confrontarsi e a confortarsi a vicenda e può avere effetti psicologici positivi già nel breve termine. Nel caso in cui ci sia di mezzo la morte di una persona cara, il superamento del trauma può essere più difficile: si tratta di un processo lungo e doloroso che in molti casi richiede l’intervento di uno psicologo che prenda in carico la persona con un progetto terapeutico personalizzato.
Ci sono gruppi di persone che riescono a sopportare più facilmente certe esperienze?
Dipende dalla combinazione di variabili personali, ambientali e socio-economiche ma, come già detto prima, un ruolo fondamentale è svolto dal livello di resilienza personale. Alcune categorie di persone, però, riescono effettivamente a superare più facilmente l’esperienza di un terremoto. Molti giovani, ad esempio, scelgono di lasciare i propri paesi natali e si trasferiscono per ragioni di studio o di lavoro e questo, in parte, aiuta a riconquistare una certa normalità e a ricominciare una nuova vita. Diversa è la situazione degli anziani che risiedono sin dalla nascita nelle aree colpite: per loro è più difficile ricominciare da zero e riorganizzare la propria vita in un luogo diverso. Ci sono poi le famiglie, le cui scelte, molto spesso, sono dettate dall’esigenza primaria di proteggere i bambini. Insieme agli anziani, i bambini sono la categoria che più rischia di sviluppare un trauma psicologico, poiché, dopo il terremoto, vivono in una realtà artificiale e, in alcuni casi, non possono contare sul pieno supporto dei propri genitori, a loro volta traumatizzati.
Nella sua esperienza come psicologa nella tendopoli c’è una storia che le è rimasta particolarmente impressa?
Ammiro il coraggio, la tenacia e la dignità di coloro che, nonostante abbiano perso tutto, trovano ancora la forza di rimboccarsi le maniche per continuare la propria vita nel modo migliore possibile. Sicuramente non dimenticherò mai la storia di un abitante di Pescara del Tronto: nonostante il suo paese fosse stato quasi interamente raso al suolo dal terremoto, lui decise comunque di non trasferirsi nella tendopoli, bensì di accamparsi autonomamente a ridosso della zona rossa. Noi volontari lo abbiamo sostenuto, assistendolo non solo dal punto di vista psicologico, ma anche materiale, andandolo a trovare più volte al giorno per portargli un pasto caldo e generi di prima necessità. Durante una delle nostre visite, volle portarci all’interno della zona rossa. Mentre camminavamo per le strade ricoperte di polvere e di pietre, il silenzio che ci circondava di tanto in tanto veniva rotto dallo spaventoso rumore di qualche crollo. Lui qualche volta si fermava, indicava qualche abitazione oramai trasformata in un cumulo di macerie e raccontava la storia di una persona o di una famiglia. Raccontava di come fosse riuscito a salvare qualcuno tirandolo fuori dalle macerie a mani nude e si rammaricava per tutti quegli amici, quei vicini di casa, e quei conoscenti che, invece, avevano perso la vita.
Che situazione c’è oggi a l’Aquila?
A L’Aquila la fase della prima emergenza relativa al sisma del 2009 è ampiamente superata ma, nonostante questo, le problematiche sono ancora numerose, specialmente nelle ultime settimane: L’intero territorio del centro Italia, infatti, sta vivendo una nuova fase di emergenza a causa delle abbondanti nevicate e delle scosse sismiche che il 18 gennaio hanno riacceso la paura dei cittadini i quali, in molti, hanno deciso di non dormire all’interno delle proprie abitazioni già ricostruite. Sentire nuovamente la terra che trema sotto i propri piedi può riattivare il trauma psicologico subito nel 2009. L’assistenza psicologica alle vittime del terremoto, quindi, non può ritenersi conclusa una volta venuta meno la fase di prima emergenza, ma è necessario che prosegua e che si focalizzi soprattutto sulle fasce più vulnerabili della popolazione, anche per periodi molto lunghi.