Economy | Settore Pubblico

"Abbiamo una partita da vincere"

Il pubblico impiego deve tornare a essere attrattivo per i migliori talenti, superando i colli di bottiglia. I retroscena e le soluzioni.
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Foto: AFI

Oggi più che mai c’è bisogno di medici e di personale di cura perché la sanità è allo stremo a causa della pandemia di Covid-19, difficoltà analoghe riguardano il mondo della scuola, dove mancano gli insegnanti, per non parlare poi della pubblica amministrazione vera e propria che ha la necessità urgente di coprire posti vacanti a causa dell’imminente ondata di pensionamento. Si cercano con il lumicino informatici, ingegneri e altre figure tecniche.
A lanciare l’allarme è Stefan Perini, direttore dell’IPL | Istituto Promozione Lavoratori, che sottolinea: “In Alto Adige quello del pubblico impiego è uno dei settori in cui si registra l’età media più alta fra il personale, 48 anni. Un terzo di questa forza lavoro andrà in pensione entro il 2030 e dovrà essere adeguatamente sostituita”.
In sintesi: è tempo di correre ai ripari.

In Alto Adige quello del pubblico impiego è uno dei settori in cui si registra l’età media più alta fra il personale, 48 anni. Un terzo di questa forza lavoro andrà in pensione entro il 2030 e dovrà essere adeguatamente sostituita”.

Salto.bz: Direttore Perini, quanta propensione c’è oggi in Alto Adige a lavorare nel settore pubblico? 

Perini: Questa è proprio una delle domande chiave a cui vorremmo dare presto una risposta. Stiamo appunto conducendo all’interno del Barometro IPL un’indagine, la nostra cosiddetta “special quest”, dedicata specificamente all’attrattività del pubblico impiego.
Sappiamo che sempre più concorsi pubblici vanno a vuoto, soprattutto per la ricerca di profili tecnici. Storicamente, del resto, il settore pubblico fa meno fatica a trovare personale di quarto, quinto o sesto livello - e cioè quello meno qualificato - mentre è più complicato trovare personale specializzato come ingegneri, geologi, giuristi, informatici. 

Pesano in questi casi le aspettative di retribuzione e carriera?

Il ragionamento frequente da parte di tali professionisti è questo: “È più conveniente andare a lavorare nel settore privato dove ho possibilità di fare carriera e ambire a una più che degna retribuzione, piuttosto che accettare un impiego pubblico rischiando di non avanzare mai sul piano professionale”. È chiaro che posta in questi termini la scelta diventa piuttosto ovvia. 

Occorre partire da una revisione della gestione salariale nell’ambito del pubblico impiego?

Questo è sicuramente un tema. Ciò che vogliamo capire ora insieme ai rappresentanti sindacali ma anche nell’interesse dei datori di lavoro, e dunque della Provincia stessa, quali leve si devono azionare per rendere il pubblico impiego nuovamente attraente.

Idee?

In primis c’è la prospettiva del “posto fisso” - da sempre un punto di forza del pubblico impiego - che garantisce maggior sicurezza, perché consente di pianificare meglio il proprio futuro. E poi ci sono gli orari flessibili, i congedi parentali e in generale tutti quegli istituti che afferiscono alla conciliazione lavoro-famiglia e che in genere sono più attraenti e “generosi” rispetto al privato. Tutto questo però, come abbiamo appurato, non è (ormai) sufficiente. Il risultato è la carenza cronica di personale, e il settore pubblico è in questo senso ancora più svantaggiato perché rispetto al comparto privato dovrà sostenere anche una forte ondata di pensionamenti.

In primis c’è la prospettiva del “posto fisso” - da sempre un punto di forza del pubblico impiego - che garantisce maggior sicurezza, perché consente di pianificare meglio il proprio futuro. 

Dunque c’è anche un problema di ricambio generazionale.

Eravamo in una situazione difficile già da prima dello scoppio della pandemia proprio per via della gestione del futuro turnover. Ora più che mai abbiamo la necessità di potenziare il reclutamento e diventare “appetibili”, come pubblico impiego, per le nuove leve che si apprestano ad entrare nel mercato del lavoro.  

Per investire sulle competenze dei dipendenti pubblici, però, non basta soltanto assumerne di più, non bisognerebbe ad esempio puntare debitamente sulla formazione?

Sicuramente. Bisogna però fare una distinzione fra le diverse ripartizioni provinciali; ci sono infatti dirigenti che premono molto sulla formazione e altri che non ne vogliono sapere, in certi casi anche per mancanza di interesse da parte degli stessi dipendenti. In linea generale però è senza dubbio necessario dare ai lavoratori e alle lavoratrici strumenti e prospettive di sviluppo professionale.   

Tornando alle nuove leve: i giovani nella P.A. scarseggiano ma francamente perché oggi dovrebbero scegliere un impiego nel pubblico se il privato paga meglio? 

In realtà il deterrente non è solo l’aspetto remunerativo, spesso infatti i giovani reputano ostico accedere al pubblico impiego perché vincolato al concorso e, in Alto Adige, anche al possesso del patentino di bilinguismo. Da un lato le procedure secondo molti risultano eccessivamente burocratiche nonché superate e d’altra parte però è la stessa Costituzione a stabilire che al pubblico impiego si accede tramite concorso pubblico.

E quindi?

La Provincia sta cercando di intervenire spingendo ad esempio sull’aumento dei salari in ingresso, cosa che però può trasformarsi in un’arma a doppio taglio perché se da una parte aumenta l’attrattività del pubblico impiego per le nuove leve dall’altra crea discriminazione nei confronti dei dipendenti già assunti da diversi anni, che si chiederebbero perché i nuovi arrivati dovrebbero ricevere uno stipendio maggiore rispetto al loro. 

Come se ne esce?

È un punto su cui si deve lavorare. È certo che in Alto Adige è necessaria una revisione totale delle figure professionali perché il sistema dei livelli di inquadramento, che sono stati definiti trent’anni fa, è evidentemente obsoleto. Le stesse descrizioni delle mansioni di questi profili professionali ricalcano il lavoro così com’era una generazione fa e perciò occorre aggiornarli. Penso anche al lavoro agile, per cui deve essere trovata una cornice regolatoria e a nostro parere un giusto equilibrio fra smart working e presenza in ufficio sarebbe la soluzione più ideale. Posto che teoria e stato dell’arte non sempre coincidono. Mi spiego: di norma è il datore di lavoro che deve fornire la strumentazione tecnologica e informatica necessaria allo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile, ma essendo noi tutti ancora in una fase emergenziale - fino alla fine di marzo se non ci saranno proroghe dovute all’attuale crisi in Ucraina - al momento è generalmente il dipendente che mette a disposizione l’attrezzatura e si finanzia la connessione internet, nonché paga i costi dell’elettricità quando lavora da casa (elemento non certo secondario se pensiamo che il lavoro agile ormai va avanti da due anni). 

C’è anche da dire, come sottolineato dall’Ocse, che le competenze dei dipendenti pubblici sono fondamentali nel successo di qualsiasi politica di riforma e l’orizzonte ora è il PNRR.

Il Paese ha un assoluto bisogno di competenze al proprio interno per far girare a dovere la macchina amministrativa. Abbiamo toccato con mano qual è l’importanza del ruolo del pubblico impiego nella crisi sanitaria, e quanto è cruciale che funzionino asili, scuole, servizi all’infanzia. Ci sono appunto i progetti del PNRR da gestire e sarebbe fatale non riuscire a portarli a casa. Il problema è che il momento è complicato per via della limitata disponibilità di personale. Ecco perché occorre fare un grande sforzo nel potenziare e ottimizzare il reclutamento in modo da agganciare “i migliori”. 
Se il settore privato diventa infatti più attraente dal punto di vista economico-retributivo e di possibilità di sviluppo, il rischio per il pubblico è che dovrà attingere alla seconda/terza scelta, in termini di competenze, sul mercato del lavoro quando invece dovrebbe puntare ad avere le migliori leve. E vorrei aggiungere un’altra, essenziale riflessione su questo punto.

Il problema è che il momento è complicato per via della limitata disponibilità di personale. Ecco perché occorre fare un grande sforzo nel potenziare e ottimizzare il reclutamento in modo da agganciare “i migliori”. 

Prego.

I vincoli di budget: la Provincia spesso dice di non avere i soldi per assumere. Eppure noi abbiamo calcolato che una giovane leva costa molto di meno rispetto a un dipendente vicino al pensionamento, considerando che la P.A. prevede anche una serie importante di scatti di anzianità. Secondo un modello di simulazione che elaborammo qualche anno fa, fra l’altro, due persone prossime alla pensione costavano come tre nuove leve. 
Oggi se una persona va in pensione e viene sostituita da un giovane ciò rappresenta già un risparmio per il budget provinciale, almeno stando alle attuali condizioni retributive, visto che lo stipendio d’ingresso è decisamente più basso rispetto a quello del pensionando. Il problema però è che oggi il rapporto è sbilanciato: per ogni 10 dipendenti che escono non ne vengono assunti nemmeno tre nuovi. 
Ciò che mi preme evidenziare è che i vincoli di bilancio ci sono e vanno considerati, beninteso, ma va anche considerato il valore del pubblico impiego, perché tutti vogliamo servizi sanitari ed educativi di qualità. E allora si deve investire nel pubblico impiego, nella digitalizzazione dell’amministrazione, certo, ma anche nelle persone. 
Insistere sui vincoli di budget a volte appare invece come una scusa per non agire. La vera domanda a questo punto non è quanto ci costeranno le nuove risorse ma come dobbiamo gestire il turnover in modo da avere nel 2030 un pubblico impiego - in termini di servizi al cittadino e rapporto costi-benefici - all’avanguardia e tra i migliori in Europa. Abbiamo una partita da vincere, diamoci da fare.