Via Rasella, cinquant'anni di menzogne di Pierangelo Maurizio

Pierangelo Maurizio ristampa a breve un libretto che merita di essere conosciuto non solo dai pochi che lo acquistarono nel 1996 o nella traduzione in lingua tedesca di Athesia. Costituisce un esempio emblematico di che cosa vuol dire indagare sul passato con la volontà di capire, comprendere, conoscere. Via Rasella, cinquant'anni di menzogne, non può essere meglio introdotto che da alcune battute di Piero Buscaroli (ne ha scritto diffusamente nella sua straordinaria autobiografia che a giugno, come anticipato da SALTO, vedrà l'uscita della sua seconda parte per Minerva Edizioni Bologna).
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Foto: Ignacio Merino

"Tutti quanti furono uccisi il 23 e 24 marzo del 1944 e non i soli trentaré militi alto-atesini, trentatré innocenti in termini di diritto penale e non partigiano, che ogni mattina scendevano per via Rasella armati di fucili che tutti sapevano scarichi secondo gli obblighi della Città Aperta; e non le sole cinque o sei (neppure il numero di questi compatrioti romani cercarono di sapere; dopo che ebbero raccolto e ficcato in qualche loculo i brandelli insanguinati, li soppressero ancora molte volte; nella identificazione, nelle istruttorie, nei processi, nel compianto, nella punizione) vittime civili italiane, le cui sorti non interessarono a nessuno di quegli indagatori, e poi giudici. Degli ammazzati in via Rasella non potevano dare la colpa agli utilissimi tedeschi. Ma cosa fare d'uno di quei carretti che solo i vecchi tra noi, ricordano nelle città? Lo promossero carro armato. Sugli altri, il bambino dalla testa mozza, la mamma con la bambina in collo, il comunista Bandiera rossa, silenzio e silenzio. Cercate, procuratevi, chiedete all'autore una copia del libretto. Incoraggiatelo alla ristampa. Seguitelo nelle domande: "se sia stata quella la prima strage di stato, lo stato nato dalla resistenza. A via Rasella si è inaugurato l'uso del terrore alla vigilia dei cambiamenti politici. Nasce il patto scellerato tra il PCI e una magistratura largamente compromessa con il regime fascista. La giustizia usata come arma. Processi politici degni dei tribunali sovietici. Eliminati i testimoni scomodi come il questore Caruso. Donato Carretta, direttore del carcere, antifascista, innocente, fatto linciare perché sapeva troppo sulle Fosse Ardeatine." Sapeva, mi domando io, chi mise i comunisti dissidenti nelle liste da fucilare? "Nessun giudice penale ha mai voluto accertare la responsabilità degli attentatori, nonostante la sentenza Kappler definisse l'attentato un "atto illegittimo". Tutto questo è accaduto a Roma, non a Mosca..." E la catena sarda, "Quanti alti magistrati e alti funzionari dello stato fascista hanno serbato eterna gratitudine all'Alto Commissariato per l'epurazione gestito dall'avvocato Mario Berlinguer papà di Enrico, e al ministro di grazia e giustizia Palmiro Togliatti? Quanti e quali ricatti hanno battezzato lo stato nato dalla Resistenza?" "Quanti altri morti scomodi ci sono?", chiede l'autore di Cinquant'anni di menzogne (p.118). Non si conosce il numero dei morti civili. Non si conoscono il numero e i nomi dei gappisti che parteciparono all'assassinio, non si conoscono le circostanze in cui morì "Totò Rezza", nè le ragioni per cui il suo nome è stato cancellato dall'albo d'oro della resistenza. Non si conoscono i motivi per cui un numero di partigiani di Bandiera Rossa era quel pomeriggio in Via Rasella. Nessuna spiegazione è stata fornita sul perchè questa circostanza fu sempre tenuta segreta. Non si conoscono le cause che cagionarono, in via Rasella, la morte di Antonio Chiaretti, partigiano della Bandiera Rossa. Non si conosce l'identità del cadavere 366 alle Fosse Ardeatine. Altre undici salme non sono mai state identificate."

Antonio Serena è un altro forte storico che ha acceso i riflettori in particolare nel trevigiano con due libri pubblicati da Mursia, La cartiera della morte. Mignagola 1945, pubblicato nel 2009, con una versione più ampia e aggiornata intitolata nel 2011 I fantasmi del Cansiglio, su eventi che hanno fatto energere un vero e proprio campo di sterminio in molte zone del trevigiano, dove i morti in un rapporto dei carabinieri del 1949 non avevano nessun tipo di riscontro nominativo. Si uccideva e basta.