Society | Scuole professionali

Un unico contratto, due percezioni diverse

La nuova definizione del contratto collettivo concerne circa 2000 insegnanti. A breve si attende la decisione della Giunta. Qualcuno teme che si avranno conseguenze dal punto di vista “etnico”.
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Foto: Peter Burchia

In teoria tutto sarebbe pronto e, come si suol dire, manca solo la firma. Gli insegnanti delle scuole professionali della provincia potrebbero a breve disporre di un nuovo contratto collettivo. Si attende a breve il via libera della Giunta. C’è però chi continua a storcere la bocca. Nei giorni passati l’associazione “Laboratorio Scuola Formazione Lavoro” ha contestato il referendum promosso dalla Cgil che si è tenuto nelle scuole. Nonostante infatti la votazione complessiva abbia evidenziato un assenso maggioritario, disaggregando i voti per gruppo linguistico è emersa una differenza cospicua: mentre negli istituti tedeschi hanno votato 1.087 insegnanti (e i “sì” al contratto si sono imposti con una percentuale dell’82%), in quelli italiani hanno votato 226 docenti, con i “sì” fermi al 29%. Come dire: anche se le condizioni previste dal contratto sono uguali per tutti, italiani e tedeschi percepiscono la situazione in modo profondamente diverso. Perché?

Cornelia Brugger (Cgil) rifiuta categoricamente la lettura “etnica” e mostra di non comprendere in che cosa consista il dissidio. “I punti qualificanti del contratto salvaguardano il periodo di pausa estiva, garantendo 20 giorni in più di riposo oltre ai 30 di ferie prestabiliti; il monte ore annuo non è stato toccato; l’equiparazione tra insegnanti di materie tecniche e di teoria, che in precedenza era a mio avviso il punto debole del precedente contratto, consente una maggiore uniformità di trattamento economico senza tuttavia livellarlo. Ripeto, non comprendo veramente come sia possibile dare una lettura etnica di un provvedimento che ha semplicemente cercato di trattare tutti allo stesso modo”.

Per Francesco Bragadin (del “Laboratorio”) le cose non stanno così. In particolare, è il previsto aumento dei minuti concernenti le unità didattiche (che saranno portati a 60) a causare la maggiore preoccupazione. “In questo modo si verranno a perdere sicuramente posti di lavoro, soprattutto per le scuole italiane, visto che da noi il numero degli iscritti è minore rispetto a quelle tedesche. In questo senso ho visto da parte dei sindacati un’acquiescenza a recepire l’orientamento della politica provinciale che i sindacati avrebbero dovuto maggiormente contrastare. Posso capire l’esigenza di risparmiare, ma non se a pagarne il prezzo sono sempre i soliti. La nostra associazione ha puntato e punta a sottolineare proprio questo tipo di contraddizioni”.

In una lettera fatta pervenire agli insegnanti “dissidenti”, il Direttore della Ripartizione Personale della Provincia Engelbert Schaller ha scritto: “Per quanto riguarda la durata delle unità didattiche si fa presente che con decreto del Presidente della Provincia del 26.7.2012 (…) si tiene prioritariamente conto delle esigenze organizzative e pedagogico didattiche (…)”. Ciò significa che tali ore potrebbero anche avere anche una durata inferiore (o superiore) ai 60 minuti e comunque, con una considerazione che taglia la testa al toro, tali disposizioni troveranno “piena applicazione con l’anno formativo 2013/2014, indipendentemente dall’approvazione del contratto”.

Un giudizio complessivamente positivo sul contratto arriva però anche da parte di Franco Russo, Coordinatore dell’area formazione professionale del dipartimento istruzione e formazione italiana. “Anche secondo me questa lettura etnica non sta in piedi. Il contratto andava fatto, quello precedente era del 1988 e sicuramente risultava inadeguato rispetto alle nuove esigenze. Per quanto riguarda le preoccupazioni da parte italiana, vorrei invitare a una maggiore cautela. Posso dire che la notizia di un calo occupazionale è infondata. Stiamo eseguendo proprio in questi giorni dei calcoli in proiezione e la sensazione è che niente legittimi una tale paura. Insomma, è chiaro che magari ogni scuola avrà esigenze diverse, ma queste differenze riguardano semmai la tipologia, la diversa struttura dei corsi. Il fattore linguistico non è discriminante”.