Culture | Feuernacht

Una ricorrenza priva di fuoco

Nel 1961 - tra la notte dell’11 e del 12 giugno – una serie di attentati ai tralicci dell’alta tensione pose il Sudtirolo al centro di una preoccupata attenzione mondiale. Oggi è finalmente possibile parlarne con più distacco.

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Foto: ss

Per anni si è trattato di un tema “caldo”. Uno di quegli argomenti sui quali non ci si poteva che dividere. Fortunatamente il progresso della riflessione storica, e la sedimentazione dei contrasti risalenti ormai a un’epoca molto lontana da noi, hanno fatto emergere un modo di considerare quegli eventi con più distacco. Testimonianza di questa svolta, il modo con il quale gli storici Stefan Lechner, Giorgio Mezzalira, Luciana Palla, Alessandra Spada e Martha Verdorfer – impegnati nella redazione del volume scolastico bilingue “Passaggi e prospettive. Lineamenti di storia locale” (Athesia, 2013) – hanno trattato della “Notte dei fuochi” senza per l’appunto concedere spazio a una visione di parte.

Gli attentati degli anni ’60
Già nel 1956 in Alto Adige si era assistito ad uno scontro aperto tra la popolazione di lingua tedesca e lo Stato italiano. Nell’agosto di quell’anno, nel paesino di Fundres vi furono disordini che provocarono una vittima e acuirono le ostilità. Dopo il diverbio avvenuto in una locanda tra due giovani del paese e due impiegati italiani delle Finanze, uno dei due italiani fu trovato morto la mattina seguente. La dinamica del fatto non fu mai del tutto chiarita. Il processo indiziario contro i due giovani di Fundres, soprannominati
Pfunderer Buam, finì con la loro condanna ad alte pene detentive. La sentenza destò molta indignazione nella pubblica opinione sudtirolese; nel settembre del 1956 vi fu un primo attentato dinamitardo. Fu l’inizio di una serie di attentati alle linee ferroviarie, alle caserme, ai monumenti e soprattutto ai tralicci dell’alta tensione, considerati simbolo del potere dello Stato italiano e dello sfruttamento economico dell’Alto Adige. L’apice di questi attentati fu raggiunto con la notte del Sacro Cuore dell’11 e 12 giugno 1961 che sarebbe entrata nella storia come la “notte dei fuochi”, quando furono fatti saltare in aria 37 tralicci d’alta tensione. Per la maggior parte di questi attentati la responsabilità ricadeva sul BAS.

Il BAS ebbe contatti con membri del Governo austriaco; anche in Austria vi erano circoli convinti che con i soli negoziati politici non si sarebbe giunti ad alcun risultato e che l’autodeterminazione dei sudtirolesi si sarebbe ottenuta solo con azioni eclatanti e con la violenza. Non era più una questione di ampliamento dell’autonomia, il loro obiettivo era lo spostamento dei confini tra Austria e Italia. Il fine immediato degli attentati dinamitardi della “notte dei fuochi” era la paralisi della zona industriale di Bolzano e la rottura delle trattative tra Italia e Austria, obiettivi entrambi mancati. Gli attentatori sudtirolesi agirono con lo scopo di provocare danni materiali, senza mettere in pericolo vite umane. Tuttavia queste azioni eclatanti e simboliche causarono anche vittime e, soprattutto, un clima di paura non solo tra la popolazione di lingua italiana; numerosi furono gli attentati dinamitardi che presero di mira le nuove abitazioni popolari in costruzione.

Le reazioni alla “notte dei fuochi”
Lo Stato italiano reagì su un duplice piano. Da una parte furono prese dure misure repressive, dopo la “notte dei fuochi”, ci fu un grande spiegamento di polizia e di forze armate che portò a stretti controlli e perquisizioni nelle case. Dopo pochi giorni furono arrestati più di 150 uomini, che avevano partecipato agli attentati. Nelle carceri ci fu una violazione dei diritti umani da parte degli organi dello Stato, durante gli interrogatori si ebbero episodi di maltrattamento nei confronti dei prigionieri sudtirolesi che anche la stampa estera stigmatizzò; due di questi detenuti morirono, ma la giustizia italiana non riconobbe tra le cause dei decessi una diretta relazione con i maltrattamenti subiti.

L’altro piano su cui si mosse lo Stato italiano per reagire agli attentati fu quello dell’apertura al negoziato e della conciliazione. L’istituzione della cosiddetta Commissione dei 19 fu, da questo punto di vista, una risposta politica che avrebbe, tra l’altro, consentito al Governo italiano di riaffermare che la questione altoatesina era un affare di politica interna e, nello stesso tempo, avrebbe tenuto distante l’Austria dall’occuparsene: era l’esatto opposto di ciò che gli attentatori sudtirolesi avevano previsto.

Le conseguenze degli attentati
Nel gruppo di lingua tedesca, così come nella storiografia, vi sono ancora oggi diverse opinioni e diverse letture sulla valutazione politica e morale degli attentati dei primi anni ’60, in larga misura compiuti dai sudtirolesi. Ciò si riflette anche nella definizione usata per descrivere gli autori di quelle azioni: “terroristi”, “combattenti per la libertà”, “attivisti” o “attentatori”. Indipendentemente dal fatto che la violenza come mezzo politico può essere giustificata solo in fatti rari, alcuni partecipanti a questi attentati, come ad esempio Sepp Kerschbaumer, agirono con piena convinzione, mentre altri lo fecero per puro spirito ribellista. Da un punto di vista politico, tali attentati contribuirono senza dubbio, come le dure misure di repressione di quegli anni, a inasprire più che a risolvere il problema aperto.

 

Da: S. Lechner, G. Mezzalira, L. Palla, A. Spada, M. Verdorfer, Passaggi e prospettive. Lineamenti di storia locale, Athesia 2013, pp. 185-189.