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Badanti: così vicine, così lontane

Intervista ad Annemarie Profanter, docente Unibz ed autrice del libro “Badanti-– Pflegen in der Fremde – Assistere in terra straniera“
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Annemarie Profanter, docente di pedagogia interculturale alla facoltà di Scienze della formazione della Libera Università di Bolzano, ha curato il libro "Badanti", uscito poche settimane fa per l'editore brissinese Weger, Si tratta di un testo bilingue dedicato una professione molto particolare, le assistenti familiari a cui si appoggiano ormai quasi due milioni e mezzo di famiglie italiane, una su dieci.
E' un libro utile sotto diversi aspetti, perché può essere letto come una guida per badanti e/o familiari ma, sopratutto, perché è una indagine sulla vita di persone indispensabili in famiglia ma quasi invisibili in società.


Professoressa Profanter, perché ha deciso di dedicare un libro a questo tema?
"Perché è un argomento troppo poco discusso, le badanti sono immigrate poco visibili ma molto presenti. Io mi occupo di pedagogia interculturale, con particolare attenzione alle donne e ho voluto, quindi, indagare questa loro posizione particolare di donne indispensabili eppure molto marginalizzate. Pochi si chiedono come sono arrivate qua, da dove vengono, che titolo di studio hanno...".

In effetti, sono immigrate particolari, entrano direttamente nelle case e nelle famiglie degli italiani. Questo ha favorito l'integrazione?
"Dal punto di vista delle badanti non molte. Spesso sono chiuse in casa per 24 ore al giorno e non hanno la possibilità di integrarsi con il resto della società. Per esempio, non hanno tempo per fare i corsi di lingua e non hanno molte possibilità di comunicare con il mondo. Comunicano quasi esclusivamente con anziani soli. Entrano, però, nello spazio intimo di una famiglia che deve fare uno sforzo particolare per accettare uno straniero all'interno della propria casa. Questo aiuta a diminuire gli stereotipi ed in effetti la maggior parte delle relazioni è buona. Ma, purtroppo, questo ha effetti molto limitati sulla società.

Spesso si tratta di persone che hanno abbandonato la propria famiglia per accudirne un'altra. Come vivono questa situazione?
"E' un aspetto molto sentito dalle badanti, ma non vorrei che questo le facesse passare per vittime, perché sono donne che hanno preso in mano il loro destino e sono molto forti. Certo, comunicare con i figli solo via Skype o vederli una volta all'anno è molto pesante. Questo fa sì che siano spinte ad attaccarsi alla famiglia che li ospita, ma è una confusione di ruoli che non aiuta nessuno. Perché il lavoro di badante è a termine e quando l'anziano muore, l'assistente si trova spesso senza lavoro e senza casa. Penso sia meglio, quindi, instaurare un rapporto molto chiaro da questo punto di vista, perché anche i datori di lavoro finiscono per fare confusione. Non si deve dimenticare che è un rapporto professionale e che per una badante non è poi così semplice trovare un nuovo lavoro o un nuovo luogo di residenza, soprattutto in tempi di crisi economica.

Fare la badante in Alto Adige/SüdTirol è diverso che nel resto d'Italia?
"Sì, perché la maggior parte arriva qui dopo altre esperienze italiane, raramente parlano tedesco e quindi si sentono più estranee. Sono aiutate, però, dal contesto economico, tutte quello che ho intervistato, quindi badanti regolari, sono venute qua proprio perché attirate dalla maggior attenzione alle regole e per una migliore situazione economica".

Avete intervistato anche badanti uomini. E' un fenomeno rilevante?
"Esistono pochissimi badanti uomini, solitamente vengono scelti per assistere anziani maschi che necessitano di una particolare forza fisica. Molti la considerano una parentesi della loro vita professionale, gli uomini apprezzano poco questo lavoro proprio perché è visto come tipicamente femminile". 

(foto © Jane Evelyn Atwood)