Pierrot Lunaire e Gianni Schicchi
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Il Pierrot Lunaire di Arnold Schönberg e Gianni Schicchi di Giacomo Puccini: con questi due titoli è stata inaugurata la nuova stagione operistica della Fondazione Haydn.
Si sono così celebrati gli anniversari dei due compositori, i 150 dalla nascita del compositore tedesco, i 100 dalla morte dell'italiano.
Il Pierrot Lunaire è del 1912, su liriche di Albert Giraud, per voce e cinque strumenti, un’opera espressionista. “Credo di essermi avvicinato ad un nuovo modo di espressione” scriveva Schönberg mentre componeva il suo Pierrot. L’abbandono della consuetudini della musica tonale e lo Sprechgesang caratterizzano la composizione. La voce sfiora le note scritte in partitura, senza intonarle a pieno, se non nei pochi casi previsti dall'autore. Ne risulta una particolarissima declamazione, un canto “lunare”, un'espressività nuova per la parola. -
Perfetta nel suo ruolo è stata Alda Caiello, la cui tecnica ed espressività nell’affrontare una partitura così complessa ed esigente è stata straordinaria. Bella la prova anche dei 5 solisti dell’orchestra Haydn, diretti da Michele Gamba.
Disorientante a noi è risultata la scelta di porre sul palco una serie di quadri di grandi dimensioni, che rimandavano a una pluralità di stili ed epoche, dal Ritratto di donna di Egon Schiele ai Tagli di Lucio Fontana. Di affiancare alla voce protagonista un mimo/pittore, e nel finale una figura danzante sullo sfondo. Un surplus di suggestioni visive improprie a nostro avviso, se non controproducenti per l’ascolto di una musica così densa, essenziale, come è quella del Pierrot Lunaire. “Ornamento e delitto” è il titolo del celebre saggio del 1908 dell’architetto Adolf Loos, una visione dell’arte condivisa da Schönberg nel motto “Ornamento è delitto”.
E’ l’ultima opera di Giacomo Puccini. E’ un’opera comica, squisita, ma è anche satira sociale, racconta dell’ascesa della nuova borghesia.
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Dopo l’intervallo è stata la volta di Puccini, ovvero del suo Gianni Schicchi. Su libretto di Giovacchino Forzano è un’ opera comica in un atto, la prima esecuzione è del 1918. La vicenda trae spunto dal nel XXX Canto dell’Inferno, dove Dante narra di Gianni Schicchi che per guadagno osò “falsificare in sé Buoso Donati / testando e dando al testamento norma”. La vicenda vede protagonisti uno stuolo di parenti del defunto, che venuti a conoscenza che la ricchissima eredità andrà ai frati, chiedono allo Schicchi di trovare una soluzione a loro favorevole. Così il morto viene messo da parte, lo Schicchi impersona il defunto e detta il nuovo testamento davanti a notaio e testimoni che vengono gabbati. Ma lo Schicchi gabba anche i parenti, assegnandosi parte del lascito. Anche a buon fine, che sua figlia avrà una dote tale da essere volentieri accettata come parte della famiglia Donati, Lauretta e Rinuccio potranno ora sposarsi.
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E’ l’ultima opera di Giacomo Puccini. E’ un’opera comica, squisita, ma è anche satira sociale, racconta dell’ascesa della nuova borghesia. Puccini riesce a caratterizzare personaggi e situazioni utilizzando soluzioni armoniche e melodiche raffinatissime, dalle più tenui consonanze quando si tratta di alludere al canto chiesastico antico, alle aspre dissonanze nel vocio dei parenti in disaccordo tra loro, al canto appassionato per gli innamorati.
Delle parti vocali ricorderemo l’Aria di Lauretta che nella voce di Sara Cortolezzis ha avuto una splendida, commovente interpretazione. -
Sara Cortolezzis era stata la danzatrice del Pierrot, Bruno Taddia ne era stato il mimo/pittore, per poi impersonare Gianni Schicchi in Puccini. Con gli stessi costumi, a firma di Mauro Tinti, hanno transitato da un’opera all’altra. La regia di Valentina Carrasco ha voluto “legare insieme” le due opere. L'invenzione della regia, delle scene e dei costumi, e del lighting design a firma di Giuseppe di Iorio, non sottraevano nulla al godimento dell’opera pucciniana, talvolta semmai lo enfatizzavano. Ma non sono necessari in un cornice della Firenze medicea la visione di una mutanda con lo stemma di Superman o la scoperta di Dante che amoreggia con la sua Beatrice per ridere molto, anche amaramente, con questo capolavoro.
Al termine rimangono gli applausi del numeroso pubblico, distribuiti in parti non eguali tra Schoenberg e Puccini, ma calorosi verso tutti gli interpreti delle parti vocali e di quelle strumentali, e al loro direttore. Una serata bella e interessante, anche nella sua forma, nell’inusuale dittico, una serata di successo, la prima della stagione operistica a forma di Giorgio Battistelli. -
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Recensione perfetta per…
Recensione perfetta per quanto riguarda gli aspetti musicali delle due opere. Nella recensione si accenna tuttavia (criticamente) ad alcuni dei quadri che compongono la scenografia del Pierrot Lunaire, ma non si dice nulla della resa scenografica di Gianni Schicchi. Eppure le scelte sono state in questo caso ancora più radicali e vanno almeno ricordate. Fin dalla prima scena ci troviamo di fronte a un improbabile quadro di deposizione di Cristo dalla croce, in cui si mescolano diversi stili e soprattutto numerosi riferimenti all’iconografia più classica delle rappresentazioni dei santi, delle deposizioni di Cristo e del Cristo morto. Delle colonne corinzie, che lasciano intravvedere sullo sfondo a sinistra un tipico paesaggio veneto alla Bellini o alla Giorgione, sulla destra la città di Firenze, si incontrano al cento in un’abside, su si staglia la croce, sormontata dallo spirito santo. In primo piano, la madonna insieme a numerosi sante e santi, vestiti tutti con colori sgargianti e con una specie di aureola in capo, compiangono il Cristo morto, coperto solo da uno telo attorno ai fianchi e con la ferita sanguinante al costato. Il quadro ricorda diverse deposizioni o immagini del Cristo morto: viene in mente il Cristo morto di Giotto, ma anche la Deposizione di Raffaello, o in altre scene il Cristo morto di Holbein, il Cristo morto di Carpaccio, il gruppo scultoreo del Compianto del Cristo morto a Bologna, la Deposizione di Cristo di Caravaggio, il Cristo morto di Mantegna, la Statua del Cristo velato a Napoli o infine anche la Resurrezione di Cristo di Piero della Francesca. Incarnato nell’immagine di Cristo morto è il compianto defunto Buoso, circondato da tutti i parenti che impersonano invece la Madonna (Zita) e diversi santi e sante: non manca un San Pietro martire con un coltello che gli attraversa la testa e una Sant’Agata con i seni sul piatto che si rivelano poi essere delle cassatine che verranno addirittura mangiate. Solo Schicchi è vestito dapprima come un pittore (provenendo direttamente dalla messa in scena del Pierrot Lunaire), mentre sua figlia Lauretta è vestita e si muove come una sorta di automa, simile alle figure di automi del teatro o del film espressionista (ad esempio in Metropolis, di Fritz Lang). Quando Schicchi prenderà i panni di Buoso per dettare il testamento, l’immagine riprenderà chiaramente il quadro di David Morte di Marat, che a sua volta si ispirava alla Deposizione di Cristo di Raffaello. Non manca, alla fine, nemmeno un quadro di Mondrian, che come una grata rinchiude e separa dal proscenio tutti i parenti truffati, mentre sulla ribalta rimangono solo Schicchi, la figlia Lauretta e il fidanzato di lei Rinuccio. Non credo che questi riferimenti a diverse tradizioni iconografiche possano essere intesi come interpretazioni dell’opera di Puccini (benché l’identificazione dei parenti di Buoso con dei santi e delle sante ha evidentemente una forte carica ironica!): essi rappresentano piuttosto una sorta di gioco intellettuale, che riesce a conferire all’opera una nuova dimensione assolutamente nuova e godibile.