La fine di un uomo simpatico
È troppo presto per dire se con l'esito del referendum costituzionale del 4 dicembre sia cominciata la parabola discendente di Matteo Renzi. La sconfitta, però, è di quelle che bruciano e può essere interpretata come uno spartiacque tra ciò che prima era possibile attendersi da questo “golden boy” (o “royal baby”, secondo la definizione di Giuliano Ferrara) della politica nazionale e ciò che, invece, siamo costretti a notare adesso. Non solo una battuta d'arresto, quindi, ma l'incisione profonda sulla linea di un destino diventato di colpo (ma forse non proprio così di colpo) più oscuro, o quanto meno più incerto.
Durante questa fase di passaggio diventa così interessante recuperarne l'immagine ascendente, quando tutto sembrava presagire (ma non è detto, ripetiamolo, che non possa ancora accadere) lo svolgersi di una carriera, se non effettivamente travolgente, almeno molto duratura. Per farlo si può ricorrere ad un libro scritto da Claudio Giunta (Essere #matteorenzi, Il Mulino 2015). Un pugno di pagine – appena 80 – nelle quali il docente di letteratura italiana (e da poco anche “giallista”) torinese traccia una fenomenologia istantanea della “quinta colonna” del Partito Democratico (cito dalla prima pagina), del “prossimo Berlusconi” (ibidem), e del “vero statista” in jeans e camicia con le maniche rimboccate, certo apparso allora (e si parla di poco più di un anno fa) come qualcosa in più dell'ennesimo volto familiare dell'“Italia eterna”, cioè della “Repubblica democratica fondata sulla fuffa”.
Non si può dire che il libro di Giunta sia un esempio di discorso encomiastico. Passaggi come quello che citerò alla fine di questo periodo non si limitano a riecheggiare i giudizi del cinico “amico snob” (una controfigura dell'intellettuale disincantato, e dunque condannato al fallimento di ogni sua diagnosi) convocato a proiettare la sua ombra sulla pagina: “Renzi è un battutaro. Con un repertorio di battute, bisogna dire, di livello medio-basso anche per un uomo politico, battute che che persone normali, in condizioni normali, diciamo al tavolo del ristorante, accoglierebbero alzando gli occhi al cielo, o cercando conforto nello sguardo dei commensali” (pag. 19).
Eppure Giunta non nega simpatia ed efficacia a questo modo di fare. Esemplare, a tal proposito, come descrive il cambio di marcia impresso da Renzi in occasione di un Festival dell'Economia di Trento (parliamo del primo giugno 2014, vale a dire all'alba dei 1000 giorni). Sfilano i relatori, tra i quali Franco Marini e il no global brasiliano João Pedro Stedile. L'autore li definisce senza cercare sofisticati eufemismi un “avanzo stantio di sinistra novecentesca”, paludata dai “bei libri antichi greci e dalla solidarietà contro il Capitale”. Quindi arriva lui, “salutato da un lungo applauso”: “Renzi, che ricambia il saluto a braccio alzato, si allunga a stringere la mano di Marchionne in prima fila, e tocchicchia e viene tocchicchiato da Tito Boeri, che è l'organizzatore del Festival, e da Enrico Mentana, che condurrà, si fa per dire, l'intervista”.
Va detto per onestà. Il libro di Giunta è molto divertente, arguto, scritto benissimo, ma non contiene, per sua stessa ammissione, una sofisticata analisi politica (o forse: proprio in questa mancanza sta il suo superiore valore politico...): “Le osservazioni che precedono non hanno alcun rilievo politico, anzi non hanno proprio attinenza con la politica, riguardano solo il linguaggio”. Ognuno sa, però, che il linguaggio, non solo quello che si esprime a parole, contiene spie essenziali per intuire il corso degli eventi (a proposito: che ne sarà adesso di tutto quel “tocchicchiare” renziano?). E talvolta gli eventi, anche quelli che sembrano più irriversibili, mutano direzione, si accartocciano in anse di tempo cariche di elettricità. “Tutto ciò che d'interessante c'è in Matteo Renzi – si chiude così il libro – è prepolitico: investe cioè non la sostanza delle sue decisioni ma il suo essere o, che è lo stesso, il suo apparire”. Domandiamoci: perché questo apparire non è più bastato, perché il famigerato storytelling non ha più funzionato, perché questo uomo che sembrava così simpatico è diventato (quasi) di colpo così insopportabile? Sarebbe interessante chiedere a Giunta cosa ne pensa.