Personale femminista
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Classe 1923. La decisione di iscriversi all'Accademia di belle arti di Brera, e dopo il matrimonio e cinque figli, partoriti con la frequenza pressoché di uno all'anno, la volontà di concludere gli studi artistici a Milano. La famiglia di antiche origini nobiliari che tenta di impedire la sua scelta, senza però riuscirci, e il marito che finisce per sostenerla nel suo percorso personale e artistico poco convenzionale. L'adesione, tra gli anni Sessanta e Settanta, al pensiero e alle rivendicazioni del movimento femminista, che l'artista lascia esplodere poi nelle sue opere dense di simbologie esplicitamente femminili. La partecipazione, attraverso il collettivo artistico di sole donne Gruppo Immagine di Varese, alla Biennale di Venezia del ’78, nello stesso anno e solo qualche mese prima dell’altra mostra ai Magazzini del sale diventata miliare per l’arte femminile e femminista, Materializzazione del linguaggio, la collettiva curata da Mariella Bentivoglio.
La mostra À JOUR, allestita alla galleria Ar/Ge Kunst di Bolzano vuole essere una riscoperta dell’artista Clemen Parrocchetti (1923-2016), figura di rilievo nella rivolta creativa e politica in Italia a favore dell’emancipazione femminile, innescata dalle lotte politiche del ’68; anche se equivale piuttosto a una scoperta quasi inedita dell’artista, tuttora poco conosciuta, a cui Ar/Ge Kunst dedica quest’importante mostra personale, curata da Marco Scotini, Francesca Verga e Zasha Colah e nata grazie alla collaborazione con l’Archivio Clemen Parrocchetti che conserva molte delle opere dell’artista nel castello di famiglia, dove Clemen Parrocchetti ha vissuto e lavorato a lungo e che è stato trasformato poi in Casa museo, a Borgo Adorno nel Comune di Cantalupo Ligure in provincia di Alessandria.
Una riscoperta che riguarda le lucide prese di posizione politiche e femministe dell’artista, attraverso alcuni dei testi scritti negli anni Settanta da Clemen Parrocchetti, raccolti ora nell'usuale pubblicazione Novellas che accompagna le mostre principali di Ar/Ge Kunst con la direzione artistica di Francesca Verga e Zasha Colah.
La riscoperta passa soprattutto attraverso l’incontro con le sue opere pittoriche e plastiche esposte nella galleria, che vanno dalle prime ‘Divorazioni’' datate 1969, ai ‘Trofei solari’ dei primi anni Settanta, e via via ai collage in rilievo e alle opere tridimensionali, con la riproduzione di simboliche vagine femminili e altri elementi che assumono carattere di denuncia sovversiva della condizione della donna, ma contemporaneamente anche di necessaria affermazione femminile. Oggetti costruiti in materiali poveri, spesso con stoffe dai colori vivaci, trapuntate di spilli. Fino all’esplicito manifesto del 1973, un Pro Memoria ricamato pazientemente, orgogliosamente viene da dire, con filo rosso su base di alluminio che recita: “Pro memoria per un oggetto di cultura femminile composto di rocchetti spolette e tessuti vari liberamente ricamati con fili e nastri cuciti su lastra incapsulata in latoplex, denuncia della condizione della donna tuttora sottoproletariato per richiamare l’attenzione sul problema razziale della donna cuci taci, donna punta spilli, donna materasso per le botte, infine donna oggetto”.
Un universo ci ride addosso, a distanza di più di quarant’anni. Una denuncia ancora valida, che usa le stesse armi impiegate da secoli per mantenere ed esaltare la sottomissione femminile, attraverso lavori di pazienza come il cucito e il ricamo, rocchette, fili e spolette che l’artista trasforma in un fantasioso strumento di consapevolezza e di liberazione creativa per denunciare l'immenso lavoro domestico non considerato e non retribuito delle donne, che comprende la produzione e la riproduzione della specie.
“Sono convinta che non sia possibile una completa rivoluzione sociale, se prima le donne non abbiano raggiunto una vera coscienza del proprio ruolo. Com’è possibile che i popoli migliorino le condizioni se sottoproletariato donne è tuttora vittima della propria subalternità?” [dal testo scritto per la mostra alla Galleria Il Mercante a Milano nel 1975]. E ancora: “Non facciamoci più imbrogliare, smettiamola di essere remissive, rispondendo all’aspetto tradizionale che la società esige da noi, replichiamo con fermezza alle imposizioni, che giornalmente tendono a circoscriverci e srotoliamoci sicure come il filo di un gomitolo, senza perderci nel labirinto” [da un’intervento al Convegno nazionale Donna Arte e Società del 14-15 gennaio 1978].
Questi sono alcuni stralci significativi, di testi di Clemen Parrocchetti, che allora frequentava e condivideva le istanze del Gruppo Immagine di Varese, il Movimento Liberazione Donna, sezione di Milano e del Movimento di lotta femminista di Padova, tra i primi collettivi femminili in Italia.
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Per lei parlano anche le sue opere, così sfacciatamente, sì sarcasticamente allegre, nonostante la serietà e urgenza delle rivalse sociali che esprimono.
Tra tutte, “Barriere” Struttura in legno con bocche, un’installazione del 1978 presente nell’esposizione di Bolzano, che riprende la forma del triangolo rovesciato, la stessa dei “triangoli rovesciati neri, rossi, viola, arcobaleno, triangoli di donna, pieni di luci e fili rabbiosamente arruffati” che per Parrocchetti è necessario attraversare per liberarsi finalmente, arrivare ad esprimersi e realizzare sé stesse. Oppure gli esempi della fase di produzione artistica a partire dagli anni Novanta e Duemila ispirata al suo tardo interesse naturalistico per gli insetti, rappresentati con grande ironia dall’artista nell’opera tessile "Tarma" del 1998 e nel dipinto a china "Danzetta erotica di due pulci” del 2002. E ancora i lavori in cui Clemen Parrocchetti si appropria della triade simbolica di Eva, il serpente e la mela, come nell’opera tridimensionale Lamento del sesso/ Pianto del 1974, realizzata in gommapiuma rivestita di stoffa e applicazioni di diversi materiali, trafitta da spilli, una ‘mela-vagina’ che accoglie il visitatore all’entrata della galleria e diventa un po’ l’emblema dell'esposizione e dello spirito artistico libero e liberatorio, critico e irriverente di Clemen Parrocchetti.
À JOUR, il titolo della mostra si richiama invece al ‘punto a giorno’ nel ricamo, una pratica tipicamente femmile che l’arte di Clemen Parrocchetti riesce a ribaltare come presa di coscienza e ‘rivelazione’, nel senso di ‘portare alla luce del giorno’ e di rendere manifesta una condizione femminile profondamente ingiusta contro cui è necessario lottare. Oggi, come quaranta, e come mille anni fa.
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Mostra À JOUR dedicata all'artista Clemen Parrocchetti allestita fino al 15 febbraio 2025 alla galleria
AR/GE KUNST
Via Museo 29
39100 BolzanoORARI DI APERTURA
Dal martedì al venerdì
10:00–13:00, 15:00–19:00
Sabato
10:00–13:00