Una riflessione del giorno dopo
Sono ancora numerosi i cantieri aperti: ne sono un esempio gli stereotipi di genere, la comune responsabilità per i compiti familiari, i problemi sul mercato del lavoro dove il tempo parziale continua ad essere femminile, il divario di reddito e di pensione e gli svantaggi nella carriera professionale.
La novità che nell'opinione pubblica trova sempre più spazio è il ritorno del nazionalismo e del populismo di destra con la messa in discussione di diritti a lungo considerati inviolabili. In Italia si torna a parlare di famiglia in senso espressamente tradizionale, del ritorno ai fornelli della donna, che in primo luogo deve essere madre e compagna di vita dell'uomo e con attacchi senza particolari remore al diritto delle donne di decidere del proprio corpo. In Ungheria e non solo, si torna a parlare poi apertamente di cose che ritenevamo sepolte dalla storia, con l'invito, più o meno palese, di fare figli per la patria.
La violenza sulla donne, nonostante le tante iniziative, è in aumento e forse alimentata anche dai tentativi di depotenziare sempre di più il ruolo e i diritti delle donne. Un ragionamento a parte va poi fatto sul rapporto tra le donne e l'immigrazione, perché non è sempre facile trovare la sintesi tra il ruolo della donna in alcune culture o religioni con il nostro stato di diritto. Soprattutto a partire dalla seconda generazione, - per le ragazze nate qui e che hanno assimilato gli stili di vita dei loro coetanei locali - i conflitti dentro l'ambito familiare sono a volte molto forti.
Dall'altra parte molti populisti alimentano paure irrazionali, collegando strumentalmente la violenza sulle donne all'immigrazione.
Allora forse vale la pena ricordare la Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne che prevede l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione di genere. Questa convenzione, che è del 1979, ed è entrata in vigore nel 1981, garantisce alle donne il godimento pieno dei loro diritti umani, attraverso il pari trattamento in tutti gli ambiti della vita. 189 Stati hanno firmato questa convenzione. Ne sono rimasti fuori il Vaticano, Iran, Sudan, Somalia e Tonga. Probabilmente non è neppure un caso, visto il ruolo della donna in alcuni di questi paesi. Questa convenzione non tratta le donne come vittime di violazioni di alcuni diritti fondamentali, ma come soggetti portatori di diritti che possono rivendicare pari trattamento con gli uomini a ogni livello, istituzionale e non. Purtroppo, come spesso accade nelle convenzioni internazionali frutto di mediazioni difficili, sono previsti unicamente controlli da parte delle Nazioni unite e la stesura di un documento per ogni singolo stato, che valuta la realizzazione delle misure previste e la formulazione di raccomandazioni, ma non sono previste sanzioni per la mancata attuazione di quanto firmato.
La convenzione stessa rispecchia poi le condizioni di vita femminili degli anni 70-80 e per questo va costantemente adeguata ai cambiamenti dentro la società. In quegli anni, per esempio, la violenza sulle donne non era un tema di primaria importanza nell'opinione pubblica, mentre da tempo è diventata sciaguratamente una questione urgente e non solo nel terzo mondo. Va infine ricordato che esiste la possibilità individuale di rivolgersi al comitato presso l'Onu in caso di inadempienza del proprio paese. Va anche precisato che prima di poter fare una formale richiesta alle Nazioni Unite vanno ovviamente esaurite tutte le possibilità giuridiche del paese incriminato. Concludendo possiamo affermare che molte cose sono state fatte, ma troppe questioni sono ancora aperte. Soprattutto la tutela da parte delle istituzioni delle donne soggette a violenze deve diventare un obiettivo da raggiungere in fretta, perché è inaccettabile che quotidianamente la cronaca nera si debba occupare di donne massacrate da uomini che dicevano di amarle. Poi anche la società tutta non deve girarsi dall'altra parte.